Prenditi cura: la nostra recensione
Titolo: Prenditi cura
Autore: Letizia Paolozzi
Editore: Et al
Come si pongono oggi le donne di fronte al tema della cura, oppure come si pone il tema della cura dinnanzi alle donne?
La cura è caratteristica delle donne ed è innegabile che ci sia stato un enorme sfruttamento nell’arco della Storia del lavoro femminile. Tanti gli esempi che ci vengono in mente: la cura della casa, degli anziani, la cura dei bambini anche nella forma di insegnamento, la cura dei malati: perciò spesso è stata considerata una negazione dell’autodeterminazione femminile. Oggi si riconosce l’indispensabilità della cura, che però non va trasformata in un nuovo welfare sulle spalle delle donne. Bisogna cambiare il modo di produrre e di vivere, o meglio con-vivere.
Letizia Paolozzi ci porta attraverso le pagine di Prenditi cura a una riflessione sull’azione della cura come posizione radicale che modifica la visione del mondo e dei rapporti che lo abitano. È un tema in linea con il femminismo, orizzonte dell’autrice, e dei dibattitti che coinvolgono le donne, il lavoro, welfare, la maternità, la cura dei familiari e la forma di abitare e rispettare il mondo che ci ospita.
Non è una via facile. Ma, soprattutto, dare valore alla cura significa aprire una diversa considerazione del rapporto tra la libertà e la dipendenza. L’autrice ci mette in guardia a intendere la libertà come indifferenza una sorta di indipendenza da tutto e tutti: noi infatti dipendiamo costantemente da chi ci ha messo al mondo, dalle relazioni che intessiamo con gli altri, dalla terra in cui abitiamo. Legami che possiamo constatemene ridefinire ma non distruggere, rischio una perdita e svuotamento totale del politico e del sociale.
Il libro porta allo scoperto la modificazione profonda che l’azione delle donne ha prodotto e sta producendo nella vita di ciascuno. E’ un libro che parla innanzitutto di pratica femminista e attraversa quanto si legge ogni giorno sui giornali: i nuovi lavori ad alto contenuto “relazionale”; la crisi della scuola e il sapere delle insegnanti; le forme diverse dell’abitare; il rapporto tra malattia, cura e idea della morte; una linguistica ripensata alla luce di teorie che si fondano sulla lingua materna; l’esperienza di una donna immigrata nel nostro paese; un rapporto con il “mettere al mondo” che non si realizza solo nella maternità reale, ma anche nella capacità simbolica, per una donna, di creare in mille altre forme.
Infine, la sua lettura porta un guadagno a tutti noi donne e uomini regalandoci parole semantiche e invitandoci ad esperire ciò che ci rende umani: la generosità verso l’altro.
Michela Di Meo (redazione CSV)