BBC e non profit: bonus da incentivare, burocrazia da snellire, credito da agevolare
La pandemia è uno spartiacque tra presente e futuro per
piccole e medie realtà. Ecco una road map per ripensare identità, mission, gestione delle risorse e impatto sulla comunità.
Paolo Marelli
La pandemia ha inferto un duro colpo anche al non profit. I giorni più bui sono stati durante il lockdown. Ma, sebbene il picco dell’emergenza sia alle spalle, la ferita non si è ancora rimarginata. Tutt’altro. Tanto che le previsioni per il futuro non si annunciano rosee, né per le grandi associazioni né per le piccole. Qualche esempio. La Lega del Filo d’Oro, che assiste dal 1964 bambini ciechi e sordi, è preoccupata. Il presidente Rossano Bartoli: «Il 65% delle nostre risorse è frutto di donazioni. A marzo si erano dimezzate. Poi grazie alle offerte online e ai bonifici sono risalite. Anche se hanno compensato le perdite solo in parte». Da Busto Arsizio lancia l’allarme l’associazione Apar che da più di vent’anni gestisce il canile della città in provincia di Varese. Niente più avvenimenti sul territorio, niente più contributi in entrata. La situazione è grave. In sofferenza anche l’Airc (Associazione Italiana per la ricerca sul cancro): nel 2019 ha raccolto 20 milioni di euro dalle donazioni tramite eventi, cene, manifestazioni. E altri 18 milioni dai bollettini postali. Niccolò Contucci (direttore generale): «Senza iniziative per il lockdown e il distanziamento sociale stimiamo di perdere 10 milioni. Le offerte con i bollettini si sono quasi azzerate». Risultato: a fine 2020 Airc prevede una perdita di 30 milioni. Non se la passa meglio nemmeno Greenpeace. Andrea Pinchera, direttore fundraising, spiega che senza la possibilità di mandare i ragazzi per strada avvicinando i passanti per persuaderli a donare, le entrate rischiano di ridursi della metà.
Dalle organizzazioni nazionali a quelle locali il quadro resta negativo: 457 associazioni culturali hanno scritto una lettera aperta all’amministrazione comunale di Padova per esprimere la loro paura. Da un sondaggio risulta che la metà di esse, a causa dei bilanci sempre più magri per l’interruzione prolungata delle attività, rischia di sparire privando la città e il territorio di enti non profit che promuovono musica, teatro, danza, arti figurative, filosofia, lettura, spiritualità, cinema, inclusione e tanto altro. Tre su quattro di queste associazioni sono state costrette dall’emergenza Coronavirus a sospendere completamente le loro iniziative. Ma affitti, bollette, imposte e tasse sono rimasti da pagare. Di fronte a tale scenario, come le istituzioni nazionali e locali possono tendere una mano al Terzo settore che sta vivendo una stagione drammatica, anche se la macchina della solidarietà non si è mai fermata? Dal mondo delle associazioni la risposta è un coro unanime: senza vere riforme, non ci sarà mai vera ripresa. Poiché gli aiuti concessi dal governo sono necessari per una fase breve, ma non sufficienti per sostenere il terzo pilastro (insieme a pubblico e privato) del “sistema” Italia nel lungo periodo. Così il mondo della solidarietà alza la voce: salvare il non profit è tutelare il welfare, perché da anni il volontariato non è più solo sostituivo ma è diventato integrativo al pubblico.
Per le organizzazioni, il Terzo settore ha bisogno di un mix di tre ingredienti per rialzarsi: tempo, risorse e nuove energie. Senza dimenticare che, proprio in conseguenza della pandemia, il numero dei bisogni a cui il non profit è chiamato a rispondere si è impennato.
I bisogni crescono più dei finanziamenti
Da solo il salvagente del Governo potrebbe non bastare. Nei 266 articoli che compongono le 321 pagine del decreto Rilancio sono 8 gli articoli che contengono le misure strettamente economiche a sostegno del Terzo settore. Oltre a questi, se si aggiungono anche le “voci” che riguardano nel complesso la tutela e la promozione del non profit, si sale al numero totale di 23 articoli (commi compresi). In generale, solo per citarne alcuni, i campi d’intervento spaziano dall’incremento delle risorse del Fondo nazionale per il servizio civile all’aumento del Fondo del Terzo settore; dall’anticipo dell’erogazione del 5 per mille per l’anno 2019 al sostegno al non profit nelle Regioni del Mezzogiorno; dal credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro all’acquisto di dispositivi ed altri strumenti di protezione individuale.
