Progetto My Map3D: un podcast per la generazione Z
Ascoltare il punto di vista di chi è spesso emarginato o invisibile. Promuovere l’inclusione sociale potenziando tre mondi: minori, famiglia e territorio. Questo in sintesi il progetto My Map 3D, la cornice dentro cui si è disegnato il podcast “Fuori dai denti”, nato dal lavoro di un’équipe composta da due educatori e un videomaker. Quattro puntate, con cadenza quindicinale, in cui si è parlato di generi musicali, di testi e video controversi, di violenza fisica e psicologica, dei rischi legati ai social e alle nuove tecnologie.
My Map 3D è stato pensato per minori denunciati o maggiorenni che hanno commesso un reato in minore età. Il provvedimento adottato dal Tribunale, in questi casi, è quasi sempre la cosiddetta “messa alla prova”, abbreviata in “Map”.
Il progetto MyMap 3D ha avuto il finanziamento regionale Por-Fse 2014–2020, ed è stato promosso da Azienda Sociale Comuni Insieme (distretto di Lomazzo e Fino Mornasco), Centro Servizi per il Volontariato dell’Insubria, Fondazione Somaschi Comunità Educativa Annunciata di Como, Fondazione Minoprio, Istituto Immacolata Concezione Concettini Cantù, Glocal, IAL Como e Fondazione Padri somaschi.
Nel settimanale Diogene de “La Provincia” Martina Toppi ha ascoltato le testimonianze di ragazzi ed educatori che hanno partecipato al podcast “Fuori dai denti”. Un racconto in quattro puntate (qui il link alla prima: fuori dai denti) in cui si è parlato di trap, drill, crew, illegalità e bullismo, per restituire voce a tutta una generazione.
Per chi ha ascoltato “Fuori dai denti”, podcast realizzato da alcuni ragazzi della Fondazione Somaschi – Comunità educativa Annunciata, che si parli di illegalità è chiarissimo, che con quelle voci prendano forma storie vere è poi fuori di dubbio, ma che quei ragazzi che parlano possano essere inseriti in un percorso di messa alla prova (in gergo Map) conseguente a qualche inghippo avuto con la giustizia non è così immediato. E questo perché le loro voci piene di entusiasmo, anche se parlano di illegalità e delle sue diverse manifestazioni, lo fanno senza rabbia, senza astio, ma semmai con una dilagante passione: quella per la musica.
La decisione di focalizzarsi su questo aspetto particolare della vita dei ragazzi e delle ragazze che rientrano nella cosiddetta “generazione Z” e che hanno partecipato alla preparazione e produzione di “Fuori dai denti” nasce proprio dagli organizzatori del progetto, cui fa da portavoce Jonathan Tupputi educatore nella comunità Annunciata nonché una delle due voci adulte che prendono la parola nel corso del podcast.
«Il racconto della musica drill e trap, dietro cui spesso si muove la cultura delle baby gang, insieme alla possibilità di intervistare una crew e un musicista professionista con un passato che ha anche toccato l’illegalità, è stato lo strumento che abbiamo scelto per riflettere su questi temi insieme ai ragazzi e alle ragazze. E devo dire che ha funzionato, al di là della riuscita del podcast presso un eventuale pubblico di ascoltatori», spiega Jonathan.
Lo si capisce anche solo parlando con questi giovanissimi speaker che, trovatisi per la prima volta davanti a un microfono, hanno perso le usuali inibizioni e hanno iniziato a parlare soprattutto di sé. Nelle puntate di “Fuori dai denti” infatti, a partire sempre dalla musica, si arriva a parlare di temi anche molto delicati. Come il bullismo e le ferite invisibili ma indelebili che lascia sull’anima. Ma anche i pericoli insidiosi dei social. Uno dei ragazzi, per esempio, racconta della vicenda che lo ha portato a essere oggetto di denuncia: uno sticker a sfondo pedopornografico ricevuto su whatsapp e ingenuamente girato a un gruppo di amici, i cui genitori hanno poi proceduto a segnalare il ragazzo per vie legali. Stiamo parlando di errori che non vanno ignorati o sminuiti ma che ci parlano da vicino perché ci ricordano che a tutti noi basta imboccare la strada sbagliata per trovare dietro la prima curva cieca un dirupo scosceso e che le storie di questi ragazzi sono le storie di un’intera generazione di giovani spesso lasciati senza guide.
Finalmente liberi
«Ciò che ha maggiormente colpito me e l’altro educatore e speaker, Mauro Oricchio, è che nel corso della registrazione del podcast i ragazzi hanno raccontato molte più cose di quelle che sono soliti dirci. Credo si siano sentiti liberi e valorizzati al tempo stesso: per la prima volta c’era un microfono a fare da amplificatore alle loro storie e ai loro pensieri. Si sono sentiti interrogati e messi al centro, mentre forse di solito si trovano di fronte persone che pretendono di dare loro risposte, più che porre domande».
E in effetti all’ascoltatore di “Fuori dai denti” questi ragazzi risuonano veri, profondi, sinceri, assolutamente credibili e in certi casi capaci di un’introspezione e un approfondimento per nulla banali su tematiche così complesse.
«Parlare di questi argomenti è stato uno sfogo, mi sono sentito decisamente meglio – racconta infatti Luca (anche questo è un nome di fantasia) – Ci siamo rafforzati mentalmente anche grazie alla collaborazione reciproca. Il mio momento preferito? La puntata finale (che ancora non è uscita, ndr.) quella in cui siamo stati più liberi di esprimerci e raccontarci: ho percepito proprio che, oltre a narrare le nostre esperienze, avevamo la possibilità di sensibilizzare altri su quello che ci è successo».
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