Decreto sulle attività diverse: adesso cosa succede? Un approfondimento a cura di Fare Non Profit
È in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale n° 107 del 19 maggio 2021, contenente criteri e limiti delle attività diverse da quelle di interesse generale esercitabili dagli enti del Terzo settore (ETS), un decreto molto atteso tra quelli attuativi del Codice del Terzo settore (Codice).
Il Codice, infatti, prevede che gli ETS, a margine delle attività cui sono vincolati – le attività di interesse generale (come elencate dall’articolo 5 del Codice stesso) – possono svolgere, a condizione che siano previste dallo statuto dell’ente, attività diverse, strumentali e secondarie rispetto a quelle di interesse generale (articolo 6). Il decreto sulle attività diverse definisce questi due aspetti: la strumentalità e la secondarietà.
La strumentalità è di natura finalistica: sono considerate strumentali le attività diverse finalizzate a supportare, sostenere, promuovere o agevolare il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ETS. In questo senso, non viene data una definizione del tipo di attività, ma solo della loro finalizzazione di sostegno all’ente.
La secondarietà è di natura quantitativa: va “pesata” mettendo su un piatto della bilancia i ricavi generati dalle attività diverse, sull’altro o le entrate complessive o i costi complessivi dell’ente. Il principio di secondarietà è connesso infatti con il rispetto di una delle due seguenti condizioni:
- i ricavi da attività diverse non sono superiori al 30% delle entrate complessive dell’ente;
- i ricavi da attività diverse non sono superiori al 66% dei costi complessivi dell’ente.
Occorre quindi rientrare in una delle due condizioni: una decisione che spetta all’organo di amministrazione. Il criterio prescelto dovrà poi essere indicato coerentemente alla tipologia di rendicontazione adottata: in calce al rendiconto per cassa, nella relazione di missione o nella nota integrativa al bilancio.
Cosa rientra nei costi complessivi dell’ente?
Da sottolineare che nel computo dei costi complessivi dell’ente vanno inseriti anche gli importi figurativi connessi all’impiego di volontari nelle attività, in accordo alle indicazioni dell’art. 6 del CTS. Nel totale dei costi rientrano quindi le ore di attività svolta dai volontari, quantificate attraverso l’applicazione alle ore di volontariato della retribuzione oraria lorda prevista per la corrispondente qualifica dai contratti collettivi.
Si conteggiano anche le eventuali erogazioni in denaro, beni e servizi che l’ETS realizza a favore dei beneficiari, quantificando beni e servizi secondo il loro valore normale (cioè la media di mercato).
Infine, rientra nel computo anche il “risparmio” che l’ente realizza nell’acquisto di beni rispetto al loro valore medio sul mercato. Esempio: se 10 euro è il costo medio di un paio di stampelle e 3 euro è il costo a cui l’ente effettua l’acquisto, la differenza tra questi due valori, 7, indica il risparmio che interessa evidenziare. Nel computo dei costi, infatti, non andrò ad inserire il valore del mio esborso per l’acquisto (in questo caso 3 euro), ma il valore del risparmio rispetto al valore normale (cioè 7 euro). In questo modo, si incrementa il totale dei costi complessivi, con il conseguente innalzamento del limite ad esso collegato del 66% delle entrate da attività diverse sul totale dei costi. Non rientrano invece nel conteggio attivo o passivo proventi e oneri generati dal distacco del personale degli enti del Terzo settore presso enti terzi.
Cosa succede se un ETS non rispetta i limiti di secondarietà?
Nel caso di mancato rispetto dei limiti quantitativi di secondarietà (30% delle entrate complessive dell’ente o 66% dei costi complessivi dell’ente), l’ETS deve anzitutto segnalarlo, entro trenta giorni dalla data dell’approvazione del bilancio, all’ufficio competente del Registro Unico Nazionale del Terzo settore (RUNTS) e alle eventuali reti cui aderisce.
Operativamente, l’anno successivo a quello in cui si verifica il superamento dei limiti proporzionali, l’ETS è tenuto a realizzare un rapporto tra attività secondarie ed attività di interesse generale che sia inferiore alla soglia massima per una percentuale almeno pari alla misura del superamento dei limiti nell’esercizio precedente. In pratica, è tenuto a recuperare quanto ecceduto l’anno prima, andando a sottrarlo alle soglie ordinarie (30% e 66%). Esempio: nel 2021 un ETS ha realizzato entrate da attività diverse per 50.000 euro a fronte di un totale complessivo di entrate di 100.000 euro. Ha sforato il limite del 30%, che è pari a 30.000 euro, incassando entrate da attività diverse per 20.000 euro “di troppo” pari al 20% in più. Questo “surplus”, e cioè la percentuale “20%”, andrà recuperato nel 2022, annualità in cui l’ETS potrà avere al massimo il 10% di entrate da attività diverse rispetto ai volumi complessivi dell’ente.
Nel caso in cui non si adempia all’obbligo informativo o non si recuperi l’eccedenza l’anno successivo, l’ETS viene cancellato dal RUNTS.
Cosa succede adesso alle attività degli ETS?
A partire dalla data di pubblicazione in GU (26 luglio 2021), quanto disposto dal decreto può ritenersi applicabile a partire dal 10 agosto 2021 da parte di APS e ODV che abbiano introdotto nei rispettivi statuti la previsione di svolgimento di attività diverse, nell’ambito dell’adeguamento al CTS, come già indicato all’inizio.
Diverso per le ONLUS poiché vincolate nei limiti, nelle caratteristiche e nelle condizioni all’esercizio delle attività istituzionali di cui all’art. 10 D.Lgs. 460/97 (12 settori svantaggiati/immanenti) e di quelle ad esse direttamente connesse.