La nostra missione è scoprire un’identità comune per un’Europa dei cittadini
Spiega Giampiero Farru (consigliere Cev): serve un minimo comun denominatore fra le diverse matrici culturali del non profit per superare la dittatura dell’economia
di Silvia Cannonieri
Il volontariato europeo fatica ancora a essere visibile e a far sentire la propria voce presso le Istituzioni dell’Unione europea. Eppure i numeri che esprime restituiscono un potenziale di partecipazione, cittadinanza e solidarietà su cui l’Europa potrebbe fare leva per avvicinarsi ai cittadini e rafforzare il dialogo con loro. Abbiamo chiesto a Giampiero Farru, presidente di CSV Sardegna solidale e oggi unico esponente italiano nel consiglio direttivo del CEV – Centro Europeo del Volontariato, di spiegarci le ragioni.
Quali sono le sfide che il volontariato deve affrontare per rafforzare la sua capacità di rappresentanza a livello europeo?
La sfida principale è di natura culturale. La rappresentanza e la rappresentatività del volontariato sono infatti correlate all’idea di Europa che ne sta alla base e su questa oggi ci sono ancora visioni diverse, anche nel mondo del volontariato. Nei dibattiti e nelle assemblee generali che il CEV promuove, tocchiamo con mano la difficoltà di confrontarsi sul volontariato tra organizzazioni provenienti da diversi Paesi poiché ciascun rappresentante fa riferimento a contesti specifici, a modi di concepire e di definire il volontariato differenti. La questione più urgente è quella di trovare un minimo comune denominatore attorno al quale tutto il volontariato europeo possa riconoscersi. Questo vale sia per le nostre organizzazioni di rappresentanza a livello europeo sia per le istituzioni europee che guardano al volontariato. D’altronde oggi non sappiamo definire con esattezza chi è il cittadino europeo: abbiamo fatto l’Europa, ma non ancora i cittadini europei. Di conseguenza, è ancora più complesso trovare una definizione di volontario su cui far convergere i diversi approcci. Eppure il volontariato può essere un protagonista nella costruzione di una reale Europa dei cittadini. Questa intuizione ha portato nel 1992 alla costituzione del CEV, che da oltre 25 anni interpreta l’esigenza del volontariato europeo di essere presente in Europa in virtù del suo ruolo primario nella promozione della coesione sociale in Europa. Una funzione, quella di interprete del mondo del volontariato, che le istituzioni dell’Unione europea gli hanno riconosciuto e per questo lo considerano un importante soggetto con cui dialogare per costruire coesione sociale in Europa.
Quali differenze esistono tra le diverse concezioni di volontariato in Europa?
L’idea di volontariato è connessa alla storia e alla cultura che ogni stato esprime, di conseguenza è fisiologico che vi siano delle differenze e delle similitudini. Ad esempio per la cultura mediterranea, che ha condiviso molto della sua storia, l’idea solidaristica ha molti punti in comune, seppur con le particolarità che ciascuna legislazione nazionale evidenzia. La cultura nord europea, invece, ha seguito percorsi più differenziati che si riflettono anche sull’idea di solidarietà e di volontariato che esprime.
Una nazione in cui il numero di volontari si avvicina molto al numero degli abitanti, come avviene in alcuni paesi del Nord Europa, ci interroga su quale è l’idea di volontariato che percepisce e pratica. Se tutti i cittadini sono volontari, forse si tratta di quell’isola felice che Don Luigi Ciotti già negli anni novanta richiamava nel suo libro “Chi ha paura delle mele marce”, auspi- cando la scomparsa del volontariato? Perché se ogni cittadino interpretasse la solidarietà come dovere di cittadinanza dentro la sua vita, come previsto dalla costituzione italiana, non ci sarebbe più bisogno del volontariato. In realtà, non è esattamente ciò che accade in questi paesi, poiché vengono ricompresi nel concetto di “volontariato” anche attività, iniziative, modi di essere che non corrispondono al nostro modo di percepire e concepirlo.
Su queste differenze ci si confronta a livello europeo, con l’obiettivo di promuovere attività per avvicinare gli Stati membri a un concetto condiviso di volontariato. Una di queste è la Capitale europea del Volontariato, lanciata dal CEV nel 2013, proprio per favorire il confronto e costruire una coscienza e concezione comune del volontariato tra i vari Stati.
Come spiegherebbe a un’associazione italiana quali sono i benefici e le ricadute sul suo agire quotidiano di questo grande lavoro di advocacy, con fronto e scambio di esperienze a livello europeo?
Per meglio comprendere l’utilità e le ricadute di un confronto su questi temi a livello europeo, le associazioni dovrebbero in primo luogo interrogarsi su qual è la loro concezione del ruolo del volontariato nel nostro Paese e quali sono la necessità e le finalità della sua presenza, privilegiando un approccio culturale a uno più strumentale. Certo, concepire l’Europa come erogatrice di contributi è più facile e universalmente comprensibile, ma a mio parere è poco efficace rispetto alla visione del volontariato come costruttore di integrazione e coesione sociale in Europa. Un compito, quest’ultimo, auspicato invece dalle Istituzioni dell’Unione europea. Ridurre Bruxelles a un progettificio europeo nel quale andare per fare l’attacco al fortino è una visione che a mio parere non può appartenere a un mondo del volontariato che chiede di partecipare alla costruzione di un’Europa sociale e di essere riconosciuto proprio in virtù di questa sua potenzialità. Di conseguenza, suggerirei alle organizzazioni di volontariato italiane di provare a ragionare in primis su qual è la loro idea di Europa e su come interpretare un ruolo di promotori di cittadinanza nel nostro Paese e al contempo negli Stati uniti d’Europa. Anziché focalizzarsi solo su come poter sfruttare le opportunità che offre. Mi sembra, infatti, che il dibattito prevalente in Italia, anche nel mondo del volontariato, privilegi più le opportunità e i fondi europei rispetto alla responsabilità di creare una coscienza di cittadinanza in Europa.
Quanto alle opportunità che l’Europa offre, prima ancora dei fondi che mette a disposizione penserei alla possibilità di confrontarsi e di entrare in contatto con mondi, idee e realtà diverse da cui il volontariato italiano può imparare molto e anche insegnare. Ad esempio, il CSV Sardegna solidale ogni anno porta a Bruxelles dei gruppi di volontari attraverso le visite-studio e offre loro la possibilità di incontrare e conoscere le istituzioni, toccarle con mano e capirne il funzionamento. Perché è importante che l’Europa per il volontariato non si riduca a un’idea romantica oppure utilitaristica, ma sia un progetto reale in cui credere e al quale contribuire.