Anche il non profit ha i suoi Atenei
Le Università del volontariato (Univol) compiono dieci anni. In questo periodo 22mila iscritti hanno partecipato alle lezioni di 300 docenti. Oggi la sfida è sul rapporto con l’accademia ufficiale e le lezioni a distanza
di Francesco Bizzini
«I corsi di formazione non bastano. I corsi insegnano le cose base, sono in un certo senso l’abc. Sono utili ma non sufficienti. È necessario pensare a una vera e propria scuola. Una volta i partiti avevano le scuole di partito. Quando le hanno chiuse si è vista la degenerazione che ha assunto la politica. Allora il volontariato deve fare le sue scuole, perché solo così viene fuori la nuova leadership». Le parole sono quelle di Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, intervistato sul primo numero di Vdossier nel 2010.
A due anni da quella provocazione, nella sede di CSV Milano, nasceva il progetto Università del Volontariato (www.univol.it), progetto che ha messo radici e generato frutti da Nord a Sud: a oggi sei sedi, curate in autonomia dai rispettivi Centri di Servizio per il Volontariato competenti territorialmente, veri presidi di pensiero e formazione dove l’azione dei volontariati trova percorsi, momenti, strumenti, opportunità di riflessione, aggiornamento e confronto. Dalla sua fondazione sono oltre 300 i docenti saliti in cattedra, provenienti soprattutto dalle università pubbliche e private che hanno sposato il progetto aderendo in veste di partner, co-progettandone l’offerta formativa e fornendo docenza in esercizio di attività pro bono. A loro si aggiungono esperti che provengono da enti di ricerca, da società profit, da altri soggetti del Terzo settore e dagli stessi CSV.
Le materie che si studiano trattano a 360° gli aspetti della vita delle realtà non profit e di chi le anima: dall’organizzazione interna e i relativi processi decisionali alla progettazione, dalla comunicazione social ad approfondimenti di temi giuridici, legali, notarili e rendicontatitivi, dal saper leggere un bando alla realizzazione di manifestazioni pubbliche, rispettando tutti i crismi della sicurezza. Oltre 1.300 i corsi erogati in dieci anni di attività e più di 22.000 le studentesse e gli studenti passati sui suoi banchi, al netto che nel computo nazionale ogni sede porta con sé percentuali differenti visto i differenti anni di fondazione (Milano 2012, Bologna 2015, Cosenza e Treviso 2016, Ferrara e Salerno 2017), oltre diversi approcci didattici e tematici per meglio rispondere alle domande dei propri bacini territoriali.
Oggi il progetto Univol, sopravvissuto anch’esso alla porta stretta del “non in presenza” pandemico, spegne dieci candeline e proprio dall’esperienza di una formazione forzatamente da remoto sembra rilanciare la propria missione. «Aver portato online l’anno accademico della sede di Salerno ha permesso di raggiungere volontari che vivono e operano nelle parti più remote di una provincia che conta quasi 5.000 km2», afferma Fabio Fraiese D’Amato, referente Area Formazione CSV Sodalis e coordinatore della sede campana. «Corsisti che per partecipare in presenza avrebbero impiegato anche quattro ore di viaggio. Quindi per la nostra sede una sfida tecnica è diventata opportunità». Concorde anche Anna Zonari, coordinatrice Ferrara – Modena: «Oggi per noi la formazione a distanza è il canale principale di erogazione. I questionari che abbiamo fatto circolare ci hanno restituito per 1’80% un parere molto positivo degli utenti e quindi il nostro Direttivo ha riconfermato la modalità non in presenza quale prevalente, ma non esclusiva. L’online ci permette di creare classi territorialmente eterogenee, confronti che spaziano in termini di orizzonti e quando appunto si fa incontrare mare e monti, temi quali la co-programmazione e co-progettazione, sembrano spiccare il volo».
Aver portato online l’anno accademico della sede di Salerno ha permesso di raggiungere volontari che vivono e operano nelle parti più remote di una provincia che conta quasi 5.000 chilometri quadrati
Di diverso parere Mariapia Scattareggia referente tutoraggio a Treviso: «Per noi il non vederci in presenza è una fatica perché Univol fonda il suo operato sulla relazione e l’incontro. Certo i possono fare gruppi su zoom, si può interagire con il docente, ma non è la stessa cosa. Ed è un peccato perché noi percepiamo che chi accetta la sfida di tornare in aula, poi capisce la differenza e vuole rimanerci. Purtroppo chi non torna sembra essersi dimenticato di queste importanti opportunità. Dobbiamo ammetterlo: pensavamo che i corsisti avrebbero apprezzato il ritorno in presenza, ma ciò non sta succedendo». Su questo argomento molte luci e qualche ombra, invece, per la sede di Milano: «La vera novità di questi ultimi due anni in remoto è l’aver collaborato con le altre sedi – racconta Patrizia Bisol, responsabile nazionale progetto Univol e del polo meneghino – come per esempio con la sede coordinata da CSV Terre Estensi con la quale abbiamo realizzato il riuscitissimo master di progettazione, integrando partecipanti e tutor del percorso. Molto arricchente per entrambi i gruppi. Questo ci ha convinto della bontà del mezzo digitale e della collaborazione con gli altri poli. Però – continua Bisol – abbiamo notato che il “non in presenza” porta le persone ad aver difficoltà a ritagliarsi i tempi necessari per l’apprendimento. D’altro canto non abbiamo percepito differenze di “qualità partecipativa” su percorsi lunghi. L’online non è solo sinonimo di mordi e fuggi, tant’è che i nostri master da 50 ore registrano un calo quasi nullo nelle presenze».
