Relazione di missione: da dove cominciare
di Marta Moroni, responsabile comunicazione CSV Milano
Idee chiare, percorso chiaro
Siamo all’ultimo contributo su come costruire una Relazione di missione utile e costruttiva per un Ente di terzo settore. Abbiamo già esplorato, infatti, l’importanza strategica della trasparenza come guida nella redazione del documento, sia perché la norma richiede che questo principio sia centrale sia perché solo così è possibile costruire un rapporto di fiducia con i propri interlocutori interni ed esterni (Relazione di missione: cerniera tra investimento e risultato). Abbiamo poi esaminato quanto sia opportuno coinvolgerli nel processo di composizione del documento, sia in fase di analisi con l’ascolto del contesto, che nel momento della restituzione, con la condivisione dei contenuti finali (Relazione di missione: chiave di legame con il contesto).
Trasformato, quindi, l’adempimento normativo in una opportunità costruttiva, siamo pronti ora a metterci davvero al lavoro per approcciare il Modello C.
La natura dei contenuti che previsti come contenuto è di due tipi diversi: uno gestionale amministrativo; un altro strategico sociale. Queste due componenti di contenuto, seppur di natura apparentemente distinta, sono assolutamente connessi perché solo insieme possono determinare il quadro di coerenze che l’Ente intende evidenziare come rappresentazione di sé e del suo operato.
I contenuti gestionali amministrativi
In questo momento è doverosa una piccola premessa. È necessario ricordare che siamo ancora in una fase transitoria rispetto alla piena attuazione delle disposizioni previste dal Codice del Terzo settore. Il Registro Unico del Terzo settore non è ancora operativo e il nuovo regime fiscale è sub iudice all’autorizzazione della Commissione europea. Per questo motivo nell’ambito dell’applicazione dei modelli indicati nel Decreto ministeriale sulle Linee guida sugli schemi di bilancio, dobbiamo considerare che i medesimi schemi di bilancio sono fortemente influenzati ancora dall’impianto logico fiscale delle norme di provenienza e questa condizione ovviamente si riflette anche nella Relazione di missione.
È un percorso in costruzione, in divenire, e per questo è utile comprendere quali siano i punti fermi ai quali appoggiarsi per raccogliere e organizzare le informazioni che sono correlate innanzitutto ai dati sul bilancio, sulla condizione economica e la situazione patrimoniale e finanziaria dell’Ente, oltre a una serie di ulteriori informazioni in merito alle risorse umane impegnate e per quali funzioni.
È ben inteso che è necessaria una raccolta e una sistematizzazione delle informazioni e dei dati che concorra al dare evidenza:
- dell’efficacia dell’azione dell’Ente (mostrare quanto è stato prodotto per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, per la soddisfazione di bisogni, per la risposta alle aspettative dei soggetti cui è indirizzata la propria azione)
- dell’efficienza rispetto alla capacità dell’ente di utilizzare risorse per i risultati ottenuti
- della coerenza con i principi normativi del Codice del Terzo settore.
Per consentire così una lettura approfondita e al tempo stesso esaustiva del bilancio, della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’ente, occorre quindi dare evidenza alle dinamiche che hanno caratterizzato la vita annuale di stato patrimoniale e conto economico.
In tal senso la Relazione di missione conterrà alcune informazioni di natura descrittiva sull’utilizzo delle risorse economiche, altre di evidenziazione delle scelte strategiche e di quale impatto economico, finanziario e gestionale hanno avuto. Oltre al bilancio, poi, le deliberazioni assunte dall’ente nel corso dell’anno sociale rappresentano importanti riferimenti poiché di norma qui si ritrovano le scelte strategiche gestionali che sono state determinate.
La dott.ssa Chiara Borghisani, dottore commercialista esperta in enti non profit, che ci aiuta nella lettura di come gestire l’adempimento in questa fase transitoria, ci ha suggerito di partire “… dall’avere chiari gli ambiti che sono oggetto di analisi, cioè: le attività di interesse generale, le attività diverse, le attività di raccolta fondi. Per ciascuno di questi ambiti” continua “occorre evidenziare quali attività sono state realizzate, come sono state realizzate e quale risultato hanno generato” evidenziandone, quindi, la interconnessione. La dott.ssa, poi, aggiunge un consiglio: “sarebbe opportuno, in questa fase, costruire anche alcuni, pochi indici sui quali ragionare per migliorare nel tempo”, punti di osservazione che possono aiutare l’ente a migliorare nel tempo. A titolo di esempio Borghisani cita “se in un centro diurno si avesse lista d’attesa, o un tasso di occupazione del 100%, o ancora molte assenze per malattia, oppure i risultati di una customer satisfaction”.
