Sossai e il laboratorio Padova. È finito il tempo dello sportello, ora il vero aiuto è porta-a-porta
Nella capitale europea del volontariato 2020 il docente di diritti umani guida un progetto per intercettare e sostenere i bisognosi direttamente in strada o a casa
di Anna Donegà
Mirko Sossai è professore associato di diritto internazionale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre, dove ha insegnato tutela internazionale dei diritti umani. Coordinatore del Tavolo Povertà e nuove emarginazioni, uno dei sette tavoli di lavoro organizzati da Padova capitale europea del volontariato 2020, Sossai con Sant’Egidio coordina i servizi alle persone senza dimora in Veneto.
Professore, di cosa parliamo quando parliamo di povertà oggi?
Dopo la crisi del 2008, abbiamo assistito all’aumento significativo delle famiglie in condizione di povertà assoluta e relativa. In realtà, la povertà ha molte dimensioni: economica, abitativa, socio-culturale, relazionale. La Fondazione Zancan suggeriva che fosse da considerarsi povera “la persona che non dispone di risorse e strumenti per la propria autorealizzazione e che, insieme, non riesce a inserirsi vitalmente e attivamente nell’organizzazione sociale, offrendo il proprio contributo alla realizzazione del bene comune”. Significa che, oltre alla questione delle risorse materiali, la vita di relazione conta molto e che la solitudine e l’isolamento sono fattori di rischio. In questo senso, si può dire che, ben prima del Covid-19, il virus della solitudine si era insinuato nelle pieghe della società italiana, indebolendola profondamente.
Cosa è successo con l’emergenza Covid-19?
Quanto è accaduto in questi mesi ha inciso profondamente sulle vite e sul tessuto sociale delle nostre città. A pagare il prezzo più alto sono stati i poveri: i primi dati già mostrano un aumento notevole – a Padova siamo arrivati al raddoppio – delle domande di aiuto alimentare. Ma sono in crescita anche altre richieste di sostegno, legate alla perdita di lavori precari, alle difficoltà di accudimento dei figli, al disagio psichico, alla paura del futuro. Anche nella Fase 2 e 3 i bisogni hanno continuato a crescere e probabilmente continueranno a farlo: come se, passata l’ondata del contagio giunga l’onda lunga della povertà. Sono dati che preoccupano molto ma che forse non sorprendono. Le statistiche precedenti alla pandemia avevano già descritto le difficoltà delle famiglie e dei bambini, soprattutto dei “nuovi italiani”. È emersa poi con tutta evidenza la fragilità della popolazione anziana, tenendo conto che, come ha segnalato l’Istat, “in Italia quasi l’85% dei decessi per Coronavirus ha riguardato persone over 70, oltre il 56% quelle sopra gli 80”. In questo tempo, le diverse realtà di questo territorio sono state costrette a ripensare la propria presenza accanto ai poveri. Continua a essere una grande sfida. Sono interessanti i risultati di una indagine sulle realtà del Terzo settore padovano al tempo del Covid-19, condotta da Marta Gaboardi, Roberta Cosentino, Silvia Demita e Massimo Santinello del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di San Diego e il No-profit Institute1. I dati raccolti, disponibili nel sito www.padovacapitale.it, hanno mostrato lo sforzo di riorganizzazione dei servizi per la marginalità così come le difficoltà sperimentate dalle associazioni, anche rispetto al carico di lavoro degli operatori e dei volontari nell’affrontare situazioni nuove, non previste e con modalità diverse dall’ordinario.
Le conclusioni dei ricercatori meritano una riflessione: “La speranza per il futuro è che questa esperienza stimoli la realizzazione di politiche sociali innovative e adeguate a sovvenire i nuovi bisogni e le emergenze”. Ma anche che si impari a “gestire la straordinarietà come se fosse ordinarietà: cioè riuscire a riflettere, programmare, trasformare e monitorare i servizi in un’ottica globale senza rischiare di essere trascinati nell’emergenza”.
Il “laboratorio Padova” come si è attivato in questi mesi e cosa ha fatto emergere sul mondo delle povertà?
