Sabbadini: geografia delle disuguaglianze post Covid
La direttrice centrale dell’Istituto di statistica: servono riforme urgenti per superare il divario Nord-Sud, per un welfare di prossimità, per valorizzare il non profit
Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale di Istat
Alla vigilia del Coronavirus il Pil del nostro Paese ancora non aveva raggiunto il livello precedente alla crisi del 2009, nonostante dal 2014 fossimo usciti dalla recessione. Il problema è che la sua crescita è stata modesta e non al punto di riportarci ai livelli precedenti. Da un punto di vista lavorativo, il livello di occupazione alla vigilia del Covid-19 era stato recuperato, ma ciò non era avvenuto per tutti. Non per gli uomini, il Mezzogiorno, i giovani.
Problema della povertà: penalizzati giovani e famiglie
La cosa più grave che non abbiamo recuperato, però, è stata la povertà. La crisi avviatasi tra il 2008-2009 ha avuto come risultato una prima diminuzione dell’occupazione, che non si è tradotta in crescita della povertà assoluta. Nonostante le difficoltà nell’occupazione, per qualche anno la povertà non è cresciuta, grazie all’azione di due ammortizzatori sociali fondamentali: la cassa integrazione, in particolare per i capifamiglia, e la famiglia per i giovani. In sostanza è successo che la cassa integrazione ha protetto per un periodo le persone, che avrebbero altrimenti perso il lavoro, soprattutto nel settore dell’industria e delle costruzioni. Questa forma di protezione ha tutelato di più i capi famiglia rispetto ai giovani. Questi ultimi hanno trovato protezione grazie al reddito della loro famiglia di origine. Hanno vissuto però un doppio problema: da un lato hanno perso il lavoro, dall’altro negli anni successivi non sono riusciti a trovarlo né nel pubblico, né nel privato, per il sostanziale blocco delle assunzioni nella PA. Di conseguenza le famiglie si sono attrezzate. Hanno dato fondo ai risparmi, per cercare di resistere anche al venir meno del reddito dei figli, che avevano perso il lavoro. Si sono anche indebitate per garantire gli standard di vita, fino a quando non ce l’hanno fatta più. E nel 2012 una parte di queste famiglie è caduta in povertà, ed è raddoppiata la povertà assoluta. Da quel momento il problema della povertà è rimasto irrisolto: nonostante l’aumento del PIL a partire dal 2014 e l’uscita dalla recessione, la povertà non è diminuita fino al 2019, quando abbiamo registrato un calo, in particolare nel Sud del Paese per effetto dell’introduzione del reddito di cittadinanza. Si è trattato però di un recupero soltanto di una piccola parte di quel raddoppio del numero dei poveri che c’era stato in precedenza. È bene ricordare che il rischio di povertà ha colpito differentemente i diversi soggetti sociali. Chi ha pagato di più sono stati i bambini e i giovani, la cui incidenza di povertà è triplicata. Gli anziani, invece, hanno mantenuto gli stessi livelli di povertà assoluta che avevano a inizio crisi, perché hanno mantenuto la loro pensione. Siamo arrivati alla pandemia già profondamente provati, cioè usciti da una recessione economica, senza aver risolto i problemi più gravi che esistevano nel Paese, da un punto di vista sociale.
Il nodo del lavoro: una situazione drammatica
Dal punto di vista del lavoro in questi anni si è aggravato il divario territoriale, perché il Sud non ha recuperato l’occupazione che ha perso dal 2008 e le altre zone del Paese sì. Si è aggravato anche il divario generazionale. I giovani di 25-34 anni hanno ancora 8 punti di tasso di occupazione in meno, rispetto al 2008, e questo sia al Nord che al Sud, anche se i giovani del Sud stanno in una condizione complessivamente peggiore. Inoltre, il tasso di occupazione femminile, pur essendo cresciuto di più i quello maschile, è aumentato per il segmento delle ultracinquantenni, in seguito all’elevamento dell’età pensionabile, mentre tra le giovani di 25-34 anni la situazione è la stessa che vivono i coetanei maschi. Le giovani donne oggi si ritrovano in grave difficoltà e molto più indietro rispetto alle coetanee del 2007-2008. Possiamo dire che in generale la crescita dell’occupazione è stata indotta in buona parte dalla maggiore permanenza nel mercato del lavoro degli ultracinquantenni. Infatti, dal 2008 a oggi è questa l’unica classe di età che ha avuto un incremento di occupazione di ben 13 punti percentuali. La fascia dei giovani di 25-34 anni – l’età in cui uno vuole costruire una propria vita indipendente, che vuole magari avere un figlio – ha perso 8 punti, con il risultato di un forte aumento delle differenze generazionali nel mercato del lavoro. Poi è arrivato il Covid-19 e ciò ha aggiunto disuguaglianze alle disuguaglianze preesistenti. Chi stava peggio è peggiorato nella sua situazione. Nuovi settori sono precipitati in difficoltà terribili, proprio quando si stavano riprendendo dalla crisi precedente. È il caso della ristorazione e del turismo. In questi settori il problema non riguarda solo le piccole realtà, che avranno più difficoltà a rimettersi in piedi, ma anche tutta una fascia di lavoratori lavoratrici, che si trovano in situazione di precarietà, con contratti di tipo stagionale o a tempo determinato o irregolari. I dati Istat che riguardano marzo e aprile ci dicono che in due mesi abbiamo avuto un calo dell’occupazione complessiva di 400mila persone: una cifra enorme. In aprile il calo è stato di 274mila. Non era mai capitato prima e, nella crisi precedente, non siamo mai arrivati a perdere tutta questa occupazione in un solo mese. Va inoltre sottolineato che tutto ciò è avvenuto in un momento in cui è stata attivata molta protezione, è stata estesa la cassa integrazione, sono stati dati sussidi. Ma questi a un certo punto finiranno. E allora, o il Paese riesce veramente a ripartire, oppure sarà difficile resistere e ci sarà un’esplosione della povertà con rischi di forte disperazione sociale.