Per rendere trasparenti alcune sezioni della Relazione di missione, poi, è necessario illustrare i dati interpretandoli con semplicità e chiarezza, come ad esempio accade con la nota integrativa, e integrarli con altre tipologie di informazioni, quali, ad esempio, quelle riguardanti gli oneri e proventi figurativi. Questi ultimi, ci spiega Borghisani: “sono valori che non nascono da movimentazioni finanziarie, e quindi non trovano evidenza nel bilancio, ma che costituiscono un elemento qualificante e caratterizzante delle attività di mote organizzazioni non profit. Non sono costi né proventi, ma rappresentano una parte determinante del perseguimento dell’attività di interesse generale e che quindi deve essere reso evidente per il ruolo che esercita nella lettura complessiva dell’ente di Terzo settore”.
I contenuti identitari, strategici e sociali
Per poter restituire con trasparenza la dimensione sociale di un ente è indispensabile che vi sia chiarezza e convergenza sulla lettura di questo aspetto prima di tutto al suo interno. La dimensione sociale si compone di diverse parti che, per poter concorrere al medesimo obiettivo di cambiamento, devono essere inserite in un coerente sistema di relazioni reciproche.
La prima è l’identità, che è la finalità per la quale l’ente esiste (la finalità di interesse generale alla quale concorre), espressa nella mission come obiettivo di cambiamento sociale che si intende raggiungere e per il quale si ritiene necessario che l’ente operi.
Poi c’è la struttura che è il come l’ente si organizza per dare corpo a questa identità, quindi con quale governo, con quale struttura operativa e grazie a quale rete di relazioni.
Infine ci sono le azioni, che descrivono l’agire dell’ente perché il cambiamento atteso possa accadere, quali attività realizza, come le pianifica, le conduce, le monitora in modo da valutare cosa hanno prodotto.
Quindi, da dove cominciare nella stesura della Relazione di missione? Innanzitutto dal fare chiarezza su questi tre elementi: metterli in fila, nero su bianco, tramite la condivisione di punti di vista differenti che infine convergano in una sintesi unica e definita.
Cristiana Rogate, Presidente e fondatrice di Refe – Strategie di sviluppo sostenibile -, interrogata su questo, suggerisce di organizzare tre riunioni dedicate con i principali interlocutori interni all’ente finalizzate proprio alla definizione o ridefinizione di ciascuna componente della dimensione sociale: identità, struttura, azioni. Fondamentale, in queste occasioni, è non solo definire i singoli “pezzi” del puzzle associativo, ma evidenziare anche le loro posizioni reciproche e i rispettivi punti di connessione, disegnando il quadro identitario complessivo che muove la vita dell’ente e identificando alcuni obiettivi di miglioramento – pochi e fattibili – come motore di un percorso evolutivo.
Fatto questo, i contenuti da inserire nel documento saranno chiari e organizzati in modo coerente. L’operazione compilativa del modello C diventa di conseguenza un’occasione preziosa per ricostruire e condividere tra i diversi soggetti interni la catena di senso (C. Rogate, T. Tarquini, 2008) che consente di connettere i livelli identitario, strategico e operativo dell’ente, per poi attivare all’esterno una comunicazione chiara e credibile con i diversi stakeholder. La rendicontazione – rigorosa da un punto di vista metodologico ed efficace da un punto di vista comunicativo – traduce in pratica il principio di trasparenza e partecipazione e offre una base solida per un dialogo costruttivo con gli interlocutori esterni all’ente.
Poiché, infatti, interessi e bisogni che legano questi ultimi all’ente sono differenti, è strategico tenere conto delle loro specificità, tarando ingaggio, linguaggi, contenuti e strumenti di restituzione del valore prodotto dall’ente in funzione del target al quale, di volta in volta, questo si rivolge, come rinnovata occasione di rinforzo della fiducia reciproca, dell’efficacia di scelte e attività e della collaborazione tra ente e contesto.
Conclusioni
Gli strumenti rendicontativi degli enti di Terzo settore, come la Relazione di missione oggetto di questi tre approfondimenti, così come il Bilancio sociale che è obbligatorio per gli enti di dimensioni elevate, o altre forme anche ibride che si possono individuare, richiedono l’attivazione di percorsi che consentono di analizzare, raccontare e valutare l’ente stesso. Così l’adempimento diventa un’opportunità perché l’occasione per conoscersi e farsi conoscere (Rendersi conto per rendere conto® è il metodo Refe), con l’obiettivo di evolvere e crescere insieme a coloro per cui l’ente stesso esiste.