“Volontariato in perenne cambiamento per rispondere ai nuovi bisogni sociali”
Il servizio dell’agenzia Adnkronos con l’intervista al presidente Stefano Tabò, a partire dai dati del primo rapporto di CSVnet traccia la fotografia del settore. Sono oltre 44mila le organizzazioni volontariato censite in Italia dal sistema dei Centri di servizio al Volontariato. I dati pubblicati nel primo rapporto nazionale del CSVnet (Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato) che analizza lo stato del volontariato nel nostro paese e che si basa sui dati forniti dai Centri di servizio per il volontariato (CSV) e riguardano 44.182 associazioni: non solo quelle iscritte ai registri pubblici, ma anche quelle registrate unicamente nelle banche dati dei Centri di Servizio. Un settore, come spiega all’Adnkronos il presidente del Csvnet, Stefano Tabò “che non conosce crisi”, nemmeno nei periodi più difficili.
Una attività che, secondo una indagine dell’Istat del 2011, vale quasi 8 miliardi. Le attività di volontariato, svolte in Italia, rilevava l’Istituto di statistica nel 2011 hanno un valore economico di quasi 8 miliardi di euro e “pesano” quanto 385mila posti di lavoro a tempo pieno. Se, poi, a questo dato si sommano i 630mila impiegati regolarmente retribuiti, se ne ricava che la capacità occupazionale dell’area non profit supera il milione di addetti, mentre il volume delle entrate, comprensivo di quelle realizzate dalle diverse tipologie di enti, sale oltre i 45 miliardi di euro, ossia più del 4% del prodotto interno lordo.
La maggior parte delle associazioni censite dai Centri di Servizio al volontariato opera nel campo dell’assistenza sociale (11.812) e della sanità (9.098): da sole queste due classi racchiudono il 55 per cento del totale delle associazioni. Seguono quelle che si occupano di cultura, sport e ricreazione. Anziani e minori sono le categorie primarie di utenti con il 25,4 per cento, mentre si dedicano a malati e disabili il 18 per cento delle organizzazioni. Si occupano di nomadi, immigrati o profughi il 5,7 per cento. Il Rapporto si presenta in linea con i dati e le tendenze rilevate con il recente Censimento ISTAT sulle istituzioni non profit relativo all’anno 2011, confermando, in termini assoluti, che sono 6 le regioni dove si concentra il maggior numero di OdV (Lombardia, Toscana, Lazio, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto).
Se però si confronta il numero di abitanti con quello delle organizzazioni, sono Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta ad avere più onlus. Al sud e nelle isole si registrano, invece, le percentuali più basse: rispettivamente il 17 e il 6 per cento del totale.
E ancora, la metà delle associazioni opera con meno di 16 volontari: solo il 15 per cento ha un numero superiore a 50. Per quanto riguarda i soci, ne hanno meno di 60 il 50 per cento, mentre poco più del 10 per cento ha una base associativa molto estesa (oltre 500 soci). La rappresentanza legale è composta, per i due terzi, da uomini.
Negli ultimi sette anni il numero di nuove associazioni costituite è diminuito costantemente: nel 2014 si è registrato un meno 15 per cento rispetto all’anno precedente. Le associazioni più piccole per numero di volontari e per numero di soci sono anche quelle più giovani: il 50 per cento è stato costituito dal 2000 in poi. La metà delle organizzazioni con più di 60 volontari ha oltre 25 anni di storia. Quelle più “anziane” si occupano di sanità: il 50 per cento ha quasi 30 anni di attività, mentre quelle di più recente costituzione sono nel settore ambientale (anno 2006) della protezione civile (anno 2005) o della cooperazione internazionale (anno 2004).
Non sono “riconosciute” oltre il 90 per cento delle organizzazioni del nord: Veneto (97 per cento), Lombardia (93 per cento), Valle d’Aosta (91 per cento), l’Emilia Romagna (90%). Il Lazio, invece, ha la più alta percentuale di associazioni riconosciute. Mentre In Trentino la totalità delle associazioni non è riconosciuta. Nel Sud, il Molise è l’unica regione con oltre il 90 per cento delle associazioni non riconosciute, mentre in Puglia e Sicilia oltre il 66 per cento sono riconosciute.