L’ostacolo digital divide è da superare
Anche altre forme di disuguaglianze sono emerse durante questa crisi. L’isolamento all’interno delle proprie case, nei mesi del lockdown, ha accentuato problemi di equità: far fronte alla chiusura delle scuole con l’attivazione della didattica online ha accentuato le disuguaglianze tra bambini, tra chi possiede l’infrastruttura informatica e chi non ce l’ha, tra chi vive in case sovraffollate e chi no. Le disuguaglianze tra bambini crescono, se la scuola smette di svolgere il ruolo di agente di equità. stata una situazione difficile, per i giovanissimi e per i bambini, che magari dovevano seguire una lezione in classe tramite il cellulare dei propri genitori. Ma è stata una situazione difficile anche per gli anziani, che non potevano interagire più di tanto con i propri familiari. Il nostro Paese è in ritardo, in termini di accesso alle nuove tecnologie, e anche chi accede non ha grandi livelli di competenza. Su questi due aspetti bisognerebbe intervenire e anche il Terzo settore potrebbe impegnarsi per colmare questo gap.
Le donne, pilastro della nostra società
Le donne sono state un pilastro della lotta contro il virus: basti pensare che i due terzi del personale sanitario è femminile. Non sono poche quelle che si sono trovate in frontiera. Il 23% ha anche svolto smartworking ma, in presenza di figli, ciò è stato particolarmente difficile.
Hanno continuato a svolgere il lavoro di cura, con costi molto elevati. Il problema grave del lockdown è stato che, mentre prima il carico di lavoro e cura si distribuiva nella giornata in fasce orarie diverse, con lo smartworking e le scuole chiuse la routine è saltata e si è creata una sovrapposizione particolarmente complessa da gestire soprattutto per le donne del settore privato con massima rigidità dell’organizzazione del lavoro. La cosa positiva è che il tempo dedicato al lavoro di cura dei bambini è aumentato per le donne, ma è cresciuto anche per gli uomini. Gli uomini che hanno dovuto sospendere il lavoro, oppure hanno dovuto limitare il numero di ore, sono stati di più a casa con un maggior coinvolgimento nella responsabilità genitoriale, che ancora nel nostro Paese non è adeguatamente sviluppata. Chissà che questa situazione eccezionale non abbia rappresentato anche una spinta verso un modo diverso di vivere la stessa paternità, sulla quale lavorare agendo con misure di varia natura, che possano ulteriormente facilitare il coinvolgimento dei padri nella cura, nelle responsabilità genitoriali e nel carico di lavoro familiare.
La riscoperta delle relazioni e degli affetti
C’è un elemento interessante che emerge con l’arrivo del Covid-19, che il Paese, comunque, ha reagito in modo compatto e coeso nei confronti di questa crisi. Si è creato un clima di solidarietà. Le persone, per la grande paura, si sono rifugiate negli affetti e nelle relazioni familiari. È sbagliato parlare di distanza sociale nel nostro paese. C’è stata una distanza fisica, non sociale. Alcuni segmenti di popolazione hanno vissuto un problema di isolamento – basti pensare agli anziani che vivono soli e non hanno figli – ma la gran parte della popolazione da un lato si è rifugiata nella famiglia e ha vissuto positivamente il legame familiare, e dall’altro si è anche attenuta fortemente alle regole, e
ha visto con grande considerazione chi si è speso per la vita di tutti: pensiamo alla protezione civile, agli operatori sanitari. La distanza sociale non è cresciuta: la rete di relazioni si è riconfigurata, nel senso che le persone hanno cercato di attrezzarsi come potevano per sviluppare le proprie relazioni sociali, via telefono, via web. Sono aumentati i contatti con i parenti, con gli amici e ognuno ha protetto l’altro.
