Storie di volontariato #6 Maurizio Noris: il pensiero sul volontariato generativo di cambiamento
Maurizio Noris del Museo Etnografico della Torre di Comenduno ci racconta la sua esperienza di volontario, condividendo la sua riflessione rispetto a che significato abbia per lui fare volontariato e che valore gli riconosce a livello sociale.
Quando hai iniziato a fare volontariato? Cos’è per te il volontariato?
M. N.: Penso di aver sempre fatto volontariato, la mia storia personale e il percorso che ho fatto mi hanno sempre messo in contatto con questo mondo: ho lavorato come operatore sindacale, fondato cooperative, sono stato consulente di CSV Bergamo per parecchi anni occupandomi dei processi di promozione del volontariato e della costruzione di reti e di consapevolezza rispetto al mondo del volontariato.
È difficile per me distinguere tra lavoro e volontariato. Qual è il criterio che mi aiuta a distinguere? Sicuramente non può essere solo quello economico. Ritengo che la dimensione del volontariato metta insieme aspetti che riguardano sia la gratuità che il pensiero rispetto a quello che si fa. Ha a che fare con la volontà di partecipazione, con l’idea della relazione come elemento fondamentale, con il proposito di incrementare la consapevolezza intorno ai temi di cui ci si occupa. Si poggia sull’idea della relazione con altri come funzione di reciproco riconoscimento. Naturalmente Non può mancare una dimensione di piacere e gratificazione rispetto al tempo che si mette a disposizione: voler bene alle persone con cui si ha a che fare e avere piacere nell’aiutarle è senz’altro un elemento fondamentale.
Per me il volontariato ha a che fare con la politica, intesa nel senso più alto del termine. Le scelte culturali, sociali e politiche delle azioni devono avere un valore e i volontari devono essere consapevoli di quale sia questo valore. È importante che i volontari pensino a perché vengono fatte determinate scelte, riflettere su queste cose genera la possibilità di identificazione per le altre persone.
Dove svolgi volontariato attualmente e di cosa ti occupi?
M. N.: Il grosso della mia attività di volontariato la svolgo con il Museo Etnografico della Torre di Comenduno, un’esperienza trentennale che è cresciuta nel tempo. L’associazione è nata con l’obiettivo di dare visibilità, in chiave etnografica, a cosa significhi vivere insieme all’interno di in una comunità. Per farlo abbiamo realizzato diverse esposizioni museali che hanno al centro la cultura locale del secolo scorso.
In Valle Seriana infatti oggi c’è una grande tradizione industriale, ma prima di questa, un secolo fa, c’era un grande tradizione contadina: il nostro museo racconta come eravamo all’inizio del ‘900.
Il mio impegno nell’associazione è aumentato da quando sono in pensione, la mia funzione è sempre stata di sostegno progettuale al Museo. Nel tempo le attività dell’associazione sono cresciute, abbiamo avviato una serie di progettualità di promozione grazie a un programma sempre più vasto e ricco che ha al centro le comunità del territorio e che propone iniziative che sono occasioni di incontro e conoscenza della nostra storia. Il Museo oggi ha una quarantina di soci, con circa quindici eventi annui all’attivo, oltre all’apertura del museo.
Oggi siamo di fronte a due evoluzioni significative: da un lato il lavoro di ristrutturazione parziale della villa Regina Pacis in cui siamo coinvolti perché è dove ha sede anche il nostro museo e, dall’altro, il lavoro sul Maglio del 1400 che vogliamo rendere più accessibile, risistemando tutta la struttura per farla tornare funzionante e pensando al contempo anche a un contesto di accoglienza. Il Maglio custodisce il racconto di un mondo che è stato significativo per la comunità.
Da ragazzo sono stato l’ultimo ‘bocia’ del maglio, da parte mia c’è anche un forte legame affettivo e con la famiglia. La moglie del malleatore, per esempio, mi ha insegnato a recitare le poesie.
Un desiderio per il futuro della tua organizzazione?
M. N.: Un mio desiderio è quello di sviluppare ulteriormente le attività del Museo grazie alle quali lasciare sempre più il segno anche nel contesto in cui abitiamo.
Mi piacerebbe incontrare sempre più persone che, con questo spirito, abbiano voglia di avvicinarsi a questa esperienza, che è bella e interessante e ha tutta una parte di progettazione che mette in gioco aspetti culturali legati alla storia di un posto, mantenendo un forte radicamento con il contesto.
Il mio grande desiderio è quello che possa vincere un ‘noi’ rispetto all’individualità. Farsi promotori di civiltà. Ricostruire dei quadri di riferimento che non abbiano al centro l’idea del dominio, ma quella della solidarietà, della vicinanza e della relazione. È una cosa che ha un grande valore, soprattutto se è consapevole e pensata.