Il rapporto rileva inoltre una caratterizzazione prettamente locale delle Odv: il 50% ha come massimo ambito territoriale di riferimento il comune di appartenenza e solo 5 su 100 hanno un riferimento territoriale nazionale o internazionale. L’83 per cento, infine, ha la qualifica fiscale di onlus.
Per quanto riguarda il Non Profit più in generale risulta sempre più forte sul territorio italiano per numero di istituzioni e per occupati: il 9° Censimento Generale dell’Industria, dei Servizi e delle Istituzioni Non Profit dell’Istat ha rilevato al 31 dicembre 2011 301.191 unità, il 28% in più rispetto al 2001, con una crescita del personale impiegato pari a 39,4%.
Il settore, rileva l’Istat, conta sul contributo lavorativo di 4,7 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 270 mila lavoratori esterni e 5 mila lavoratori temporanei. Sono inoltre presenti altre tipologie di risorse umane che prestano a vario titolo la loro attività nelle istituzioni rilevate: 19 mila lavoratori comandati/distaccati, 40 mila religiosi e 19 mila giovani del servizio civile.
La componente femminile è di 1,8 milioni di volontarie, 494 mila dipendenti, 142 mila lavoratrici esterne, 3mila lavoratrici temporanee, 9 mila comandate/distaccate, 26 mila religiose e 10 mila giovani del servizio civile. Il Non Profit si conferma quindi traino per l’occupazione femminile.
La categoria professionale più rappresentata, con il 27,5% dei lavoratori retribuiti, dipendenti ed esterni, è quella delle professioni tecniche (professioni sanitarie infermieristiche, fisioterapisti, mediatori interculturali etc.). Seguono le professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi con il 24,1% (operatori socio sanitari, assistenti socio assistenziali e assistenti domiciliari etc.), le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (17,9%), le professioni non qualificate con il 13,8% (collaboratori scolastici, addetti alle pulizie, operatori ecologici, etc.) e le professioni esecutive nel lavoro d’ufficio (11,4%). I dirigenti e gli imprenditori rappresentano invece una quota pari al 3,5% del totale dei lavoratori retribuiti.
La presenza maschile prevale tra i dirigenti e gli imprenditori (6,8%), nelle professioni tecniche (31,5%), nelle professioni non qualificate (15,5%) e tra gli artigiani, operai specializzati, agricoltori e conducenti di veicoli. La presenza femminile invece è superiore alla quota nazionale solo nelle professioni qualificate delle attività commerciali e dei servizi (29,6%).
I volontari, sempre secondo l’indagine Istat, sono nel complesso giovani: 950.000 infatti hanno meno di 29 anni (pari al 20%, di cui il 4% con meno di 18 anni) a fronte di 704.000 volontari con più di 64 anni (14,8%). Il 43,2% dei volontari ha tra i 30 e i 54 anni di età. Cultura, sport e ricreazione e Ambiente sono i settori con una spiccata presenza giovanile.
Più anziani i volontari che operano nei settori delle Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (dove si contano 155 volontari con più di 64 anni su 100 giovani), seguito dall’Assistenza sociale e protezione civile (131 su 100), Tutela dei diritti e attività politica (123), Filantropia e promozione del volontariato (110), Istruzione e ricerca (107).
Il 50,1%dei volontari italiani possiede un diploma di scuola superiore, il 29,4% un titolo di studio non superiore alla licenza media mentre i laureati sono il 20,5%. La distribuzione per genere evidenzia che tra i volontari donna pesano maggiormente coloro che hanno una laurea (23,4% a fronte del 18,7 % fra gli uomini).Tra coloro che posseggono la licenza media, il 60,3% è impegnato nel settore della Cultura, sport e ricreazione, che è anche il settore in cui trovano spazio la metà dei laureati (52,3%).
Per quanto riguarda la condizione professionale, più della metà dei volontari che prestano la propria opera nelle istituzioni non profit italiane è occupato (55,4%). Poco più di un quarto è ritirato dal mondo del lavoro (27,8%) e il restante 16,8% è in altra condizione occupazionale (studenti, casalinghe, in cerca di occupazione, inattivi).
