Progetto LINK-ed-IN prorogato fino al 2023
Progetto LINK-ed-IN – tessere legami per favorire l’inclusione sul territorio comasco è stato prorogato: qui il bilancio a un anno dall’avvio e i progetti futuri.
LINK-ed-IN è il progetto che promuove l’inclusione socio lavorativa di persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria (sia dentro che fuori dal carcere), o a fine pena, per favorire il loro accesso a misure alternative. Un progetto volto a favorire la tenuta e il buon esito dei percorsi avviati per prevenire la recidiva, che ha puntato sul rafforzamento delle capacità e delle competenze personali, familiari e comunitarie in termini di coesione sociale.
Avviato a maggio 2021 LINK-ed-IN è stato attivato nell’ambito del Programma Operativo Regionale (POR) cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE), erogato da Regione Lombardia.
Ora viene prorogato fino al 2023 e implementato in alcune delle sue azioni.
Grande forza di LINK-ed-IN è la rete di enti istituzionali e del terzo settore che stanno lavorando in maniera sinergica rendendo possibile l’attivazione dei diversi percorsi e sostegni.
Partecipano, infatti, all’iniziativa: Centro di Servizio per il Volontariato dell’Insubria, cooperativa Lotta contro l’emarginazione, cooperativa Symplokè, Azienda Sociale Comuni Insieme, Azienda Sociale Comasca Lariana, Azienda consortile Galliano, il Biancospino Società cooperativa sociale, Glocal, Power Training, Starting Work Impresa sociale, associazione Luminanda.
Il criterio guida è stato costruire un percorso su misura per ogni persona che ha avuto accesso al progetto, in base ai bisogni, difficoltà e necessità del singolo caso. L’ampia rete di associazioni coinvolte ha permesso di usufruire di diversi mezzi e strumenti in un’ottica dinamica e personale favorendo una presa in carico a trecentosessanta gradi, valutando per ogni singolo caso un percorso utile alla persona, guardando oltre al provvedimento giudiziario, così da fornire un bagaglio di competenze e aiuti pratici utili a prevenire una recidiva.
In particolare, l’attenzione alla persona nella sua complessità di relazioni e interazioni ha permesso di rispondere non solo a livello di supporto psicologico, educativo e relazionale ma anche a bisogni abitativi e di inserimento lavorativo.
Sono stati avviati diversi percorsi di formazione professionale per sviluppare competenze tecniche e relazionali che hanno facilitato l’inserimento lavorativo delle persone coinvolte.
La formazione si è concentrata sull’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, ma anche sull’acquisizione di abilità specifiche spendibili nell’ambito occupazionale. Molto efficace la didattica “on the job”, ovvero una formazione che segue passo passo le fasi del lavoro, un affiancamento nell’esperienza pratica e nell’acquisizione delle competenze tecniche. Logistica, pulizie e sanificazioni, falegnameria, manutenzioni e sicurezza gli ambiti delle posizioni lavorative prese in carico.
Carcere: telemarketing con affiancamento al lavoro
La riqualificazione professionale delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria rientra negli interventi di giustizia riparativa intesa nel suo significato più esteso. All’interno del progetto “LINK-ed-IN, tessere legami per favorire inclusione” si è avviata una nuova modalità di formazione nella casa circondariale il Bassone destinata a futuri operatori di telemarketing. L’intervento si è realizzato nell’ambito delle iniziative promosse dal Programma Operativo Regionale cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo.
Carlo Barberis, amministratore di Power Training, centro di formazione attivo dal 1999 per aziende e per la pubblica amministrazione, ha selezionato un numero di detenuti, attraverso un colloquio conoscitivo, tra quelli che erano in possesso delle caratteristiche adatte a questa attività. Esperti del centro hanno poi attivato un processo specifico per sviluppare competenze di carattere commerciale nel settore delle vendite. Le persone opportunamente formate, utilizzando il telefono, hanno potuto svolgere il lavoro rimanendo all’interno del carcere.
L’iter ha previsto 240 ore di corso durante le quali si è appreso nel concreto il lavoro, con una formula mista: una parte della formazione è stata erogata da remoto, una parte in presenza e un’ultima parte direttamente “on the job”, cioè con un affiancamento di un esperto nel momento in cui veniva eseguito il lavoro. Le persone selezionate, tutte della sessione maschile, sono state una quindicina. Il Bassone ha attrezzato una sala dove sono state fornite le postazioni di call center.