Il rapporto con le Università “classiche”, rimane un fiore all’occhiello dell’intero network, tanto che la sede trevigiana risiede proprio all’interno delle aule del Campus Treviso – Università Ca’ Foscari Venezia: «Per l’ateneo l’impegno al nostro fianco rientra in quella che è definita ‘terza missione’, cioè il contatto con il territorio. Un supporto logistico, ma anche di pensiero, visto che la programmazione dei corsi viene ideata coinvolgendo tutto l’ateneo», afferma Mariapia Scattareggia. E le attività sono così integrate nella quotidianità dell’ateneo trevigiano che anche gli studenti “cafoscarini” possono richiedere crediti Formativi universitari a fronte della partecipazione al percorso formativo completo Univol, ottenendoli anche in forma di “credito di sostenibilità” rilasciato dal locale ufficio sostenibilità, una sorta di bollino verde da apporre sul curriculum per certificare l’impegno e l’interesse “extracurricolare” su determinati temi specifici dei corsi affrontati.
«La convenzione triennale con l’Università della Calabria – racconta Mariacarla Coscarella, direttore del CSV Cosenza – prevede il rilascio di CFU per gli studenti che partecipano ai nostri corsi. Oggi, dopo lo stop pandemico, ci impegneremo per rilanciare questa preziosa possibilità di avvicinamento degli studenti al mondo del volontariato». Per la sede campana la stretta relazione con l’ambiente accademico si dimostra pietra angolare dell’offerta formativa. «Abbiamo iniziato nel 2018 con l’Università Suor Orsola Benincasa – precisa Fraiese D’Amato – e dal 2019 in poi abbiamo stretto un accordo con il Dipartimento di Studi politici e sociali dell’Università di Salerno e, in particolare, con l’area didattica di Sociologia.
Per noi il non vederci in presenza è una fatica perché Univol fonda il suo operato sulla relazione e l’incontro. Certo si possono fare gruppi su zoom, si può interagire con il docente, ma non è la stessa cosa.
Ad aggiornare la lista di partnership accademiche in questi anni ha inciso altresì la “rimodulazione geografica” del sistema nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato. La sede di Ferrara – Modena, nata dopo la fusione CSV Terre Estensi, ha aperto la strada per l’importante collaborazione con Unimore – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. «Insieme con l’Università di Ferrara, già al nostro fianco – racconta Anna Zonari – l’ateneo emiliano ha collaborato per la realizzazione del corso “Crisi climatica, sfruttamento e diritti umani. Scenari della crisi ecologica, sociale ed economica”. I docenti di entrambi gli atenei hanno intrecciato, in maniera inedita, i loro insegnamenti co-progettandolo, e creando un corso di altissima caratura, oltretutto gratuito».
Ma in un mondo così profondamente cambiato dal fondativo 2012, come Univol ha aggiornato la sua missione? «Quest’anno nella sede di Bologna, abbiamo puntato moltissimo su di un cambio di paradigma. Così è nato il master “Guardare al futuro. Approcci e competenze strategiche per gestire un Ente di Terzo Settore”, orientato alla valutazione del valore generato dall’ente e dell’impatto sociale che l’azione volontaria produce – racconta Paola Atzei, responsabile dell’area formazione e sviluppo competenze Volabo – . Perché si pensa spesso solo all’impatto sulle comunità e sui destinatari dei servizi, ma se l’organizzazione non è forte al suo interno in termini di gestione, strutturazione, competenze, visione rischia di perdere la consapevolezza di un cambio di sguardo e di paradigma, prima che di passo, chiesto proprio dalla Riforma del Terzo Settore».
Anche dalla Calabria si puntualizza quanto la Riforma abbia cambiato giocoforza le carte sui tavoli della programmazione didattica: «La riforma chiede una specializzazione d’alto livello per rispondere agli adempimenti – conferma Mariacarla Coscarella -. Noi spingiamo quindi i volontari di un’associazione a intraprendere i nostri percorsi formativi differenziando i temi, in modo che in ogni realtà non tutti sappiano fare tutto, cosa che sta diventando sempre più difficile, ma che a occuparsi di un determinato tema ci sia solo un volontario preparato e competente».
Comunque sia dopo dieci anni tutte le sedi Univol, che oggi eroghino formazione offline o online, sono concordi sul percepirsi ancora come “luogo generativo”. Ed è così che, feedback alla mano, anche i corsisti sembrano percepire Univol: proprio come luogo di confronto e scambio, di creazione di reti con altre realtà di volontariato e volontari, fuori dai tipici luoghi di confronto, come i tavoli progettuali sul territorio. «A Bologna la co-progettazione, che tra i 23 partner territoriali e nazionali vede al nostro fianco Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, ha proprio questo obiettivo forte: cioè ideare e realizzare opportunità formative che favoriscano lo scambio e il confronto tra i partecipanti, anche a partire dalla docenza che viene scelta non solo come migliore soluzione per passare nozioni e sapere, ma per il mantenimento di obiettivi relazionali a generare un luogo culturale di scambio e costruzione, per facilitare una ricaduta pratico operativa e valoriale sulle organizzazioni e sui partecipanti stessi. E la bontà di questo percorso da noi intrapreso è puntualmente confermata dalle corsiste e dai corsisti proprio attraverso i loro questionari di gradimento».
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