Non profit, miniera di storie. Raccontatele e conquisterete la fiducia dei donatori
Queste preziose risorse, però, necessitano di essere utilizzate in maniera efficace. Ecco perché è sempre importante redigere un piano di comunicazione strategico e integrato
di Davide Moro, fundraiser ed esperto in digital media e direct e-mail marketing
MIlano, settembre 2014 – «Non si può non comunicare», afferma il primo assioma della comunicazione teorizzato dallo psicologo e filosofo Paul Watzlawick. Vi sembra impossibile? Provate ad immaginarvi all’interno di un ascensore assieme ad un’altra persona che non conoscete: posizionati agli angoli opposti, con lo sguardo rivolto verso il pavimento e impazienti di uscire da quella situazione di disagio. E finalmente all’apertura delle porte, il silenzio viene interrotto da un rapido saluto di congedo. In una tale situazione non c’è ombra di dubbio che vi sia stato uno scambio di messaggi tra i due soggetti, anche senza l’utilizzo delle parole.
La comunicazione è composta infatti sia da una componente verbale, sia da una non verbale. Quest’ultima, come dimostrano gli studi dello psicologo Albert Mahrabian, ricopre un ruolo centrale. L’efficace percezione di un messaggio dipende prevalentemente dal movimento del corpo (mimica facciale, ma anche il contatto visivo, i gesti, la postura), dagli aspetti legati alla voce (volume, ritmo e tono) e solo in minima parte dalle parole, cioè dal contenuto del messaggio trasmesso.
Provate ora a ripensare ad alcune delle situazioni che si verificano nella quotidianità della vostra organizzazione di volontariato. Il presidente, chiamato a fare un breve discorso durante una manifestazione cittadina, utilizza la voce e la gestualità per enfatizzare alcuni passaggi, oppure si limita a leggerlo da un foglio? I volontari che presidiano il banchetto in piazza sono seduti dietro il tavolo, giocherellando con il telefonino, oppure stanno in piedi muovendosi e avvicinandosi alle persone con le quali dialogano? Infine, l’operatore che dall’ufficio risponde alle telefonate dei donatori si limita ad indicare frettolosamente le informazioni richieste, oppure cerca di comprenderne a fondo le esigenze, favorendo una comunicazione calda e familiare?
Tutti questi esempi ci dimostrano come la comunicazione sia un processo complesso, articolato, intenzionale, ma anche non intenzionale. Tutti i soggetti che operano all’interno dell’organizzazione ne sono coinvolti, volontariamente o non: dal centralino al presidente, dall’operatore sul campo a chi si occupa dell’amministrazione, dal responsabile comunicazione e raccolta fondi al volontario. L’organizzazione attraverso tutti i suoi componenti si comunica ininterrottamente andando a costruire, rafforzare e modificare la percezione e l’immagine che gli interlocutori attuali o potenziali hanno dell’organizzazione stessa e della sua buona causa.
Per diversi anni molte organizzazioni non profit non hanno colto l’importanza e la centralità della comunicazione. L’hanno spesso considerata un’attività da delegare ad una cerchia ristretta di persone o volontari con l’obiettivo principale di realizzare dei materiali di comunicazione, come pieghevoli, locandine, sito web da utilizzare in modo disorganizzato e saltuario. Ciò ha portato allo sviluppo di numerose realtà in grado di perseguire in modo eccellente la propria mission, ma conosciute solo all’interno di una cerchia ristretta di soggetti.
Con l’attuale evoluzione del contesto sociale ed economico tale approccio non è più sostenibile. È necessario che la comunicazione diventi uno dei pilastri principali in grado di sorreggere l’attività dell’organizzazione e permetterne la sopravvivenza e lo sviluppo.
Per esempio, volete avviare un’attività di raccolta fondi? Ciò è possibile solo se l’organizzazione è in grado di comunicare in modo efficace: ricevere un dono richiede l’esistenza di un donatore, affinché una persona decida di diventare donatore è fondamentale che vi sia una relazione di fiducia forte con l’organizzazione e l’unico modo per costruire tale relazione è attraverso la comunicazione.
Tutto ciò diventa ancora più complesso e rilevante con la diffusione di internet e dei social media. Moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana sono connessi al mondo digitale. I social media hanno dato avvio ad un processo di trasposizione ed esplosione, concreto o solo apparente, delle reti relazionali sviluppate nella realtà quotidiana. Inoltre, hanno generato nell’utente l’illusione di trovare autonomamente la risposta a qualsiasi domanda attraverso i contenuti caricati da altri. Per esempio provando a cercare su Google “fare volontariato a Milano consigli”, usciranno più di 2 milioni di risultati e tra i primi vi saranno non solo siti di organizzazioni medio grandi, ma forum all’interno dei quali gli utenti si confrontano e si scambiano consigli basati sulla propria esperienza.