Capitolo finanziamenti. Nel dettaglio i fondi concessi da Roma al Terzo settore sono una goccia nel mare: dei 155 miliardi stanziati per risollevare l’Italia dalla crisi post pandemia, solo lo 0,6%, pari a un miliardo, è destinato a cinque interventi diretti alla galassia della solidarietà. Sommando anche i contributi a fondo perduto – stimati dagli addetti ai lavori in circa 2 miliardi – si arriverebbe a un totale di 3 miliardi, pari all’1,9% della cifra complessiva prevista dal decreto. Troppo poco, a giudizio di tanti. Anche se per alcuni è comunque un passo avanti rispetto al passato. Come già anticipato, il fronte dei bisogni continua a estendersi. I numeri forniti dalla Caritas parlano chiaro: in una rilevazione nazionale condotta tra il 9 e il 24 aprile scorso gli sportelli parrocchiali hanno registrato un raddoppio delle persone che, per la prima volta, chiedevano cibo, aiuti economici per le spese domestiche, pasti a domicilio, più servizi mense e vestiti. Un allarme confermato anche da un rapporto di Save the Children. L’organizzazione ha stimato un milione di bambini in più, rispetto agli attuali 1,2 milioni, che in Italia rischiano di scivolare nella «povertà assoluta», con una percentuale che crescerebbe dal 12 al 20% del totale.
I principali aiuti per la macchina della solidarietà
Una boccata d’ossigeno per il volontariato potrebbe arrivare dall’ampio ventaglio di misure previste dal decreto. A cominciare dall’aumento di 100 milioni di euro del Fondo per il Terzo settore per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale. All’incremento di 20 milioni per il 2020 del Fondo nazionale servizio civile. Il testo di legge, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 18 luglio, contiene diverse implementazioni di fondi destinati al Terzo settore (in modo specifico o meno) e, tra le misure più significative, l’estensione del cosiddetto “Superbonus” agli enti di Terzo settore e alle associazione sportive dilettantistiche (art. 119 comma 9, lettera d) §-bis e lettera e). Quest’ultima agevolazione, che è possibile anche trasformare in credito di imposta, consente la detrazione del 110% dell’importo sostenuto per interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica o sismica di una vasta tipologia di immobili.
Relativamente ai fondi, da segnalare l’allargamento a Veneto e Lombardia del fondo istituito per il sostegno al Terzo settore nelle regioni del Mezzogiorno (art. 246 del Dl Rilancio), con lo stanziamento complessivo di 100 milioni per il 2020, di cui 20 milioni riservati a interventi per il contrasto alla povertà educativa; e di 20 milioni per il 2021. Previsto anche un fondo per il sostegno alle attività di spettacolo dal vivo, con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2020.
Tornando al capitolo credito d’imposta è stato riconosciuto uno sconto del 60% per le spese sostenute nel 2020 (fino a un massimo di 80 mila euro), per interventi necessari per far rispettare le prescrizioni sanitarie e le misure di contenimento contro la diffusione del virus Covid-19. Così come è stato previsto un credito d’imposta del 60%, per le spese sostenute quest’anno, fino al limite massimo di 60 mila euro, per interventi di sanificazione di ambienti e strumenti di lavoro, dispositivi di protezione, di sicurezza, detergenti e disinfettanti. Disposto anche un credito d’imposta del 60% del canone di locazione di immobile a uso non abitativo destinato allo svolgimento dell’attività istituzionale. Per le imprese sociali, invece, sono state varate misure di sostegno (in proporzione al numero di dipendenti) per la riduzione del rischio da contagio nei luoghi di lavoro. Non sarà dovuto il versamento del saldo Irap 2019 e il versamento del primo acconto 2020. Sospesa la prima rata dell’Imu. Riconosciuta la possibilità per gli anni 2020 e 2021 di trasformare in detrazioni fiscali le spese per gli interventi di ristrutturazione edilizia e la sostenibilità energetica. Beneficeranno di aiuti anche gli enti non profit attivi nello sport, disabilità, cultura, turismo e i centri estivi.