Il censimento Istat fa anche riferimento alle risorse economiche.Il totale delle entrate di bilancio delle istituzioni non profit, evidenzia l’Istituto di statistica, è pari a 64 miliardi di euro, mentre le uscite totali (spese del personale, acquisto di beni e servizi, sussidi contributi ed erogazione a terzi, etc.) ammontano a 57 miliardi di euro. Le regioni con il maggior volume, sia di entrate che di uscite, sono la Lombardia (oltre 17miliardi di euro di entrate e oltre 15miliardi di euro di uscite), e il Lazio (quasi 15miliardi di entrate e quasi 12miliardi di uscite).
Nell’insieme i valori delle due regioni rappresentano circa il 50% del totale complessivo. La principale fonte di finanziamento è di provenienza privata (per l’86,1% delle istituzioni), mentre il 13,9% ha entrate di fonte prevalentemente pubblica. Su base regionale, in Sardegna (26,2%) e provincia autonoma di Trento (26,3%) si registra il maggior numero di istituzioni che fanno più ricorso al finanziamento di natura pubblica; in Veneto (10,9%) ed Emilia Romagna (9,6%) sono localizzate le istituzioni maggiormente orientate alle fonti di finanziamento privato.
I settori che utilizzano di più fonti di finanziamento pubblico sono Sanità (36, 1%), Assistenza sociale e protezione civile (32,8%), Sviluppo economico e coesione sociale (29,9%). Quelli più sostenuti da introiti privati sono Religione (95,5%), Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (95,3%), Cooperazione e solidarietà internazionale e Cultura sport e ricreazione (entrambe 90,1%). Si è chiusa, intanto da pochi giorni, lo scorso 10 marzo la fase di raccolta del nuovo censimento Istat del non profit in Italia che, al contrario di quanto avveniva in passato, verrà ripetuta ogni due anni. I primi risultati nel 2017.
“Il mondo del volontariato – sottolinea all’Adnkronos il presidente di CsvNet, Stefano Tabò – si è sicuramente modificato nel corso degli anni ma si richiama sempre e comunque ad un’idea di sviluppo e di mutamento della società. Pur rappresentando organizzazioni secolari, in maniera perenne – evidenzia – queste hanno modificato la propria organizzazione per rispondere in maniera differente ai diversi bisogni“.
“I cambiamenti più evidenti – sottolinea – riguardano gli effetti di una moltiplicazione delle organizzazioni. In parte favoriti dalla legislazione e in parte anche dal fatto che spesso a livello individuale ci si può trovare meglio in organizzazioni di piccole dimensioni. L’esistenza di oltre 55mila organizzazionI è indice sì di vitalità ma è anche un limite in quanto le piccole organizzazioni non sempre sono in grado di offrire risposte adeguate e ottemperare a tutti gli obblighi. A questo in parte si supplisce con la messa in rete”.
“Altro elemento di novità – prosegue Tabò – è una sempre maggior diffusione di settori ‘non tradizionali’ di organizzazioni. Se prima erano prevalentemente legate ai settori socio-sanitario e socio assistenziale, oggi si vanno sviluppando anche i settori legati al mondo della cultura, delle emergenze, della protezione civile dello sport“.
Tabò ha quindi ricordato l’esperienza di Expo, che ha visto il coinvolgimento di volontari provenienti da tutta Italia, un volontariato ‘occasionale’ legato a un particolare evento ma che sicuramente ha lasciato la disponibilità a proseguire questo tipo di esperienza. “Tra il ‘volontariato tradizionale’ e il ‘volontariato episodico’ – evidenzia Tabò – non c’è alcun conflitto sono canali comunicanti che si incentivano e si alimentano“.
Uno dei ruoli dei Centri di Servizio, riconosciuti anche nella recente legge 106/16, è “una competenza puntuale, distintiva, universale che li propone come agenzie di sviluppo locale del volontariato, direttamente funzionali alla crescita del popolo dei volontari”. Proprio per questo, ed in vista dei processi di accreditamento che si apriranno “l’impegno di Csvnet nel nuovo anno sarà focalizzato ad ascoltare i bisogni dei volontariati, valorizzando le esperienze e le competenze professionali raggiunte dai Csv in 20 anni di attività“.
(Stefania Quaglio, agenzia Adnkronos)
“Volontariato in perenne cambiamento per rispondere ai nuovi bisogni sociali”