Marlene Bialas racconta la fotografia
MARLENE BIALAS, studentessa al centro sperimentale di cinematografia di Roma, è tra le relatrici della serata del 23 maggio dedicata alla proiezione del documentario “Letizia Battaglia – shooting the mafia”, omaggio alla grande fotografa mancata da poco e allo sguardo delle donne che raccontano.
Ci racconti qualche cosa di te e del tuo percorso professionale, come hai scelto di diventare fotografa e quali sono le attività principali del tuo lavoro oggi?
Non penso di averlo scelto, ad un certo punto le cose vanno in una direzione. Io mi sono ritrovata a fare fotografia perché avevo bisogno di raccontare e penso che creare immagini sia un po’ come scrivere. Utilizzo le immagini perché ritengo abbiano una potenza enorme, parlano senza mai svelare tutto, come se lo spettatore dovesse sempre concludere in qualche modo ciò che vede, è costretto a riflettere, a farsi domande. Al momento ancora non posso considerarlo come lavoro, la uso come un mezzo di espressione. Lo faccio perché sono innamorata della luce, degli attimi che si possono congelare, del colore, delle sfumature. Ho necessità di creare bellezza, di raccontare un mondo che sogno con uno sguardo curioso poetico e riflessivo. Per quanto riguarda il mio percorso professionale, ho iniziato a studiare seriamente fotografia a 20 anni in un Accademia di arti visive a Milano, ho sempre coltivato una passione per il cinema che mi ha portata poi a continuare gli studi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma in Direzione della fotografia, dove tuttora studio.
Donne e ambiente della fotografia, secondo te a che punto siamo? Fotografie scattate da donne, può esserci un valore aggiunto? Se si qual è?
Alcune si fanno fotografare altre fotografano. Penso che in qualche modo le donne abbiano sempre trovato lo spazio nel racconto, magari agli inizi con più difficoltà perché si sosteneva che, a causa dei laboriosi procedimenti, mai una donna sarebbe stata fotografa. Julia Margaret Cameron è stata la prima fotografa donna, vissuta proprio negli anni in cui è datata la primissima fotografia e già ai suoi tempo venne riconosciuta e apprezzata. Fu proprio lei a cogliere la potenzialità dell’espressione artistica. Lei non si limita a riprodurre il reale, lo interpreta così per come effettivamente appare alla mente. La sua idea rivoluzionaria è che la fotografia deve allontanarsi dall’essere uno strumento di riproduzione meccanica, che il fotografo deve avere la libertà di interpretare e creare la propria visione del mondo. E qui rispondo anche alla terza domanda. Non amo fare distinzioni, ogni occhio è diverso e bello. C’è un valore aggiunto se la donna afferma la propria femminilità e diversità e si differenzia dell’uomo. Questo non vuole dire che sia migliore, più sensibile o più dolce ma solo diverso. Julia Margaret Cameron è un po’ la dimostrazione di questa diversità. La produzione artistica femminile si distingue da quella maschile forse anche per una sensibilità distinta per ragioni di natura, di cultura, di ruolo sociale. Da un lato la donna è sempre stata influenzata dal proprio ruolo di madre, che l’ha resa sensibile alla sopravvivenza e al benessere umano. Il secondo tema è quello dell’identità in ambito sociale, la donna ha sempre avuto un’esigenza maggiore di ricercarla e affermarla, sentendola come compressa o inespressa.
Pensando al tuo futuro quale domanda vorresti porre a una fotografa con una lunga esperienza professionale?
Non penso troppo al futuro ma vivo qui e ora. Mi lascio trasportare da quello che mi succede intorno e dal variare dei miei sogni. Forse ho un po’ abbandonato l’idea di fare la fotografa come professione, un po’ perché ora studio Cinema un po’ perché vedo poco spazio per il tipo di fotografia che amo. Forse chiederei a una professionista proprio se si riesce in qualche modo a trovare un giusto equilibrio tra lavoro e arte.
Letizia Battaglia, mancata lo scorso mese, resterà famosa nel settore della fotografia professionale del reportage giornalistico e documentaristico. In vista dell’omaggio che le attribuiremo con l’evento del 23 maggio, credi che come donna e professionista abbia avuto un ruolo di guida per altre donne fotografe? In che modo?
Sicuramente, anche perché se no non saremmo qua a parlare di lei.Credo che anche in Letizia la fotografia parta da un’esigenza personale. Lei stessa dice “Sono stata salvata dalla fotografia. Ero una giovane donna intelligente e disperata. L’incontro con la fotografia mi ha permesso di esprimere il mio pensiero, la mia ribellione, il mio impegno sociale e politico.” La sua macchina fotografica è come un’estensione attraverso cui imporre la sua voce ad una società e ad un ambiente di soli uomini. Penso sia stata in grado di andare con coraggio nel cuore di quel luogo, di quelle persone e lasciare un’eredità importante per la storia e per tutti noi.