Violenza sulle donne
Abusi dimezzati , ma ogni settimana sono ancora tre
I reati contro i soggetti deboli a Como sono in calo. E nonostante questo ogni anno in Procura si presentano 705 persone a denunciare abusi, maltrattamenti, violenze sessuali, persecuzioni.
In occasione del 25 Novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la Procura cittadina ha elaborato i dati sull’andamento dei reati inseriti un paio di anni fa nel cosiddetto “codice rosso”.
Il riferimento temporale è quello dal primo luglio 2020 al 30 giugno di quest’anno. Nell’arco di questi 365 giorni complessivamente i reati contro i soggetti deboli sono stati 705. Tantissimi (quasi tre al giorno), ma in netto calo rispetto all’anno passato quando erano stati 1245.
Maltrattamenti
E nonostante questa diminuzione che farebbe ben sperare, i numeri degli abusi subiti dalle donne resta incredibilmente alto anche nella nostra provincia. Iniziando dalle denunce di violenza sessuale. Al 30 giugno scorso la Procura aveva aperto 143 nuovi fascicoli per abusi di tipo sessuale, di questi 115 a carico di noti (cioè la vittima conosceva il proprio aggressore ed è stata in grado di indicarne nome e cognome agli investigatori) e 28 a carico di persone ignote (episodi sui quali sono in corso indagini per cercare di identificare i violentatori). Anche quest’ultima voce è in calo rispetto all’anno precedente: quasi dimezzate le denunce per abusi sessuali a carico di ignoti (erano 55), per contro però sono sensibilmente aumentati (+20%) i fascicoli i cui indagati che si sono resti responsabili di molestie o veri e propri stupri erano conosciuti dalle loro vittime. Sempre restando in questa fattispecie di reato da segnalare che la Procura ha chiesto e ottenuto 18 ordinanze di custodia cautelare per altrettante persone (sempre tra il luglio 2020 e il giugno scorso). Inoltre in Tribunale sono state messe 17 condanne per violenza sessuale, 19 le pene patteggiate e soltanto due le assoluzioni.
Particolarmente significativi (e allarmanti) i reati per maltrattamenti in famiglia. Proprio il nucleo famigliare risulta il luogo dove si consuma il maggior numero di abusi e soprusi contro le donne. La Procura ha chiesto in un solo anno ben 30 ordinanza di custodia in carcere per altrettanti uomini che hanno compiuto maltrattamenti in famiglia e, complessivamente, l’ufficio del giudice delle indagini preliminari ha emesso altri 47 provvedimenti cautelari (in particolar modo divieti di avvicinamento e allontanamenti dall’abitazione di residenza). Complessivamente sono stati 46 gli uomini che, nell’ultimo anno, hanno subito una pena per maltrattamenti.
Lo stalking
Anche gli atti persecutori (lo stalking) danno da fare alla magistratura comasca. Sono 11 le persone per le quali la Procura ha chiesto il carcere e 5 quelle finite ai domiciliari. L’ufficio gip ha inoltre emesso altri trenta provvedimenti cautelari personali (anche qui, soprattutto, divieti di avvicinamento). Sul fronte delle condanne: 25 imputati hanno scelto di patteggiare la pena, 7 sono stati condannati per stalking, un imputato è stato condannato per diffusione di immagini e video con contenuto sessualmente esplicito ai danni della vittima.
Di strada da fare in difesa delle donne ce n’è ancora. E tanta
di Paolo Moretti
Per gentile concessione della redazione de La Provincia
Attenzione alle parole che usiamo , pure il linguaggio sa essere violento
La violenza affonda le sue radici nella non conoscenza. Ed è anche per questo che il linguaggio ha un ruolo essenziale nella lotta agli abusi sulle donne, perché «può servire per rendere conosciuto lo sconosciuto».
Vera Gheno le parole le studia, con le parole lavora, le parole le usa e le sceglie accuratamente. Accademica, saggista e traduttrice italiana, nonché sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, nota per la sua battaglia sui suffissi inclusivi e per la difesa della neutralità del genere e della vocale “schwa”, si occupa nei suoi libri di analizzare come cambia la lingua rispetto alla società.
Una donna capace di far luce in modo molto chiaro sul ruolo che hanno le parole nella nostra società anche nel contesto della violenza contro il genere femminile.
Conoscere lo sconosciuto
«Il ruolo delle parole è quello di far vedere meglio determinate cose. Nominare le donne che lavorano, ad esempio, normalizza la loro presenza anche là dove prima erano mosche bianche – spiega Gheno – Così come nominare il femminicidio serve per sottolineare che abbiamo un problema sistemico, sociale, fatto di donne che vengono uccise in quanto donne appartenenti a qualcuno: un partner, un ex partner, ma anche un altro membro della famiglia, in maggioranza di sesso maschile».
