Giustizia riparativa e Laboratorio Nexus. Intervista a Patrizia Ciardiello
Il sistema giudiziario italiano, a fronte di alcune direttive internazionali, sta sempre più spesso introducendo il concetto di Giustizia Riparativa e forme di esecuzione penale diverse da quelle tradizionali. Abbiamo approfondito questo tema con Patrizia Ciardiello del Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria per la Lombardia.
Che cos’è la Giustizia Riparativa?
É un approccio orientato a considerare il reato principalmente in termini di lesione del legame sociale oltre che di danno alle persone, cui si correla la promozione di un coinvolgimento attivo dell’autore di reato, della parte offesa e della comunità nella gestione delle implicazioni del reato e nella condivisione di forme di riparazione. Si tratta di qualcosa di non sovrapponibile a semplici forme di restituzione o risarcimento, quanto di un modo di sollecitare una diversa assunzione di responsabilità da parte dell’autore di reato, ma anche dei contesti comunitari in cui il reato si è originato.
Nel sistema giuridico italiano questo concetto come viene recepito?
Da più parti viene segnalata come critica la piena aderenza al paradigma riparativo delle sperimentazioni finora condotte nel nostro paese. Precisazioni importanti in tal senso sono arrivate dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale indetti dal Ministero della Giustizia: nel documento finale viene sottolineato che l’azione riparativa non è da intendersi solo come indennizzo compensatorio, ma come partecipazione attiva delle parti nella progettazione di un agire responsabile per il futuro, che passa attraverso l’adesione consensuale dell’autore di reato e della parte offesa al progetto che li concerne.
Quale ruolo gioca la comunità in questi percorsi?
La comunità entra in gioco in termini di condivisione delle responsabilità sociali aprendo una prospettiva in cui le questioni relative al come si vive insieme, che includono l’anticipazione dei reati e le implicazioni dei reati stessi, riguardano tutti e non solo gli apparati dedicati alla repressione dei reati e all’esecuzione delle pene. Le raccomandazioni internazionali in materia di giustizia riparativa suggeriscono un approccio orientato alla rigenerazione del legame sociale che minimizzi l’impatto spesso distruttivo delle sanzioni punitive e restituisca alle parti e alla comunità la responsabilità di superare i conflitti. Dobbiamo tendere verso una forma di giustizia che tenga in considerazione la possibilità che le relazioni possano essere ricomposte.
Concretamente questo si realizza sul territorio con l’attivazione dei Laboratori Nexus: di cosa si tratta?
Il Laboratorio Nexus, attivo anche a Bergamo e coordinato dall’Ufficio locale per l’Esecuzione Penale Esterna, è nato dal lavoro congiunto del Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria per la Lombardia e di alcuni operatori del volontariato e del terzo settore per imporre un cambiamento di passo. Quello che si vuole promuovere è, in sostanza, un cambiamento di visione fondato su due pilastri: la persuasione che la pena non debba necessariamente coincidere con la privazione della libertà e la corresponsabilità della comunità nella promozione della propria coesione.
A Bergamo il Laboratorio Nexus su cosa sta lavorando?
Il Laboratorio Nexus di Bergamo si muove per la generazione di una consapevolezza diffusa che la privazione della libertà non si configura come risposta risolutiva ai comportamenti illegali, in quanto recide i legami sociali con la comunità in cui presto o tardi la persona dovrà fare ritorno. Si muove quindi nella direzione della sensibilizzazione culturale della cittadinanza (con particolare riferimento alle nuove generazioni) e allo stesso tempo della realizzazione e innovazione di programmi di inclusione sociale.
Questa intervista è stata pubblicata sulla pagina “Volontariato. Le Buone Notizie” di L’Eco di Bergamo di sabato 28 maggio 2016.