Ambientalismo: dopo sessant’anni di battaglie ora tocca ai Millennials
Nuova stagione per il movimento ambientalista nato negli anni del boom economico. Greta Thunberg e la Rete mobilitano milioni di studenti. E anche la politica Ue si tinge di verde
di Paolo Marelli
Dalla primavera silenziosa di Rachel Carson alla primavera social di Greta Thunberg. Dalle pagine di “Silent Spring”, scritto dalla biologa e zoologa americana, il libro cult per una generazione di “neo” ecologisti degli anni ’60 e che innescò la battaglia per la difesa della natura, ai “venerdì per il futuro”, l’ondata di scioperi scolastici per il clima, ispirati dalla sedicenne svedese che sta mobilitando milioni di teenager nel mondo con l’hashtag #FridaysforFuture, promuovendo uno sviluppo sostenibile e bocciando l’immobilismo dei potenti nel salvataggio del pianeta.
Sta ringiovanendosi, sta cambiando pelle grazie alla Rete, sta tornando al centro della politica, come prova l’ascesa dei verdi in Germania, Francia, Regno Unito e Belgio alle elezioni europee 2019: il movimento ambientalista sta vivendo una stagione di rinascita. Di più: è come se, giorno dopo giorno, stesse diventando la nuova religione globale. Un credo per i Millennials e non solo, come risuona nelle parole di Yannick Jadot, leader di Europa Ecologia I Verdi: «Sempre più persone vogliono che l’ecologia sia al cuore della nostra vita. Noi desideriamo che l’ecologia sia la forza che fa evolvere la nostra società. Ecco perché un’onda green è tornata a riversarsi sul Vecchio continente e, in generale, su tutto l’Occidente».
La protesta entra nel Palazzo
«Purtroppo la mia generazione ha fallito», sentenzia lapidario Gunter Pauli, classe 1956, economista belga e ideatore della blue economy, imprenditore e fondatore della Zero Emission Research Initiative. «E per provare a comprendere sino in fondo sia la nostra sconfitta che questa rifioritura, forse è utile riavvolgere il nastro della storia e conoscere la strada fin qui percorsa».
Tutto comincia negli anni ’60 quando, sulla spinta dell’inquinamento prodotto dal boom industriale, divampano i primi dibattiti sull’ambiente innescati da numerosi scienziati. In Italia spicca il naturalista Pietro Zangheri di Forlì. Nel decennio successivo la contestazione s’infiamma e si organizza: nel ’71 a Vancouver (Canada) salpa la prima imbarcazione di Greenpeace e un anno dopo, in Australia, nasce il primo Partito verde della storia. La coscienza ecologista riceve uno slancio propulsivo dopo la pubblicazione, nel 1972, del “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, a cura del Club di Roma. Il think tank di ecologi, scienziati e analisti fondato nel 1968 dall’imprenditore Aurelio Peccei, predice pessime conseguenze sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana a causa della crescita della popolazione mondiale e dello sfruttamento di risorse. Paure che accendono l’interesse dell’opinione pubblica. Così la politica sposa la causa ambientale: in Gran Bretagna decolla il Green Party, in Germania volano i “Grünen”. In Italia i Verdi fanno la loro comparsa nel 1985. I partiti con un’anima green, in tutto il mondo, fanno leva su una piattaforma comune di valori: ecologia, giustizia sociale, democrazia partecipazione e pace/non violenza.
Dai No global a Papa Francesco
Nel 1999 finisce il secolo e inizia un nuovo ciclo per l’ambientalismo: a Seattle (Usa), nei giorni della conferenza dell’Organizzazione mondiale del commercio, scoppiano una serie di proteste che porteranno alla nascita del Movimento no global. Una corrente che avrà, nel 2000, nel libro “No logo” della giornalista canadese Naomi Klein il suo manifesto. Con lo stop a globalizzazione, multinazionali, sfruttamento di Paesi poveri e risorse ambientali; con l’altolà a lavoro minorile e paradisi fiscali; con la lotta contro chi favorisce guerre e terrorismo si arriva a Porto Alegre (Brasile) nel 2001 per il Forum sociale mondiale, dove si conia lo slogan “Un altro mondo è possibile”, a cui ben presto si affianca la fulminante sintesi «Pensa globale, agisci locale » di David Barash (psicologo dell’Università di Washington) nel volume “Peace and Conflict” (2002).
Ormai è chiaro che la partita per l’ambiente si gioca anche nel campo dell’economia e della giustizia sociale. È un capovolgimento culturale. È un cambio di rotta che non lascia indifferenti né numerosi capi di governo né persino Papa Francesco. Infatti il Pontefice, nel 2015, dedica l’enciclica “Laudato Sii” proprio allo sviluppo sostenibile, come via maestra per costruire un mondo più prospero, equo e inclusivo. Mentre i politici riempiono i loro programmi elettorali con tali concetti, anche se finora il passaggio dalle parole ai fatti spesso latita.
Comunque gli sforzi degli ecologisti portano ad alcune conquiste: la creazione dell’Ufficio Europeo dell’Ambiente, lo sviluppo e l’applicazione di norme sulla protezione ambientale, la creazione di aree protette, e l’introduzione di sistemi di tassazione dei rifiuti o emissioni basati sulla quantità effettivamente prodotta (per esempio, la carbon tax).
Ambientalisti, generazione Greta
Nella sua storia il movimento “green” ha cavalcato di continuo nuovi fronti di battaglia: dalla lotta alla proliferazione delle armi atomiche e l’uso dell’energia nucleare negli anni ‘60 e’70 alle piogge acide negli anni ’80; dal buco nell’ozono e la deforestazione negli anni ‘90 al cambiamento climatico e riscaldamento globale di oggi.
E proprio la richiesta di 100% di energia pulita, utilizzo di fonti rinnovabili e aiuti ai rifugiati e migranti climatici stanno portando in piazza milioni di studenti. Ragazzi conquistati dalla determinazione di Greta Thunberg che, seduta davanti al Parlamento svedese nell’orario scolastico, per settimane ha protestato con un cartello in mano per chiedere che il governo del suo Paese si impegnasse a ridurre le emissioni di CO2 in base all’Accordo di Parigi del 2015. Una sedicenne che sta sensibilizzando all’azione un’intera generazione di adolescenti. È lei l’ideatrice dei “Fridays For Future”, l’artefice delle manifestazioni per promuovere politiche e comportamenti sostenibili.
«I giovani – spiega Nina Gardner dell’americana Johns Hopkins University – hanno un forte interesse verso le questioni ambientali. Tra i Millennials le decisioni per investimenti in imprese con obiettivi di sostenibilità sono due volte maggiori rispetto al totale della popolazione complessiva di investitori». Gli fa eco Pauli: «Laddove noi abbiamo fatto fiasco, i Millennials ce la faranno: saranno loro a dimostrare che la trasformazione green del mondo non solo è possibile ma è anche conveniente. Con le loro proteste e grazie alla Rete sveglieranno i governi che continuano a far finta di niente mentre il disastro climatico diventa di giorno in giorno più probabile».
(articolo tratto da Vdossier numero 1 2019)