Proposte di legge made in Taiwan. Più potere al web, più democrazia
Grazie alle piattaforme online, nel Paese asiatico cittadini, organizzazioni della società civile ed esperti dibattono sulla nuove norme. L’obiettivo? Incalzare il Governo
di Elisabetta Bianchetti
Taiwan potrebbe non sembrare il posto più ovvio per un esercizio pionieristico nella democrazia digitale. L’isola, infatti, ha tenuto le sue prime elezioni presidenziali dirette soltanto nel 1996, dopo un secolo segnato prima dal dominio coloniale giapponese e poi dalla legge marziale nazionalista cinese. Ma proprio quel passato opprimente ha spinto i taiwanesi a scendere in piazza per protestare.
Così nell’era democratica di Taiwan, quattro anni fa, è stata una protesta a piantare il seme per un innovativo esperimento politico. È il 2014 quando un movimento, guidato da studenti e attivisti, chiamato Sunflower, ha fatto deragliare un tentativo, da parte del Governo del presidente Ma Ying-jeou, di promuovere un accordo commerciale con la Cina. Per più di tre settimane i manifestanti hanno occupato gli edifici governativi contro l’intesa che ritenevano avrebbero dato troppo peso a Pechino rispetto all’economia nazionale.
In seguito, una comunità tecnologica civica taiwanese nota come g0v (pronunciato “Gov Zero”), che aveva svolto un ruolo di primo piano nelle proteste dei sunflowers, ha progettato nel 2017 la piattaforma web vTaiwan che continua a gestire tuttora.
Il sito internet consente ai cittadini, alle organizzazioni della società civile, agli esperti e ai rappresentanti eletti di discutere le leggi proposte tramite il web, nonché attraverso incontri e hackathon faccia a faccia. L’obiettivo è aiutare i politici a prendere decisioni che ottengano legittimità attraverso la consultazione.
Audrey Tang, ministro del digitale di Taiwan, afferma che «i funzionari pubblici di alto livello devono capire che “vTaiwan” è il megafono della società civile che vuole collaborare alle decisioni governative ». Tang è stato in passato un hacker famoso che ha aiutato il movimento Sunflower a costruire la rete di comunicazione interna, nominato poi ministro dal presidente Tsai Ing-wen, che ha vinto le elezioni nel 2016.
“vTaiwan” fa affidamento su un miscuglio di strumenti open source per sollecitare proposte, condividere informazioni ed effettuare sondaggi.
Una delle sue componenti fondamentali è Pol.is creata da Colin Megill e un paio di suoi amici informatici e appassionati di democrazia digitale a Seattle dopo gli eventi di “Occupy Wall Street” e della primavera araba nel 2011.
Su Pol.is un argomento è messo in discussione. Chiunque crei un account può postare commenti sul tema trattato e può anche alzare o abbassare i commenti di altre persone.
Potrebbe sembrare molto simile a qualsiasi altro forum online, ma due cose rendono Pol.is inusuale: il primo è che non si può rispondere ai commenti; il secondo è l’utilizzo degli upvotes e downvotes per generare una sorta di mappa dei partecipanti al dibattito, raggruppando insieme persone che hanno votato allo stesso modo. Sebbene possano esserci centinaia o migliaia di commenti separati, i gruppi con idee simili emergono rapidamente nella mappa elettorale, mostrando dove ci sono divisioni e dove c’è consenso. Le persone quindi cercano naturalmente di scrivere commenti per superare il dissenso e prendere voti da entrambi gli schieramenti eliminando gradualmente le divisioni.
Uno dei primi successi della piattaforma “vTaiwan” è stata la discussione su come regolamentare Uber che in tanti Paesi del mondo ha avuto una forte opposizione da parte dei tassisti locali. Alle persone che hanno partecipato al dibattito online è stato chiesto di votare una serie di commenti tra cui: bandire Uber, sottoporlo a regole severe o lasciare che sia il mercato a decidere. In pochi giorni, le votazioni si sono coalizzate per definire due gruppi: uno pro-Uber e uno, circa due volte più grande, anti-Uber. Ma poi, mentre i gruppi cercavano di attirare più sostenitori, i loro membri hanno iniziato a postare commenti su questioni su cui tutti potevano essere d’accordo, come la sicurezza del conducente e l’assicurazione di responsabilità civile. A poco a poco, i commenti si sono raffinati per raccogliere altri voti.
Alla fine si è arrivati a sette commenti riassuntivi che hanno ricevuto un’approvazione quasi universale e che prevedevano la creazione di condizioni di parità sia per Uber sia per le altre compagnie di taxi.
Così come la protezione dei consumatori e maggiore concorrenza tra le compagnie. Il ministro Tang ha portato poi questi suggerimenti nella trattativa tra Uber, tassisti e Governo per arrivare infine all’adozione di un regolamento secondo le linee che “vTaiwan” aveva prodotto.
Il sito web di “vTaiwan” fino ad agosto 2018 è stato utilizzato in 26 casi, di cui l’80% ha coinciso con un’azione decisiva del Governo.
Oltre ai regolamenti per Uber e per le vendite online di alcolici, “vTaiwan” ha concorso alla creazione di un “Sandbox fintech”, un meccanismo per lo sviluppo di una regolamentazione che tiene il passo con il ritmo dell’innovazione all’interno del sistema finanziario.