Sbloccare gli incentivi fiscali della Riforma
Proseguendo nella stessa direzione degli aiuti, occorrerebbe sbloccare subito le misure fiscali introdotte dalla Riforma del Terzo settore. È quanto sottolinea Marco Musella, professore di economia politica a Napoli e presidente di Iris Network (la rete degli Istituti di ricerca sull’impresa sociale), che lancia un appello dalle colonne del Corriere della Sera (inserto “Buone notizie”). «Le imprese sociali – osserva – non possono al momento usufruire degli incentivi fiscali già previsti dalla Riforma del Terzo settore». Facendo un passo indietro, spiega che «il primo tentativo di disciplinare l’impresa sociale – decreto legislativo 155/2006 – non aveva avuto esiti pratici rilevanti per un semplice motivo: a fronte di vincoli stringenti, non vi era alcun incentivo». Il risultato? «Furono pochissimi i soggetti ad assumere questa qualifica. Il decreto legislativo 112/2017, che applica la Riforma del Terzo settore alle imprese sociali, ha provato a porre rimedio a questa situazione prevedendo due importanti misure: la detassazione degli utili posti a riserva indivisibile (come lo è tutto il patrimonio di queste imprese) e reinvestiti – misura mutuata dal mondo cooperativo – e la deducibilità fiscale del capitale, come già previsto per le startup innovative. Ma il legislatore ha voluto essere molto prudente: tali misure sarebbero divenute operative previa notifica alla Commissione Europea e al suo successivo assenso. In tre anni il Governo italiano non ha mai notificato queste agevolazioni a Bruxelles. E anche se lo facesse oggi, le conseguenze reali si avrebbero non prima del 2022. Ma i bisogni del Paese hanno altri tempi». Eppure per Musella una soluzione ci sarebbe. Servirebbe una modifica alla normativa che «renda subito operativi questi strumenti senza il passaggio in Commissione Europea e che quindi abiliti da subito quanto il nostro Paese ha deciso già tre anni or sono. Questa soluzione è per altro coerente con l’articolo 26 del decreto Rilancio, dove è prevista, senza bisogno di autorizzazioni preliminari della Commissione Europea, la deducibilità degli importi versati come capitale sociale per le imprese danneggiate dal Covid- 19, una misura analoga a quella pensata (ma congelata) per le imprese sociali. È il segno che si può fare, si tratta di volerlo».
Serve una svolta: l’appello al presidente Conte
Finanziamenti, esenzioni, aiuti sono necessari ma da soli risulterebbero non sufficienti. Serve una svolta. Con una lettera aperta, 53 autorevoli esponenti della società civile chiedono al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di adottare un Action Plan che possa essere sinergico con le misure previste dalla Commissione Europea e che Bruxelles si accinge a lanciare. Promosso da Carlo Borzaga e Gianluca Salvatori di Euricse e Marco Musella di Iris Network, tra i primi firmatari del documento ci sono Donatella Bianchi, Luigi Bobba, Carlo Borgomeo, Mario Calderini, Enrica Chiappero, Gherardo Colombo, Ferruccio de Bortoli, Franca Maino, Maurizio Ferrera, Cristiano Gori, Giuseppe Guzzetti, Sebastiano Maffettone, Enzo Manes, Serena Porcari, Franco Marzocchi, Marco Morganti, Felice Scalvini, Vera Negri Zamagni, Stefano Zamagni. Affermano che occorre uscire dalla logica dei singoli interventi e tracciare una linea di azione complessiva, «dotata di risorse adeguate a progettare uno sviluppo di lunga durata». Non chiedono solo «di riconoscere il contributo del Terzo settore nella gestione dell’emergenza, attraverso i volontari della Protezione civile, le associazioni che hanno curato la distribuzione di viveri e generi di prima necessità, le cooperative sociali che hanno garantito i servizi nei luoghi più esposti al contagio e molto altro ancora. O del contributo, più in generale, che le organizzazioni dell’economia sociale garantiscono all’economia italiana nel suo complesso, operando trasversalmente in tutti i settori e dando lavoro a più di un milione e mezzo di persone». Premono, invece, perché il nostro Governo dia forza al cosiddetto “pilastro sociale” dell’Ue, finora trascurato. Scrivono che «nei prossimi mesi la Commissione Europea, dopo una consultazione ampia, darà luce a un Action plan per l’economia