Una volta superato il corso, queste persone verranno regolarmente assunte da Power Training, ma questa formazione ed esperienza apre le porte anche alle aziende del territorio che intendono avvalersi dello stesso servizio. Al termine del percorso formativo, inoltre, riceveranno un attestato di partecipazione che potrà integrare i loro cv.
In uscita dal carcere si farà affidamento alla professionalità acquisita per accedere a posizioni lavorative di tipo commerciale, in particolare si stima che si mantenga elevata la richiesta sul mercato del lavoro di addetti qualificati in telemarketing. Il progetto prevede, dopo questa prima formazione, la prosecuzione del corso con altre 15 persone da formare.
«L’obiettivo – conclude Barberis – è di far diventare questa attività continuativa all’interno del Bassone e coinvolgere sempre più persone».
Carcere: supporto alla genitorialità
Stefania Guardascione, assistente sociale coinvolta nel progetto LINK_ed_IN, lavora nella Cooperativa Lotta Contro l’emarginazione dal 2016 sempre sull’area di Como. I progetti in cui è impegnata la cooperativa sono molteplici. Da quelli rivolti ai consumatori di sostanze psicoattive, a quelli correlati alla violenza, alla tratta, allo sfruttamento. La mission che la cooperativa porta in tutte le progettazioni è quella dell’inclusione, con un lavoro sulla consapevolezza dei diritti e dei doveri e l’empowerment delle persone.
Rispetto al progetto LINK-ed-IN la cooperativa ha lavorato con azioni di supporto alla genitorialità, ma anche con l’agente di rete, una figura cardine che ha un ruolo di filtro e coordinamento interno delle varie azioni, e con un laboratorio autobiografico.
Stefania Guardascione, in particolare, ha operato con la parte di progetto rivolta a padri e madri detenuti, genitori di figli con cui si vedono (o non si vedono) e con cui possono esserci diversi tipi di situazioni problematiche. Il colloquio è lo strumento fondamentale con cui Stefania Guardascione ha lavorato: diversi incontri dilazionati nel tempo, a discrezione della persona e dell’operatore. «L’obiettivo- racconta – è stato favorire un contesto di consapevolezza, di riconoscimento della situazione rispetto al proprio ruolo di genitore per poi porre le basi affinché questo ruolo possa sempre più pro attivo o perché, laddove manca la possibilità di vedere i figli, si esplori se quella possibilità possa realizzarsi, anche con la tutela minori. Si mettono sul tavolo le risorse a disposizione, si compie un cammino di riflessione per riesplorare la situazione che la persona sta vivendo, così da gettare le basi di una nuova comprensione da cui partire. I bisogni che emergono possono essere vari e toccano corde interne e molto profonde, emergono emozioni e paure, vissuti legati al reato e all’impatto che il reato ha sulla famiglia, ma anche desideri verso il futuro, progetti in vista di una uscita dal carcere. Un cambiamento strutturale non può avvenire in pochi incontri, però si può ripercorrere insieme la situazione, aprire a una comprensione e l’operatore fa da rimando, da specchio e da approfondimento di alcune riflessioni che la persona porta, così come il colloquio vuole. L’obiettivo è acquisire delle competenze, degli strumenti in più, di riflessione e di lettura della propria situazione personale. Le domande guida sono “riguardiamo insieme che ruolo stai avendo nei confronti dei tuoi figli, della tua famiglia. È funzionale? È positivo? C’è? È pro attivo? Come fare per renderlo tale?”».
«Si è partiti da una presa di coscienza rispetto alla propria posizione e anche dal riconoscimento delle posizioni degli altri – conclude Stefania Guardascione – Un riconoscimento reso difficile dalla dimensione del carcere che crea lontananza fisica e dunque toglie la possibilità di confronto e di dialogo tra un lato e l’altro della “barricata”. La fatica di chi intraprende questo cammino è provare a leggere i vissuti degli altri, a considerare che esistono e legittimarli. Le persone hanno percorsi e comprensioni che divergono e fanno fatica a incontrarsi. Il solo rendersi conto che stanno succedendo delle cose, il legittimare i vissuti delle altre persone rispetto a un evento così grande, che è quello del reato che spacca la famiglia con la carcerazione, è già un risultato perché poi da questa presa di consapevolezza la persona riconsidera quello che fa e quello che può fare, e anche le scelte delle persone che lo circondano e dei propri cari».
Tiziana Mannello, psicologa psicoterapeuta, mediatrice dei conflitti familiari, lavora dal 2008 con l’associazione comunità il Gabbiano onlus che è una delle realtà che hanno lavorato al progetto LINK-ed-IN. Suo il ruolo di progettare, coordinare e realizzare, nel ruolo di psicologa e di mediatrice familiare, progetti e interventi nel sociale. Uno degli ambiti è quello dei percorsi di tipo penale sul territorio, rivolto a persone che hanno esperienze di carcerazione alle spalle o che sono soggette a misure penali e che possono giovare di tutta una serie di aiuti per la casa, il lavoro e le relazioni.
