Questa terra è la nostra terra: la nostra recensione
Titolo: QUESTA TERRA E’ LA NOSTRA TERRA: Manifesto di un migrante
Autore: Suketu Mehta
Editore: Einaudi
Edizione: 2019
Il titolo fa riferimento ad una versione di una canzone americana di protesta del 1944 sulla libertà di movimento che è diventata un inno universale dei migranti: “This land is your land” (Questa terra è la tua terra”).
Tra il saggio e l’autobiografia questo libro risulta un’appassionata difesa della condizione di migrante: l’autore, partendo dalla sua esperienza personale, fa il giro del mondo per soffermarsi sulla situazione occidentale, in particolare sulla frontiera tra Messico e USA, sulle recinzioni tra Africa occidentale ed Europa (stretto di Gibilterra) e sulle politiche islamofobiche di molti paesi europei cercando di scardinare i pregiudizi.
La famiglia di Suketu Mehta ha viaggiato dalla campagna alla città, dall’India al Kenija, dall’Inghilterra agli USA; più precisamente l’autore, nato a Calcutta e cresciuto a Bombay, nel 1977 è emigrato a New York dove è diventato cittadino americano. In tal modo l’autore appartiene ad un paese che ha vissuto lo sfruttamento coloniale e costituisce un osservatore interno, un testimone diretto in grado di documentare le proprie affermazioni e, con onestà intellettuale, di citare anche le colpe dei paesi colonizzati..
L’immigrato non va né criminalizzato né idealizzato perchè le migrazioni sono una costante della storia umana. Pertanto Mehta, scrittore e giornalista, analizza il fenomeno nella sua evoluzione storica, nelle sue cause, nelle sue caratteristiche odierne secondo una struttura logica scandita in quattro parti così sintetizzabili:
1) Arrivano i migranti cioè milioni di persone che vogliono vivere in un paese diverso da quello in cui sono nati.
2) Perché arrivano: qui l’autore individua le cause nel colonialismo storico e nuovo (quello delle multinazionali), nelle guerre, nei cambiamenti climatici che provocano siccità, uragani, inondazioni.
3) Perché fanno paura: sono indicati motivi razziali e culturali, la crisi economica della classe media dei paesi di immigrazione, soprattutto le false narrazioni dei populisti che ingigantiscono le paure dei suprematisti bianchi.
4) Perché dovrebbero essere i benvenuti: è dimostrabile che gli immigrati non sono scansafatiche, né una minaccia per lavoro, criminalità, cultura; al contrario creano una domanda di servizi, forniscono manodopera a paesi invecchiati, ridanno vitalità ad aree depresse.
Anche se l’autore non fa mai riferimento all’Italia, le sue considerazioni si adattano benissimo al dibattito che sull’argomento si sta sviluppando da alcuni anni nel nostro paese.
a cura di Giuseppina Calzolari (Redazione CSV Brescia)