Quindi, fare comunicazione oggi all’interno di una organizzazione non profit implica la necessità di:
- diffondere internamente la cultura e la centralità della comunicazione;
- trasformare gli operatori dell’organizzazione in “comunicatori consapevoli ed efficaci”;
- accrescere la brand awareness e la brand image;
- gestire un numero crescente di relazioni, reali o digitali, con interlocutori attuali o potenziali;
- investire in professionisti in grado di utilizzare in modo efficace ed efficiente una molteplicità di strumenti differenti;
- rispondere alla crescente richiesta di trasparenza e interazione.
A questo punto la domanda che dovrebbe sorgere spontanea è: «Ho compreso l’importanza della comunicazione, ma da dove inizio considerando che le risorse (soldi, volontari, tempo, competenze) a disposizione sono scarse?»
Affinché tale processo possa produrre dei risultati positivi è essenziale che prima di tutto venga sposato e voluto dagli organi direttivi. Essendo la comunicazione un’attività trasversale, che interessa ogni aspetto della vita dell’organizzazione e che necessita del coinvolgimento di tutto il personale, deve ottenere la più ampia legittimazione.
Tutto ciò però non è sufficiente. La comunicazione non può essere improvvisata, ma è necessario che venga gestita e coordinata da una persona con adeguate competenze, sviluppate sia attraverso un percorso di studi specifico sia attraverso esperienze lavorative nel settore. Spesso può capitare che queste competenze siano già presenti all’interno dell’organizzazione, senza però saperlo. Conoscete veramente bene tutti i volontari con cui collaborate quotidianamente?
A questo punto, prima di poter avviare qualsiasi attività di comunicazione, è necessario procedere alla realizzazione di un piano strategico. Nella realtà troppo spesso questo passaggio viene sottovalutato. È invece basilare per poter perseguire determinati obiettivi in modo efficace, efficiente, ma soprattutto in sinergia con le altre attività dell’organizzazione.
Per costruire un piano strategico non è obbligatorio inventare nulla e partire da zero. Ogni organizzazione, intenzionalmente o non intenzionalmente, da quando si è costituita ha già attivato delle azioni di comunicazione. Basterà quindi mappare ciò che è stato fatto, ciò che è stato prodotto, ciò che hanno realizzato le altre organizzazioni, ma soprattutto quali sono le risorse a disposizione. Ed è proprio quest’ultimo passaggio il più importante: se da un lato quelle economiche sono solitamente limitate, dall’altro le organizzazioni non profit hanno una risorsa gratuita, che anche il mondo for profit gli invidia: le storie. Ogni progetto realizzato è formato da molteplici storie eccezionali, con un potenziale comunicativo molto elevato.
Tali risorse preziose necessitano però di essere utilizzate in modo efficace ed efficiente, evitando di navigare a vista. E per esplorare l’attività di pianificazione strategica viene in aiuto proprio la metafora della nave, che deve solcare mari sconosciuti. I porti che si vogliono raggiungere rappresentano gli obiettivi. È molto importante che siano chiari, specifici, ambiziosi ma realistici, condivisi e misurabili. In questo modo divengono anche la bussola, in grado di guidare la navigazione lungo tutto il percorso.
Ma per poter raggiungere i vari porti bisogna decidere quali mari solcare. Nel piano strategico essi sono gli interlocutori ai quali ci si vuole rivolgere, i cosiddetti “pubblici target”. Un errore da evitare consiste nel pensare di poter comunicare contemporaneamente e allo stesso modo a chiunque. Ogni target ha il suo background culturale, le proprie caratteristiche socio-demografiche e i propri stili di vita.
Una volta definite le mete e i mari in cui navigare bisogna disegnare la rotta da percorrere: la strategia. Tutto dipende dalle risorse a disposizione e dagli strumenti che possono essere utilizzati. Percorrere decine di miglia veleggiando sospinti dai venti oppure ricorrendo alla sola forza fisica dei rematori richiede di pensare a strategie differenti. Per esempio, un’organizzazione potrebbe decidere di utilizzare solo i social network, puntare sull’attività di ufficio stampa, produrre uno spot da far circolare nelle emittenti locali, organizzare un evento. Per poter compiere una scelta efficace è però necessario che gli obiettivi da raggiungere siano ben chiari e i pubblici con cui interagire ben definiti.
Una volta individuati gli strumenti è quindi importante stabilire lo stile comunicativo di base, l’idea creativa e il messaggio principale che si vuole veicolare. Questo passaggio è fondamentale perché permetterà di coordinare tutta la comunicazione che sarà prodotta. Non si vorrà mica che la nave abbia alcune vele bianche e altre nere?
Infine, definire una buona strategia vuol dire anche pianificare le tempistiche, l’utilizzo delle risorse necessarie, le persone da coinvolgere e i ruoli che dovranno ricoprire.
Ora tutto è pronto per avventurarsi tra i mari della comunicazione e, se tutto è stato pianificato correttamente, non ci saranno problemi che non potranno essere affrontati e superati. L’importante è seguire sempre la rotta e le indicazioni della bussola per non perdere di vista gli obiettivi finali che si vogliono perseguire. Ma soprattutto, come la tradizione marinara insegna, in barca tutti contribuiscono, nessuno escluso. Allo stesso modo una strategia di comunicazione avrà successo se tutti i componenti dell’organizzazione faranno la loro parte.