Per il progetto Link-ed-in Tiziana Mannello si è occupata del supporto alle persone uscite dal carcere o con misura penale, oltre che del sostegno ai legami familiari. Quello della restrizione della libertà è infatti un periodo delicato come può essere quello del ricongiungimento dopo l’esperienza carceraria, della pena in carcere o dell’esecuzione penale esterna. Non è solo la persona detenuta ad avere bisogno di supporto ma anche i suoi familiari. Anche se i reati per cui le persone sono in carcere non sono dettati da ragioni familiari o non riguardano i rapporti familiari, le recidive possono essere legate a tensioni, conflitti, situazioni di violenza in casa che possono essersi verificate dopo o durante l’esperienza penale. In questo senso lavorare sulle relazioni familiari significa sostenere la persona detenuta o in misura penale, ma anche i familiari nell’ottica di una riduzione dei rischi di recidiva, con ricadute positive anche per la società. Un’esperienza virtuosa da sviluppare che è stata ben recepita con l’obiettivo di ridurre la conflittualità e non lasciare sole le persone che hanno vissuto o stanno vivendo una restrizione delle libertà e le loro famiglie.
Tiziana Mannello ha rilevato come, con la pandemia, le situazioni si siano aggravate. I lockdown hanno costretto molte persone a rimanere chiuse in casa con convivenze anche difficili in quelle situazioni in cui c’erano familiari agli arresti domiciliari oppure con misure di restrizione della libertà. Gli accessi in carcere sono stati fortemente limitati e quindi anche le visite dei familiari con una conseguente interruzione dei rapporti.
Il progetto ha cercato di ritagliare, anche sulla spinta del fondo della regione che lo finanzia, una serie di azioni specifiche di supporto alle famiglie delle persone in condizione di detenzione o restrizione della libertà. È stato attivato uno spazio di supporto a queste situazioni, messo a disposizione dall’associazione il Gabbiano, a Como, in via Giovanni Palma.
Tiziana Mannello ha incontrato genitori che hanno avuto esperienze di detenzione e sono usciti dal carcere e che vivono le difficoltà di riallacciare i rapporti con i loro figli e alcuni tra i figli che hanno fatto fatica a ristabilire legami con i propri genitori. Ha lavorato con coppie che hanno vissuto momenti di crisi, perché se un membro della coppia vive un’esperienza di detenzione l’altro può decidere di aspettarlo oppure no. Sia in un caso che nell’altro ci sono implicazioni e conseguenze di cui è stato importante occuparsi. Le esperienze di detenzione possono anche essere lunghe e nel frattempo le persone possono trasformarsi e cambiare.
«Incontrarsi dopo tanti anni – ha spiegato Tiziana Mannello – può non essere così immediato, così intuitivo, ma anche le esigenze dei figli possono essere cambiate perché magari nel frattempo sono cresciuti e anche in questo caso il ricongiungimento del genitore con la famiglia trasformata può non essere così semplice e quindi richiedere un accompagnamento. In altri casi, quando il partner che è rimasto fuori ha deciso di non aspettare il partner detenuto e quindi separarsi e rifarsi un’altra vita, può essere utile aiutare ad affrontare la separazione conseguente alla carcerazione o conseguente alla decisione di uno o di entrambi. Non è inoltre facile per una mamma o un papà in carcere parlare ai propri figli della condizione di detenzione, si pensa che non dire la verità sia più tutelante per i bambini, cosa che non risponde a un reale loro bisogno. Ecco perché si è lavorato anche sull’aspetto della comunicazione con i figli per aiutare i genitori a trovare le parole giuste per dire che cosa accade alla loro famiglia, un compito molto importante per il quale non sempre i genitori sono supportati. Si sono perciò offerti momenti di dialogo e di confronto tra genitori e figli in uno spazio protetto e con l’aiuto di un terzo esterno alla famiglia, nel ruolo di facilitatore della comunicazione e di mediatore dei conflitti».
Fondamentale è stato creare delle connessioni perché l’esperienza di carcerazione non sia un interruttore che si spegne rispetto alla cura delle relazioni familiari e perché la conflittualità in famiglia possa essere gestita.
L’intervento è realizzato nell’ambito delle iniziative promosse dal Programma Operativo Regionale cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo. Per informazioni www.fse.regione.lombardia.it