“Parlate anche di noi”
Luigi Colzani, presidente di CSV Insubria, riflette su come sia stato sottovalutato il ruolo nevralgico, la responsabilità e l’apporto fondamentale del volontariato nel corso dell’emergenza. Senza misconoscere l’azione di nessuno, la sua “lettera aperta” è un richiamo a dare indicazioni puntuali a chi gestisce le fragilità e a valorizzare il contributo che il Terzo settore dà e può dare alle comunità.
“In queste settimane è in atto uno sforzo impressionante nel nostro Paese per affrontare l’emergenza Corona virus, sforzo che è in carico principalmente al mondo degli operatori sanitari e della Protezione civile da una parte e ai rappresentanti delle Istituzioni pubbliche (nazionali, regionali e locali) dall’altra. Si tratta di un impegno personale commovente, che la gran parte del corpo sociale sta accompagnando con consapevolezza e maturità civile. La comunicazione e il dibattito pubblico vertono poi, in questi giorni drammatici, su un secondo aspetto dell’emergenza, quello economico.
E’ necessario che sia così, che siano comunicati il lavoro e le difficoltà degli operatori sanitari, dei sindaci e degli operatori pubblici; così come è giusto che si concordi quali settori economici debbano continuare a lavorare e quali invece debbano chiudere, come sostenere il reddito delle persone e le prospettive dell’economia nazionale nel futuro immediato e in quello più lontano.
Comprendiamo bene tutto questo e apprezziamo come cittadini tutto ciò che converge in uno sforzo unitario, in modo da consentire alla nostra comunità nazionale di uscire da questa situazione drammatica, straordinaria e improvvisa.
Ma…nel racconto di questa crisi, nell’identificazione dei soggetti che stanno faticando per non farla diventare ancora più drammatica, c’è un mondo che non emerge, che non è preso in considerazione se non in modo marginale, che non ha ottenuto finora non solo la considerazione oggettiva del suo contributo ma neppure le indicazioni operative che gli servono in questi momenti né gli strumenti necessari a dare ad esse concreta esecuzione.
Mi riferisco a quella galassia di enti – organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, fondazioni, ong, enti di diversa osservanza religiosa, imprese sociali – che vanno sotto la denominazione un po’ burocratica di ‘enti del Terzo Settore’; un tessuto irregolare ma imponente di organizzazioni e di persone che svolgono “attività di interesse generale, concorrono a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale…”.
Sono quelli che lavorano ogni giorno con persone disabili, con anziani fragili e soli, con bambini e adolescenti in condizione di disagio o di povertà; si occupano di stranieri e di persone senza dimora, con disagio mentale e dipendenze; gestiscono strutture diurne e residenziali, interventi domiciliari, servizi a bassa soglia, mense comunitarie e dormitori; operano come volontari negli ospedali e nelle carceri…
Sono anche quelli che in questi stessi giorni sono chiamati a gesti concreti e innovativi di solidarietà, di generosità, di vicinanza alle persone, soprattutto a quelle che non riuscirebbero – da sole – a provvedere ad esigenze di base (alimentazione e cura) e patirebbero un senso di solitudine e di emarginazione molto pesanti, chiuse come sono, e devono essere, nelle loro abitazioni.
Nonostante il silenzio sociale che li avvolge, gli operatori di queste realtà e coloro che hanno la responsabilità di dirigerle sono andati avanti nelle loro attività e stanno continuando a farlo. Lo fanno semplicemente perché non si può farne a meno, perché le persone assistite non hanno alternative: le persone disabili non possono essere lasciate sole; gli anziani hanno bisogno di assistenza ma soprattutto di relazioni; le persone ‘senza dimora’ non hanno appunto una casa dove ritirarsi; coloro che frequentano abitualmente le mense sociali devono evitare assembramenti ma, come tutti, hanno bisogno di mangiare ogni giorno…
Tutti quei soggetti, singoli e collettivi, per andare avanti prendono ogni giorno decisioni e si assumono responsabilità: aprire o chiudere un servizio, quali attività mantenere e quali sospendere, procurare i dispositivi individuali di protezione (introvabili)… Si assumono soprattutto l’onere di contemperare esigenze e diritti diversi: da una parte quello della tutela della salute di tutti e, dall’altra parte, la tutela della salute fisica e mentale delle persone che usufruiscono di quei servizi.
In questi giorni in cui cominciamo a sperare che la curva dei contagi inizi a ‘cambiare verso’, ci sembra necessario avviare una fase nuova della gestione della crisi, una fase che allarghi il più possibile il numero dei soggetti che stanno contribuendo ad affrontare la crisi stessa e che possono aiutare a pensare e realizzare la futura necessaria ricostruzione.
In particolare, il Volontariato e gli altri enti del Terzo Settore si candidano a dare un contributo importante per evitare il fatto che – accanto alla recessione economica – si dia luogo ad una altrettanto drammatica recessione sociale. Ritengono di avere esperienze, disponibilità, risorse morali e organizzative per le quali possono cessare di essere considerati – come sono stati e continuano ad essere – risorsa subordinata e complementare.
Perché questo contributo possa essere portato nel dialogo sociale, ci sembra sia necessario che questi soggetti siano inclusi in una più ampia ‘governance’ della crisi, attraverso l’attivazione a tutti i livelli (nazionale, regionale, locale) di luoghi istituzionali di coordinamento tra tutti i soggetti – istituzionali e sociali – che possono dare e stanno dando un contributo concreto alla gestione della crisi. In particolare, ci sembra necessario e urgente che questo luogo istituzionale possa essere di riferimento per il settore socio-sanitario e sociale, capace di coordinare le diverse competenze e responsabilità e in grado di offrire supporto e risposte certe al nostro mondo.
Il rischio da evitare è quello di trovarci, controllata la fase emergenziale dal punto di vista sanitario, con un’Italia più frammentata dal punto di vista sociale e più povera dal punto di vista civile.
L’epidemia che ci ha colpito lascia sul terreno, oltre al numero insopportabile di decessi, un ”enorme e diffuso senso di abbandono e di solitudine esistenziale”. Il Volontariato e tutto il Terzo Settore sono in grado – per vocazione, per storia e per struttura – di contribuire a ricucire quelle ferite e a rinsaldare legami che il contagio ha forzatamente allentato e disperso”.
Luigi Colzani . presidente CSV Insubria
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