sociale, determinante per la programmazione comunitaria 2021-2027. In quella cornice verranno definiti obiettivi, strumenti e risorse per rafforzare il contributo allo sviluppo economico e sociale europeo del non profit, delle imprese sociali, dell’associazionismo, della filantropia e di tutte le organizzazioni che affondano le loro radici nell’esperienza collettiva. L’Italia deve fare altrettanto: si doti di un Action Plan nazionale per tracciare la strategia con cui rendere il Terzo settore e l’economia sociale parte integrante del percorso di rilancio del Paese». In questa lunga lettera i firmatari evidenziano una seconda opportunità che arriva «dal programma straordinario Next Generation EU e da tutti gli strumenti che la Commissione Europea sta mettendo in campo per affrontare la crisi scatenata dal Covid-19. L’indicazione che viene dall’Europa è che queste ingenti risorse servono non solo a far ripartire l’economia ma anche a irrobustire la coesione sociale. Ci sono specifiche azioni, come REACTEU, pensate proprio a questo scopo. Quindi, al presidente del Consiglio chiediamo che il Piano di azione per il Terzo settore e l’economia sociale venga finanziato con una quota non marginale delle risorse straordinarie e ordinarie che nei prossimi mesi verranno destinate all’Italia». Concludono sostenendo che «serve un allineamento tra tempo, risorse ed energie. Serve un’azione di largo respiro e con uno sguardo lungo. Nessuna delle questioni che oggi siamo chiamati ad affrontare ha probabilità di essere risolta senza questa prospettiva e senza il contributo del Terzo settore e dell’economia sociale. È essenziale però che questo contributo non resti sotto il suo potenziale o vada disperso in mille frammenti. Perciò servono un Piano di azione nazionale e gli strumenti per realizzarlo».
Un appello che si sposa con quanto Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, ha scritto su “la Repubblica”: «All’”esercito del bene”, ai 7 milioni di volontari che ogni mattina si alzano pensando di donare il loro tempo a favore di chi ne ha bisogno, occorre dare prove evidenti: la politica deve dimostrare di non potere fare a meno non solo del loro aiuto concreto, ma anche delle loro idee per una nuova Italia».
La burocrazia è un cappio, subito la semplificazione
A frenare il non profit, oltre all’assenza di politiche dallo sguardo lungo, c’è anche un eccesso di burocrazia che non giova certamente alla solidarietà. Anzi, la montagna di carte e adempimenti sono talvolta una morsa che soffoca la buona volontà, le idee, lo spirito d’iniziativa delle associazioni stesse. Detto che favoritismi, disfunzioni e illegittimità sono da combattere in nome della trasparenza per attività che operano per l’interesse generale, resta il fatto che, guardando al labirinto di leggi, norme, articoli, commi, sotto commi e codicilli in capo alla gestione e amministrazione di un’organizzazione, spesso i volontari sono costretti a calarsi nella parte di legulei e azzeccagarbugli nel tentativo di districarsi in una giungla tecno-burocratica. Un’oppressione. A titolo di esempio e schematizzando, il numero di adempimenti in capo a un’associazione cambia sulla base delle proprie attività: se si iscrive al 5 per mille, se fa raccolte fondi occasionali, se ha personale retribuito (collaboratori, consulenti), se ha personale dipendente, se somministra alimenti e bevande, se riceve contributi pubblici. A questi però vanno addizionati i cosiddetti “documenti nel cassetto”: ossia quelli che non vanno presentati a “qualcuno” (Agenzia delle entrate, Regione, Comune), ma che occorre avere in ordine nel caso ci sia un’ispezione o un controllo. E qui se ne contano almeno una dozzina: dall’atto costitutivo e statuto redatti in forma scritta al bilancio delle entrate e delle spese complessive dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, passando per «elenco dei consiglieri con menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza» e così via. Oltre a questi, se ne contano un’altra decina nei casi in cui l’associazione abbia personalità giuridica e sia iscritta a un registro. Insomma, un groviglio dal quale si potrebbe uscirne soltanto con una profonda revisione, la cui parola d’ordine è semplificazione.
