La memoria rende liberi: la nostra recensione
Titolo: La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella
Shoah
Autori/curatori: E. Mentana, L. Segre
Editore: Rizzoli
Edizione: 2019
Enrico Mentana (direttore del Tg 7) introduce il racconto autobiografico di Liliana Segre (1930) scampata ad Auschwitz e dal 2018 senatrice a vita.
Il libro pubblicato nel 2015 è stato riproposto in una nuova edizione con discorsi pubblici pronunciati dalla Segre in diverse occasioni e che spiegano i meriti in campo sociale di questa donna. I proventi dei diritti d’autore verranno devoluti alla Onlus Opera San Francesco per i poveri.
Il giornalista sottolinea come in Italia gli ebrei fossero pochissimi e largamente omologati. Anche se tra gli ebrei c’erano degli antifascisti (come i fratelli Rosselli) fino al 1938 la maggior parte degli italiani, anche intellettuali, e perfino molti ebrei espressero favore nei confronti del fascismo.
Ma le leggi razziali dell’estate 1938 imposero in pochi mesi una serie di restrizioni che avrebbero dovuto aprire gli occhi sulla deriva del fascismo. Invece, benchè ci siano stati atteggiamenti umani e solidali, la maggior parte degli italiani chiuse gli occhi o addirittura approfittò della ghettizzazione degli ebrei. E anche quando alla fine della guerra i pochi scampati riuscirono a ritornare, a lungo si tacque sulla loro persecuzione e questo ci obbliga a scardinare il mito “italiani brava gente”.
E così Liliana Segre narra in prima persona con uno stile semplice, scorrevole, senza alcuna retorica, la sua esperienza da quando all’età di 8 anni la sua vita inesplicabilmente cambia. Orfana di madre, legatissima al padre, di famiglia dell’alta borghesia milanese non praticante, non può più frequentare la scuola, la famiglia tenta inutilmente di fuggire. A 13 anni deve partire dal famigerato binario 21 della stazione di Milano verso il lager di Auschwitz dove arriva il 6 febbraio 1944. Qui, separata dal padre che non avrebbe più visto, inizia un percorso di schiavitù: deve imparare a cavarsela da sola e si trova ridotta a un numero, annullata, inaridita, dominata da un istinto di sopravvivenza. Il 20 gennaio 1945 con la ritirata dei Tedeschi comincia la marcia della morte e, liberata dagli americani il 1° maggio, solo dopo altri mesi riesce a giungere a Milano.
E qui si trova ad affrontare il difficile rientro nel “mondo normale” quando scopre che il suo martirio non interessa ad alcuno, neanche ai parenti sopravvissuti: nessuno vuole più sentir parlare di guerra e tanto meno di Auschwitz. Questa ragazza vive tre anni tragici: diventa grassa, di umore cupo, si comporta in modo ribelle fino a che decide di riprendere gli studi e a 18 anni incontra quello che sarebbe diventato il compagno di una vita.
Per anni la Segre, nel desiderio di normalità, non parla delle sua esperienza. Solo dopo una grave forma di depressione ed essere diventata nonna, decide di condividere il suo passato, di testimoniare gli orrori dell’olocausto rivolgendosi soprattutto ai giovani, ai ragazzi nelle scuole.
Il sentimento dominante della sua testimonianza non è l’odio verso i carnefici, non è il desiderio di vendetta, ma il bisogno di contrastare l’incitamento alla violenza che oggi, anche attraverso la rete, si sta diffondendo, ma soprattutto di fuggire dalla indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze. Di fronte al dolore per i fantasmi del passato la Segre ha scelto non di farla finita (come invece aveva fatto primo Levi), ma neppure di sopravvivere, bensì ha scelto di vivere per raccontare con onestà intellettuale l’indicibile, per tenere viva la memoria delle ingiustizie compiute, per dare voce a chi non è più ritornato.
(a cura di Giuseppina Calzolari, Redazione CSV Brescia)