Carcere: supporto alla genitorialità
Assistente sociale coinvolta nel progetto LINK_ed_IN, Stefania Guardascione lavora nella Cooperativa Lotta Contro l’emarginazione dal 2016 sempre sull’area di Como.
Quali tipo di progettazione vi vedono impegnati nell’area di Como?
Quelle rivolte alle dipendenze, ai consumatori di sostanze psicoattive, ma anche relative a progetti più correlati alla violenza, alla tratta, allo sfruttamento per tipologia di target. Io nello specifico lavoro su queste due aree, quindi immigrazione, tratta e anche dipendenze, poi faccio anche una parte sul lavoro per Como e Varese. La mission che la cooperativa porta in tutte le progettazioni è un po’ quella dell’inclusione, come il nome stesso dice, è sulla consapevolezza dei diritti e dei doveri, l’empowerment delle persone… cioè la cifra che si cerca di dare a tutti gli interventi è un po’ questa. Rispetto al progetto Link-ed-in siamo presenti con questa azione di supporto alla genitorialità, ma anche con l’agente di rete, la figura un po’ cardine, che fa da filtro e coordinamento interno delle varie azioni, e con un laboratorio autobiografico. Le azioni tra di loro sono di fatto correlate perché poi ogni figura lavora per conto proprio sul proprio pezzo, ma poi ci si ritrova in microequipe multidisciplinari laddove la persona che si incontra è la stessa o vengono riconosciuti e riportati dall’agente di rete o da chi segnala, che in questo caso è l’area trattamentale del carcere, i diversi bisogni sulla persona, quindi ci si incontra per fare il punto insieme e definire gli obiettivi comuni.
Le persone con cui voi prendete contatti, che sono coinvolte nel progetto Link-ed-in chi sono?
Il mio pezzo sul progetto è rivolto a padri e madri detenuti, il resto della progettazione è estesa. Il laboratorio autobiografico ci sarà nelle tre aree quindi maschile, femminile e probabilmente anche un gruppo con persone transessuali. La rieducativa accompagna persone su diversi aspetti. Questa parte sulla genitorialità è indirizzata a padri e madri detenuti, genitori di figli che sono all’esterno del carcere con cui si vedono o non si vedono, con cui possono esserci diversi tipi di situazioni problematiche, diverse fasi della pena e quindi della relazione con l’esterno. Vengono segnalate in base al bisogno che viene letto dalle figure educative interne al carcere, ci si può raccordare eventualmente per una segnalazione sia da un lato che dall’altro con chi, rispetto al progetto, si occupa del percorso con le famiglie all’esterno del carcere, per supportare le famiglie al di fuori. Il mio pezzo prevede un pacchetto, in realtà abbastanza piccolo, di cinque colloqui, che può essere esteso fino a dieci per le situazioni un po’ più complesse, perché magari la persona decide di svelare “la bugia”, diciamo così, intorno alla sua assenza dal nucleo familiare, che è una condizione, in realtà, abbastanza frequente, per cui l’accompagnamento viene esteso. Questi cinque colloqui possono essere dilazionati nel tempo, a discrezione della persona e dell’operatore.
Quali sono gli obiettivi delle azioni di supporto alla genitorialità?
S: Hanno un po’ l’obiettivo di produrre un contesto di consapevolezza, di riconoscimento della situazione, rispetto al proprio ruolo genitoriale per poi porre le basi perché sia sempre più pro attivo o perché laddove manca la possibilità di vedere i figli si esplori se c’è quella possibilità, anche con la tutela minori, o si lavora con la persona in un discorso di riconoscimento e mettendo sul tavolo le risorse a disposizione, riflessione e riesplorare la situazione per una nuova comprensione da cui partire. Si fonda sostanzialmente sul colloquio, i bisogni che emergono possono essere vari, all’interno del colloquio sul tema, che tocca corde interne e molto profonde, vengono fuori varie emozioni come paure, vissuti legati al reato, all’impatto che il reato ha sulla famiglia, desideri verso il futuro, progetti verso la fuoriuscita… Molto vario.
Cosa ti aspetti che possano ottenere le persone che hanno usufruito di questa parte di progetto di sostegno alla genitorialità alla fine del percorso?