Sono stati mesi molto intensi: abbiamo sentito una grande responsabilità nei confronti delle persone povere della città. Abbiamo cercato di non dimenticare nessuno: le cucine popolari, un’opera storica della città, sono rimaste aperte; Sant’Egidio ha continuato a uscire più volte la settimana per incontrare le persone senza dimora; si sono moltiplicate le iniziative di distribuzione dei pacchi alimentari. Il progetto “Per Padova noi ci siamo”, nato il 14 marzo da CSV, Comune e Diocesi, ha fatto emergere povertà nuove. Abbiamo anche capito che questa crisi impone un cambio di mentalità: è il tempo di prendersi cura, nel senso della parola inglese “care”. Ad esempio, con le oltre 30 realtà che partecipano al tavolo “Povertà e nuove emarginazioni”, di cui sono coordinatore insieme a Federica Bruni, è partita la volontà di preparare una serie di proposte concrete sul tema della povertà di strada. Siamo partiti con il sostegno dell’Università di Padova, che ha coordinato uno studio sui bisogni e le risorse delle persone senza dimora, effettuando oltre 160 interviste. Occorre uscire dalla logica dell’emergenza: un primo passo sarà quello di preparare un rapporto che conterrà buone prassi e soluzioni. Ad esempio, sta prendendo sempre più piede anche in Italia l’approccio “housing first”2, prima la casa, che riconosce il diritto all’abitazione e, al contempo, l’importanza dell’accompagnamento. Siamo convinti che, mettendo insieme le energie migliori di Padova, sia possibile umanizzare la vita delle città a partire dalle persone con più difficoltà.
Dalla panoramica che ci ha evidenziato rispetto all’esperienza padovana e dal suo osservatorio, quali sono pertanto le sfide che abbiamo di fronte?
Si sta aprendo una nuova fase, una fase che deve essere di ricostruzione. Abbiamo scoperto di trovarci tutti sulla stessa barca: è una metafora efficace, che richiede di essere ben intesa. Significa che nessuno può pensare di salvarsi da solo, di salvaguardare la propria piccola scialuppa: non usciremo da questa crisi se non insieme. Ma è necessario tutti remare nella stessa direzione: per questo occorre riflettere, con concretezza, su come vogliamo vivere insieme.
Il mondo del volontariato è pronto a formulare proposte e idee, offrendo alla comunità civile la sua dimensione essenziale, ossia la capacità di “vedere” i poveri grazie all’incontro e la cura quotidiani, in maniera gratuita. Nei mesi del lockdown il lavoro di tutti ha permesso di salvaguardare l’umano in una città deserta. Un insegnamento di cui far tesoro per il futuro.
Sul grande tema di come intercettare le povertà, cosa ci portiamo a casa dall’esperienza di questi mesi?
Abbiamo potuto capire che da oggi in poi tutti siamo chiamati ad avere un atteggiamento più proattivo. La proposta reale da fare è di “stare” per strada, vivere i quartieri. È necessario avere meno l’idea di una azione “sportello” e più l’idea di raggiungere le persone dove vivono. Ad esempio, per quel che riguarda la popolazione anziana, vanno immaginate azioni nuove di monitoraggio attivo, di vicinanza. Per il tipo di nuove povertà che stanno emergendo, meno visibili, l’unico modo per intercettarle è stare tra la gente e creare un clima di fiducia reciproca perché solo così le porte si aprono e si superano le diffidenze e le paure. Chi guarda alle povertà oggi capisce che bisogna lavorare ad una città in cui ci sia posto per tutti, rivalutando la prospettiva della periferia, non più del centro.
“Sconfiggere la povertà” è il primo obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Come possiamo rileggere questo obiettivo dopo l’esperienza del Covid-19?