Per quanto riguarda l’universo femminile il linguaggio può rappresentare una valenza particolarmente signifcativa. Del resto proprio come scrisse Carlo Levi “Le parole sono pietre”. Accade dunque che le parole inutili e cattive possano diventare pericolose come pietre scagliate troppo spesso contro l’universo femminile, anche sui social spesso quando vengono addirittura colpevolizzate e non ritenute giustamente delle vittime.
Maggiore consapevolezza
«Siccome spesso la violenza proviene dalla non conoscenza, dalla nota tendenza xenofoba dell’essere umano, il linguaggio può servire per rendere conosciuto lo sconosciuto, e quindi rendere familiare ciò che a prima vista fa paura perché diverso, senza nome – afferma la sociolinguista – La violenza del linguaggio, peraltro, viene spesso sottovalutata, perché per molti “non si arriva alle mani”. Ma proprio per questo è anche più insidiosa: può procedere all’infinito, senza che si arrivi mai allo scontro fisico, e per questo fare ancora più male. Allo stesso modo, quindi, un uso più oculato delle parole può sicuramente contribuire ad arginare la violenza».
Le parole allora, secondo l’analisi della studiosa, servono per conoscere ciò che prima era sconosciuto e non era raccontabile in quanto non aveva un nome.
Sembrerebbe opportuno chiedersi se l’uso corretto dei termini e un linguaggio appropriato potrebbe essere un’ancora di salvezza per molte donne vittime di violenza.
«Dipende sul mettersi d’accordo cosa sia “corretto” e “appropriato”. Non stiamo parlando di censura linguistica, quanto di maggior consapevolezza da parte di ogni persona nell’uso delle parole – conclude Gheno – Consapevolezza e responsabilità, per l’esattezza. Le parole “brutte” non vanno eliminate né dall’uso né tantomeno dai vocabolari. Vanno semplicemente usate in casi limitati, tenendo sempre conto delle conseguenze dei propri atti comunicativi».
Un grado di consapevolezza che in molti casi potrebbe tutelare le donne dalla violenza verbale, deprecabile tanto quanto quella fisica.
di Federica Beretta
Per gentile concessione della redazione de La Provincia
Le realtà comasche che aiutano le donne a difendersi
Quando si parla di violenza contro le donne sono molteplici le associazioni sul territorio che cercano di arginare questa drammatica realtà.
Telefono Donna, associazione di volontariato in via Giuseppe Ferrari, è un centro antiviolenza di riferimento per la provincia di Como. Si tratta di un luogo di ascolto, accoglienza, incontro e protezione pensato per tutte le donne che subiscono violenze e maltrattamenti. Chi volesse entrare in contatto con l’associazione può chiamare il numero fisso 031 304585.
Un’altra importante realtà è il Centro di Aiuto alla Vita di Como, nato nel 1979, che si occupa di aiutare quelle donne, in stato di gravidanza iniziale e indecise sulla sua prosecuzione per diverse problematiche, a prendere una decisione e a sostenerle psicologicamente, ma anche praticamente in questa scelta.
Il Cav è un’associazione riconosciuta come Onlus che si prende cura di tre comunità: a Como “Casa Irene”, comunità di semi-autonomia, a Lipomo “Casa Lavinia” , comunità H24, e a Civello di Villaguardia “Corte della Vita” , comunità per autonomia.
Si tratta di un’associazione presente sul territorio da più di quarant’anni che ha lo scopo primario di assistere in modo concreto le maternità considerate difficili, per i più svariati motivi, per salvare il nascituro.
Ogni iniziativa ha perciò come obiettivo primario il benessere della mamma e del suo bambino.
Il Cav è aperto per i colloqui due giorni alla settimana, martedì e giovedì, e due giorni per la distribuzione del guardaroba, lunedì e venerdì. Il martedì mattina le volontarie si trovano in equipe insieme alla Coordinatrice per discutere dei casi visti durante la settimana o per riproporre i casi già seguiti per i quali è necessario verificare l’aggiornamento della vicenda. L’aiuto del centro è rivolto a donne a rischio IVG – interruzione volontaria di gravidanza -, donne in gravidanze con situazioni difficili, donne sole in gravidanza o con un bambino nato da non oltre 6 mesi.
Anche Ats Insubria ha una rete di servizi per le donne vittime di violenza. Ats Insubria si è proposta aderendo ai Protocolli di Intesa con le Reti Territoriali Interistituzionali Antiviolenza per la promozione di azioni e strategie condivise finalizzate alla prevenzione e al contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle donne.
La Rete Interistituzionale Antiviolenza è preposta da Regione Lombardia alla gestione del fenomeno della violenza contro le donne.
Il Piano Regionale antiviolenza prevede l’attuazione di interventi di prevenzione, contrasto e sostegno a favore delle donne vittime di violenza. Le Reti sono sostenute da Regione Lombardia attraverso la sottoscrizione di specifici accordi di collaborazione e sono costituite da soggetti considerati essenziali quali un comune capofila, uno o più centri antiviolenza, una o più case rifugio, enti del sistema sanitario e socio-sanitario e rappresentanti delle forze dell’ordine.
di Federica Beretta
Per gentile concessione della redazione de La Provincia