Ma mentre “vTaiwan” può colmare divisioni nell’opinione pubblica, ciò che non può sempre superare è la politica. Il fatto che il Governo non sia obbligato a tenere in considerazione le discussioni sulla piattaforma è la più grande lacuna del sistema. Jason Hsu, ex attivista e ora eletto nell’opposizione, lo chiama: «Una tigre senza denti». Infatti il Governo Tsai ha scelto di usarlo solo per questioni che hanno a che fare con l’economia digitale. Questo perché le persone che si preoccupano di questi problemi sono quelle che hanno maggiori probabilità di sentirsi a proprio agio usando una piattaforma di discussione digitale. CL Kao, uno dei co-fondatori di g0v, sostiene che il Governo avrebbe potuto applicare “vTaiwan” a due recenti questioni controverse, la riforma delle pensioni e la riforma del lavoro, come un modo per costruire la sua credibilità. In ogni caso, dice Kao, se le raccomandazioni di “vTaiwan” sono ignorate, così è stato per l’accordo con la Cina che ha dato vita al movimento Sunflower, allora l’intero processo rischia di essere visto come qualcosa che crea la finzione della trasparenza. Mentre afferma che l’obiettivo finale del processo avviato è la legislazione.
“vTaiwan” è uno delle dozzine di progetti di governance partecipativa in tutto il mondo elencati su CrowdLaw un sito gestito dal Governance Lab della New York University.
La maggior parte di loro però, secondo il direttore Beth Noveck, soffre dello stesso problema: «Non sono vincolanti per i Governi, il che significa che è difficile guadagnare credibilità con i cittadini. Eppure, l’esperimento di Taiwan è un passo nella giusta direzione. È “molto più istituzionalizzato” di quello che è stato visto altrove. La piattaforma potrebbe essere in procinto di ottenere un po’ più di influenza». Anche grazie al fatto che quest’autunno il Parlamento taiwanese discuterà una legge sulle comunicazioni digitali che, tra le altre cose, afferma «le questioni relative all’economia digitale devono essere deliberate in un processo aperto e multilaterale che il Governo ha il dovere di sostenere». Ma quale sarà il peso di questo “supporto” è ancora aleatorio.
Taiwan inoltre ha adottato un altro nuovo sistema di governance partecipativa che sta ottenendo grande successo: Join. Una piattaforma nata per ospitare e discutere le petizioni online, sempre utilizzando il sistema Pol.is, lanciata dal Consiglio nazionale per lo sviluppo. Il suo scopo è rendere la pianificazione della politica esecutiva più aperta e trasparente, promuovere la partecipazione dei cittadini e rafforzare le comunicazioni.
Il sistema ha quattro aree: petizione elettronica, consultazione pubblica, supervisione e contatto con un alto funzionario.
Incorpora gli elementi di discussione, indagine e strumenti di trascrizione. I membri della comunità non solo possono utilizzare la piattaforma per presentare le proprie opinioni sulle scelte politiche del Governo, ma possono anche proporre una propria proposta. Quando un numero minimo di utenti condivide la proposta, il ministero competente deve emettere una risposta.
Sebbene le petizioni su Join non sono vincolanti, qualsiasi agenzia governativa che accetti di partecipare a una deliberazione deve, se la petizione riceve più di 5 mila firme, fornire una risposta punto per punto per spiegare perché ha acconsentito o respinto la proposta. Cinque delle città di Taiwan stanno già testando Join: l’obiettivo definitivo è quello di estenderlo a livello nazionale.
La piattaforma web Join
Join tende ad attirare una gamma di utenti più ampia, più anziana e meno esperta di tecnologia rispetto a “vTaiwan”. Un altro suo vantaggio è che non affronta solo problemi di economia digitale, ma un’ampia varietà di problematiche. Non a caso, se sono 200 mila le persone che hanno finora preso parte a una discussione su “vTaiwan”, quasi cinque milioni dei 23 milioni di abitanti del Paese sono già su Join.
Ma anche su questa piattaforma, le tendenze di costruzione del con-senso basate su Pol.is possono condurre la discussione in direzioni inattese. Un esempio? Il dibattito aperto sul consumo di cannabis alla guida di un veicolo e le eventuali sanzioni da comminare agli automobilisti risultati positivi al test antidroga. All’inizio l’opinione pubblica era spaccata in tre schieramenti, con ognuno di essi che pro-poneva solamente una entità della pena più o meno grave. Alla fine della consultazione online poi si è colto che il problema era mal posto e così si è optato per un’inversione di rotta: oltre alla repressione si è capito che era necessario tenere in considerazione anche prevenzione e rieducazione dei consumatori di cannabis.
Questo esempio ha mostrato tutta la forza di Join, dove non si è tratta-to soltanto di rispondere con un “Sì” o un “No” a una petizione onli-ne, ma di sollevare un dibattito con scambi di idee, proposte, analisi, suggerimenti e riflessioni.
A questo proposito Wu Min Hsuan, un attivista che ha occupato il Par-lamento di Taiwan durante le proteste del Movimento Sunflower, af-ferma che Join si è già dimostrato molto più produttivo di “vTaiwan”. L’ostacolo, crede, è solo nella volontà politica. «L’esperimento è im-portante e ha valore – spiega -. Ma la piattaforma ha un solo limite. Ha bisogno di un potere reale».