Occorre valorizzare il senso civico
I cittadini hanno capito la situazione e, in qualche modo, hanno creato un tessuto di protezione sociale. Se noi pensiamo a prima del Covid-19, la frammentazione sociale era molto diffusa. La coesione, il sentirsi tutti uniti contro il virus, rappresenta una novità. Dobbiamo riuscire a valorizzare questa carica positiva, perché purtroppo la crisi economica si abbatterà violentemente su tanti e i rischi di disgregazione sociale sono molto alti. È vero il senso civico si è sviluppato. Questa grande paura ha fatto sì che la coscienza crescesse e che i cittadini comprendessero che da questa situazione si può uscire solo si è uniti e compatti, se ci si aiuta, se si rispettano le regole. È stata un’esperienza scioccante, da cui possiamo trarre lezioni. Certo, nulla ci garantisce che il senso civico riscoperto permanga nel tempo. Siamo in piena crisi sociale e economica e in queste situazioni
così gravi la possibilità che si sviluppi la guerra tra poveri, che si diffonda la disperazione e la disgregazione sociale, va messa in conto. Però dobbiamo anche riflettere su un’altra cosa: veniamo da una crisi, quella precedente al Covid-19, che è stata particolarmente dura. Eppure non abbiamo avuto fenomeni come quello dei gilet gialli, nonostante il nostro Paese avesse vissuto una crisi più grave. Il nostro tessuto sociale ha retto a una crisi tanto profonda da veder raddoppiata la povertà. Ciò avrebbe potuto innescare un aumento della violenza, degli omicidi. Invece, negli ultimi anni, i reati violenti sono diminuiti. Così come gli omicidi.
Post emergenza, serve un welfare di prossimità
Tutto questo ci deve dare speranza e va valorizzato. Dobbiamo fare in modo che si sviluppi realmente un welfare di prossimità, un welfare delle relazioni, si deve investire su questo. Serve una strategia di rifondazione del sistema di welfare che non scarichi sulle donne come è stato fatto finora l’onere dell’assistenza, ma che garantisca che il settore pubblico rilanci la sua funzione primaria e assuma la centralità della persona nella assistenza sociale nei suoi obiettivi. E poi c’è il problema della sanità, dove l’età media degli occupati è la più alta di Europa, dove non stiamo garantendo il ricambio generazionale. Nell’ambito dei servizi di cura e dell’assistenza sociale abbiamo un milione e settecentomila occupati in meno rispetto alla Germania, in proporzione con il numero degli abitanti. Immaginate quante donne e giovani potrebbero entrare nel mercato del lavoro, se facessimo assunzioni di questo tipo, privilegiando una volta per tutte la sanità territoriale e non semplicemente ospedaliera. Se solo investissimo quanto la Germania nell’assistenza sociale e nella sanità pubblica la crescita dell’occupazione e del benessere dei cittadini si accelererebbe di molto. E potremmo puntare sul welfare di prossimità. E sarebbe un bel rilancio anche dell’occupazione
giovanile e femminile che più hanno pagato gli effetti del blocco del turn over in questi settori. Il momento è molto difficile e bisogna essere coscienti che la situazione peggiorerà da un punto di vista economico e sociale, nonostante tutte le misure che potranno essere emesse. Però è anche vero che mai come oggi l’Europa ci sostiene. È intenzionata a investire per evitare che una catastrofe investa il nostro Paese e possa riflettersi in tutto il continente. Questa è una grande opportunità per noi e per l’Europa. Da decenni non avevamo la possibilità di utilizzare un serio investimento economico. Ora sì e non possiamo sbagliare. Il problema è scegliere direttrici fondamentali adeguate. Scegliere
una via che possa veramente farci fare un salto di qualità in termini di sviluppo economico, ma accompagnato dall’equità.
Terzo settore, più “aiuti” dallo Stato
Il Terzo settore è un soggetto fondamentale per il futuro del Paese, perché è elemento di garanzia per il tessuto sociale. Siamo solo all’inizio di una crisi durissima che minaccia la nostra coesione sociale
e territoriale. Il Terzo settore può rappresentare un baluardo fondamentale del nostro tessuto sociale. Deve attivarsi adeguatamente. Così come ci si concentra ad aiutare le imprese, perché riescano a resistere in un momento difficile, così si deve intervenire sul Terzo settore, che lavora in primis sul bene comune. Se lo Stato investe in infrastrutture economiche, questo porterà occupazione. Ma investire in infrastrutture significa farlo anche sui servizi educativi, sui servizi sociali, sulla sanità e su tutti quei settori della cura, che sono fondamentali per la qualità della vita e nei quali è molto importante il ruolo del Terzo settore. Il quale, però, deve diventare protagonista anche sul piano politico, facendo sentire di più la propria voce sulle strategie di ripartenza del Paese.
Premi e riconoscimenti:
- 100 Eccellenze italiane (2015)
- Premio internazionale donne (2015)
- Premio Casato prime donne (2013)
- Premio Voce di donna (2013)
- Premio speciale progetto donna e futuro (2012)
Vdossier
articolo tratto da
“Il contagio della solidarietà per creare un mondo nuovo”
Vdossier numero 1 2020
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.