S: Come risultati, sul piano del percorso personale, per me e per come è stato pensato il progetto, si arriva a un risultato se la persona acquisisce qualche competenza e strumento in più per rileggere la sua situazione rispetto al ruolo genitoriale e familiare, rispetto alla relazione che ha costruito o desidera costruire, in modo poi da porsi degli obiettivi personali per il futuro con una consapevolezza maggiore. Non c’è un obiettivo di costruire insieme dei passi di cambiamento strutturale in cinque incontri, sarebbe un po’ riduttivo, però è quello di riesplorare la situazione, aprire una comprensione, che poi è la persona che porta, che è esperta della situazione, l’operatore fa un po’ da rimando, da specchio e da approfondimento di alcune riflessioni che la persona porta, così come il colloquio vuole. L’obiettivo è un po’ acquisire delle competenze, degli strumenti in più, di riflessione e di lettura. Ci sono degli output previsti che sono il numero di persone da raggiunge che sono minimo dodici, gli incontri che sono minimo cinque, questo a livello di numeri che ci sono e vanno raggiunti. Però a livello di obiettivi il sostegno alla genitorialità è una definizione vastissima, nell’ambito del progetto è pensato come un dire “riguardiamo insieme che ruolo stai avendo nei confronti dei tuoi figli, della tua famiglia. È funzionale? È positivo? C’è? È pro attivo? Come fare per renderlo tale?” è porsi una domanda e iniziare a mettere le basi. È prevista, nei risultati, anche un’azione di sensibilizzazione delle tutele minori, perché il diritto di vedere i figli, i minori, passa da lì. C’è anche questo tipo di raccordo, in modo che ci si confronti su questa possibilità. All’interno del progetto non è prevista la strutturazione di incontri con i minori, non sarebbe neanche possibile perché è un’azione che deve passare dalla tutela, è previsto però l’incontro con gli operatori della tutela e un raccordo, insieme all’area trattamentale del carcere, caso per caso se se ne verifica il bisogno. Per quanto riguarda l’intervento di sensibilizzazione può essere una cosa a parte che può essere organizzata con le tutele per confrontarsi un po’ sul diritto dei genitori rispetto ai figli.
Quali sono le tue sensazioni e le tue speranze rispetto all’output del progetto sulle persone?
S: Quello che mi aspetto io è che sia un po’ da stimolo a una presa di coscienza rispetto alla propria posizione e anche al riconoscimento delle posizioni degli altri. Mi sembra che la dimensione del carcere che crea questa lontananza fisica dal nucleo tolga un po’ la possibilità di confronto e di dialogo tra un lato e l’altro della “barricata”. Si fatica a volte a provare a leggere i vissuti, a considerare che esistono e legittimarli da una parte e dall’altra. Le persone magari hanno percorsi e comprensioni diversi che divergono e fanno fatica poi a incontrarsi, quindi già solo rendersi conto che stanno succedendo delle cose, delle posizioni delle varie persone e legittimare i vissuti delle altre persone rispetto a un evento così grande, che è quello del reato che spacca la famiglia con la carcerazione è già un risultato perché poi da lì la persona riconsidera quello che fa e quello che può fare e anche le scelte degli altri. Anche perché cinque incontri sono un po’ pochi considerando che arriva un operatore dall’esterno senza avere un pregresso di conoscenza con la persona che ha davanti, è vero che c’è un’equipe che introduce, un’agente di rete che fa un paio di colloqui prima, o di più se ci sono altri interventi in atto, ma rimane comunque un tempo breve per un discorso così profondo. Quello che è un po’ il risultato che mi aspetto, che se arriva sono soddisfatta, sono contenta del lavoro svolto con la persona è un po’ l’accendere una consapevolezza nei confronti del proprio ruolo, della propria posizione e delle relazioni e di come le si sta gestendo e di come può viverla chi sta fuori, che sia il partner o sia il figlio.
Intervista a cura di Martina Ingrassia
L’intervento è realizzato nell’ambito delle iniziative promosse dal Programma Operativo Regionalecofinanziato dal Fondo Sociale Europeo. Per informazioni www.fse.regione.lombardia.it