Rapporto annuale Istat 2018. Fare volontariato fa bene
L’Istat ha pubblicato il 26° rapporto annuale sulla situazione del paese, mettendo al centro della ricerca le reti e le relazioni socialie analizzando la popolazione a partire dalla sua presenza in reti di sostegno, di amicizia, di lavoro, di culturasia formali che informali. Il rapporto evidenzia il sistema delle relazioni di aiuto reciproco, solidarietà e collaborazione, da cui emerge che uno dei fattori che determinano la presenza o meno degli italiani all’interno di queste reti è l’aver svolto un’attività gratuita negli ultimi 12 mesi: si parla del 13,2% di italiani che hanno più di 14 anni. Il volontariato favorisce, infatti, il rafforzamento della fiducia interpersonale abituando gli associati a fidarsi vicendevolmente per raggiungere gli obiettivie stimolando lo sviluppo di sentimenti positivi.Più in generale il rapporto evidenzia che la percezione che in caso di bisogno ci siano persone disposte ad aiutarci rassicura sulla qualità dell’ambiente sociale e contribuisce ad attenuare la diffidenza verso gli altri.
Dal rapporto emerge un rapporto tra benessere personale e volontariato: chi vive meglio fa più volontariato e chi fa volontariato vive meglio. I dati Istat riportano, infatti, che chi si trova in condizioni migliori di vita decide di impegnarsi nel volontariato più frequentemente di chi sta in condizioni meno soddisfacenti, ma anche che chi fa volontariato migliora la propria condizione di benessere personale. Appartenere a gruppi o associazioni consente, infatti, di arricchire quella rete di relazioni e di scambi analizzata dal rapportodi quest’anno, evitando l’isolamento e garantendo la costruzione di occasioni di socialità. Il 40,1% dei volontari si dichiara molto soddisfatto per le relazioni familiari contro il 32,7% di chi non svolge attività gratuite; lo stesso avviene nelle relazioni con gli amici, nel giudizio sul proprio tempo libero e sulla salute: 32,8% contro il 22,5% nel primo caso, 20,7% contro 13,8% nel secondo caso e 22,3% contro 16,8% nel terzo caso. Analizzando il giudizio per la vita nel complesso, la differenza tra i punteggi espressi dai volontari rispetto ai non volontari è netta: tra i primi oltre la metà esprime un punteggio alto, mentre la quota è del 40 per cento tra chi non svolge attività di volontariato. Chi si impegna manifesta, inoltre, una maggiore propensione all’ottimismo, con aspettative sul futuro più rosee: il 35,9 per cento dei volontari crede che la sua situazione personale migliorerà, contro il 25,6 dei non volontari.
Il rapporto evidenzia anche che nelle fasce di età più avanzate fare volontariato implica una maggiore soddisfazione riguardo alla propria vita: tra gli ultrasettantenni il 56% di chi fa volontariato esprime molta soddisfazione per la propria vita, contro il 35% di chi non fa volontariato. Un’analisi confermata da diversi studi, secondo cui l’impegno a favore degli altri favorisce l’invecchiamento attivo e migliora la qualità della vita. Il volontariato ha anche ricadute positive laddove ci sono situazioni di difficoltà: gli effetti maggiori dello svolgere attività solidali sono dichiarati soprattutto dalle persone con risorse economiche scarse o insufficienti, dalle casalinghe, dalle persone in cerca di lavoro o con un basso titolo di studio, confermando come fare volontariato abbia ricadute positive soprattutto nelle persone a rischio di marginalità. Il rapporto evidenzia, però, che tra i fattori che incidono maggiormente sull’esercizio di attività di solidarietà ci siano ancora il titolo di studio e l’essere già coinvolti in altri contesti di socializzazione. La quota di volontari è molto più alta della media nei gruppi sociali con reddito medio alto e titoli di studio elevati, cioè tra gli appartenenti alla classe dirigente (23,5%), seguiti da quelli delle famiglie di impiegati e delle pensioni d’argento (rispettivamente il 18,8% e il 18,1%). Gli altri gruppi sociali hanno livelli di partecipazione decrescenti, fino ad arrivare alle famiglie a basso reddito con stranieri, tra i cui membri il tasso di partecipazione è del 4,3 per cento, quasi nove punti percentuali sotto la media.
La possibilità di dedicare il proprio tempo ad attività gratuite è molto legata alle fasi del ciclo di vita e al ruolo rivestito all’interno della famiglia, in particolare per le donne: le single in età attiva sono le persone che partecipano di più ad associazioni (19%) e le figlie femmine partecipano più dei figli maschi. C’è una differenza anche tra coppie con e senza figli: le coppie senza figli in età attiva vedono il 18.3% degli uomini e il 14,9% delle donne impegnate in attività di volontariato, contro rispettivamente il 15% e l’11,9% di quelle con figli. Il volontariato viene, però, posto da tutta la popolazione italiana in testa alle attività più “piacevoli” della giornata(agli ultimi posti vi sono lo studio e il lavoro): chi fa volontariato ama farlo e pur essendo un impegno risulta piacevole, generando un effetto benefico che si estende anche negli altri momenti della vita.