Il lavoro portato avanti dalle componenti del tavolo di lavoro “povertà e nuove emarginazioni” ha portato ad individuare alcune direttrici che considero prioritarie per raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 nella prospettiva di una città di medie dimensioni come Padova. Sono sette punti chiave che ruotano attorno alla valorizzazione della cultura della cura e che prendono in considerazione i diversi volti delle povertà. Primo punto: lo sforzo di assicurare un’accoglienza alle persone senza dimora può diventare un’opportunità imperdibile per comprendere i loro bisogni e per individuare percorsi di integrazione, oltre all’emergenza. Secondo: la risposta alla domanda di sostegno alimentare richiede un’azione di coordinamento tra le diverse realtà ma non si deve perdere di vista l’obiettivo della “prossimità responsabile” a cui tutti siamo chiamati: ad esempio, le relazioni che si sono create nella consegna delle spese in questo periodo sono una ricchezza da non disperdere. Su questo aspetto sono due gli obiettivi operativi di breve-medio termine: da una parte lavorare sull’aspetto logistico e organizzativo per coordinare la raccolta alimentare , dall’altra collaborare nella individuazione e risposta ai bisogni. Terzo: la condizione degli anziani, le prime vittime del Covid-19, impone di ripensare gli interventi a loro favore, sostenendo il loro desiderio di rimanere a casa propria, potenziando i servizi di cura sul territorio e inserendo gli anziani in reti di socialità più fitte. Quarto: il Coronavirus ha allargato le disuguaglianze educative: occorre salvaguardare il benessere dei bambini e l’inclusione scolastica, altrimenti la scuola non è più scuola – come diceva don Milani – ma “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Quinto: c’è l’esigenza di assicurare ora un sostegno ai caregiver, che hanno continuato a prendersi cura dei propri cari durante il lockdown, valorizzando anche le esperienze di prossimità. Sesto: un tema che emergerà forte nei prossimi mesi sarà quello degli effetti del Covid-19 sul tessuto economico e quindi la preoccupazione sui posti di lavoro con una attenzione nel salvaguardare la condizione delle donne e il loro accesso al lavoro. Settimo: occorre infine reimparare a vivere insieme, a partire dagli spazi pubblici, compresi quelli all’aperto: le iniziative di riqualificazione urbana sono chiamate a raccogliere la sfida dell’inclusione di tutti, perché siano spazio di incontro, ad esempio tra generazioni diverse. Non ritornerà tutto come prima: questo è anche un auspicio di cambiamento. È nella forza dei legami umani che ci si apre al futuro. Per questo, sono convinto che serva partire dai poveri. Partendo dalla periferia si capisce di più il centro. A partire dai poveri possono maturare pensieri lunghi, una visione del domani. Sapendo che quello che fa la differenza è che la città cambia se ciascuno dei suoi abitanti attiva un percorso di cambiamento e che in prospettiva la vera, semplice, rivoluzione si avrebbe già se ciascuno si prendesse cura di un’altra persona.
NOTE
- Un’equipe di ricerca ha condotto una indagine su come le organizzazioni che lavorano con la grave marginalità a Padova hanno vissuto l’emergenza sanitaria per Covid-19. Sotto la lente dei ricercatori sono finiti aspetti organizzativi, economici e psico-sociali, inerenti i cambiamenti avvenuti durante la quarantena, le difficoltà incontrate e le richieste per il futuro. La ricerca ha utilizzato utilizzato un questionario messo a punto dall’Università di San Diego nel forum di scambio di ricerche sul Terzo Settore “International Society for Third-Sector Research” (https://www.istr.org).
- L’Housing First (letteralmente “prima la casa”) è un modello innovativo di intervento nell’ambito delle politiche sociali per il contrasto alla grave marginalità sociale, basato sull’inserimento di persone senzatetto in singoli appartamenti indipendenti, allo scopo di favorirne uno stato di benessere dignitoso e forme di reintegrazione sociale. Un cambiamento di paradigma e di policy nell’affrontare l’esclusione sociale a partire dal riconoscimento del diritto alla casa come diritto umano di base e dal riconoscimento della libertà di autodeterminazione della persona. L’inserimento abitativo rappresenta il punto di partenza dei percorsi di integrazione sociale, affiancandosi e combinandosi ad interventi di accompagnamento e supporto alla persona portati avanti da equipe multiprofessionali, in una prospettiva sistemica ed ecologica.
Vdossier
articolo tratto da
“Comunità post virus.Dotti: rifondiamo la società, ma il volontariato cambi marcia”
Vdossier numero 1 2020
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.