Eppure quella dell’eccessiva burocrazia per le associazioni di volontariato è una vecchia questione. Già nel 2014 l’allora presidente della commissione Affari sociali della Camera, Pierpaolo Vargiu, aveva sottolineato come «lacci e lacciuoli burocratici, solo apparentemente garantisti, rischiano di creare una soffocante cappa di norme e regolamenti che scoraggiano lo spirito generoso e spontaneo». Ma la dura verità è che da allora si è fatto poco o nulla. Anche perché poi in questo filone si inseriscono le richieste (dalle esenzioni tributarie alle agevolazioni fiscali) che da anni gli enti non profit chiedono allo Stato, ma dal quale non hanno mai ricevuto una risposta concreta. Così come è ancora irrisolta la spinosa questione delle attività di volontariato riconosciute nei contratti collettivi ma inapplicate tranne pochi casi. Per esempio, nelle attività di protezione civile, oppure per chi fa parte di una comunità montana ed è o vigile del fuoco volontario, o appartiene al soccorso alpino. Ma di che cosa si tratta? L’attività di volontariato riconosciuta nei contratti collettivi è un permesso lavorativo retribuito, che però non ha mai trovato riscontro, perché le detrazioni offerte alle aziende sono insufficienti e quindi le imprese stesse sono poco propense ad applicarlo. Mentre il decreto legge 460 del ’97 prevede che le Onlus (e quindi anche le organizzazioni di volontariato) possano usufruire di personale distaccato dalle aziende per specifici obiettivi di solidarietà sociale. In breve, un caos nel quale la solidarietà è impantanata e che al volontariato costa tempo, risorse ed energie.
È ora che la finanza accompagni il non profit
Se la burocrazia è da combattere, il credito verso il Terzo settore è da agevolare. Come spiega Anna Fasano, presidente Cda Banca Etica, sulla rivista “Comunicare il sociale”: «È importante in questa fase avere la capacità di analizzare le esigenze economiche delle diverse organizzazioni e distinguere tra quelle legate alla situazione attuale da quelle legate allo stato di salute delle diverse realtà – siano associazioni, cooperative, imprese sociali. Mai come in questo momento è necessario fare rete, mettere al centro i bisogni e le esigenze della comunità, sempre nel rispetto del pianeta. Stiamo tutti riscoprendo l’importanza del prendersi cura dei nostri territori e di coltivare relazioni nelle nostre comunità; non possiamo permettere che questo sia il sentiment del momento ma dobbiamo far sì che riconversioni di settori delle nostre imprese sociali (e non) possano permetterci di guardare all’economia di cui abbiamo bisogno e non di cui siamo consumatori schiavi». Cosa servirebbe? «Una finanza che accompagni il Terzo settore in termini di credito, metta a disposizione Fondi Impact che sostengono imprese a vocazione sociale, percorsi di microcredito per piccole imprese. Non solo, abbiamo anche l’opportunità di valorizzare i circuiti complementari e di utilizzare piattaforme di crowdfunding e di equity crowdfunding». Conclude Fasano: «Molti sono stati catapultati in un mondo tecnologico che fino a poco fa non gli apparteneva, facciamolo diventare strumento per ampliare le modalità di contatto e recuperiamo il concetto di “vicinanza” dandoci la possibilità di guardare oltre il nostro quotidiano e ciò che finora abbiamo fatto. C’è un nuovo capitolo della nostra storia da scrivere, a noi scegliere come farlo».
Vdossier
articolo tratto da
“BBC e non profit. B come bonus da incentivare. B come burocrazia da snellire. C come credito da agevolare”
Vdossier numero 1 2020
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.