Nuova mensa dei poveri Una sera tra cibo e vite
Il reportage. Una cena assieme ai settanta commensali di Casa Nazareth
Ad accogliere volontari e ospiti il sorriso di don Roberto Malgesini
Se alle 18.30 ci si trovasse a passare di fronte ai cancelli di Casa Nazareth, in via don Luigi Guanella 12, li si troverebbe aperti. Si vedrebbe di fronte a sé una stradina di ghiaia che conduce verso l’edificio dalle mura gialle, passando sotto i rami degli alberi che punteggiano il cortile, costellato di panchine. E sarebbe subito chiaro che questo è un luogo dove incontrarsi. Non solo per la conformazione del cortile, ma anche per la presenza delle tante persone che vi transitano, come capita a tutti noi lungo gli spazi familiari delle nostre abitazioni. È qui che dallo scorso maggio è entrata in funzione la mensa di solidarietà don Guanella, in una struttura più grande di quella che per anni ha ospitato il servizio di distribuzione serale dei pasti, gestito dall’associazione Incroci. Il cortile degli incontri Nelle sere settimanali i primi ad arrivare sono loro, i volontari. A gruppi formati da una quindicina di persone, suddivisi sui giorni della settimana, si trovano per preparare uno spazio accogliente per gli ospiti. Ognuno ha un compito: c’è chi si posiziona di fronte alle porte per prendere le temperature e registrare il codice a barre identificativo presente sui tesserini gialli che ogni ospite esibisce all’arrivo, c’è chi invece si affretta a disporre le pietanze che arrivano fumanti dalla cucina. Cucina che è il regno di suor Maria Bianchetti: è stata lei, insieme alle consorelle della Congregazione delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, a mettere questo spazio a disposizione delle associazioni comasche. Insieme ad alcune volontarie, suor Maria armeggia dietro ai fornelli ogni sera. Non le piace raccontarsi: preferisce tirarsi su le maniche e arrivare presto in cucina per far trovare a chi ha fame una cena che non sia solo calda, ma anche buona e varia. Cuoche e volontari però non sono gli unici ad arrivare presto: anche gli ospiti già mezz’ora prima della distribuzione del pasto – che inizia alle 19 e prosegue fino alle 20 – si raggruppano a chiacchierare seduti sulle panchine del cortile. Attendono con pazienza che la mensa sia pronta per loro e nel frattempo si raccontano, tra di loro ma anche con i volontari, dando vita così a un clima disteso e conviviale capace di rendere l’idea di un posto che è molto più di una mensa: è appunto un luogo di incontro. Seduto all’esterno c’è Vieux Dabate: Vieux viene dal Senegal e il suo nome significa “anziano” in francese, ma lui ha trent’anni e il sorriso giovane di chi ancora si aspetta molto dalla vita. «Mi piace l’Italia e mi piace Como – racconta – si sta meglio che in Sicilia, dove sono stato per cinque anni in condizioni di lavoro pessime. Adesso sono a Como da un mese, ma vivo per strada, sto così da quasi otto anni, dopo aver girato anche Germania e Francia». Vorrebbe un lavoro Vieux, come imbianchino o come panettiere, per potersi stabilizzare, trovare una casa e ricominciare da zero. È stanco di vivere per strada, spiega mentre mostra il suo tesserino giallo che gli permette almeno di avere diritto a un pasto caldo ogni sera. Di fronte a lui non c’è ancora la coda per entrare in mensa, anche se ogni sera gli ospiti che arrivano sono tra i sessanta e i settanta. Tra le inferriate bianche del cancello socchiuso del piano terra di Casa Nazareth si intravede una parte della prima sala adibita a mensa: un disegno, realizzato da persone con e senza fissa dimora nell’ambito di un progetto dell’associazione Incroci, raffigura un momento di convivialità a colori accesi che prende poi vita in carne e
ossa nelle persone sedute ai tavoli. Tavoli distanziati, come vogliono le normative anti-Covid, a volte occupati da due persone o in certi casi da una sola, ma tra i quali il chiacchiericcio si diffonde velocemente. Non c’è mai silenzio alla mensa di solidarietà e l’aria si riempie presto di storie della giornata, che rimbalzano tra chi mangia e chi serve, in un rapporto paritario. Nella seconda sala della nuova mensa don Guanella una fotografia guarda ospiti e volontari dalla parete: con le braccia allargate e la luce che illumina la veste bianca, è come se don Roberto Malgesini fosse ancora tra di loro e così a tanti piace pensarlo. Il suo ricordo, mentre si aggirava di tavolo in tavolo, ogni sera di ogni giorno della settimana, è indelebile. «Aveva un rapporto vero con tutti» raccontano i volontari «e non si tirava mai indietro dal dialogo, soprattutto con chi ne aveva più bisogno e magari si mostrava restio ad aprirsi all’altro, don Roberto sapeva sempre cosa fare: alcuni di questi ragazzi adesso hanno un lavoro e un posto dove stare anche grazie a lui».
Condividere la propria giornata e non solo ricevere un pasto è ciò che soprattutto allevia le sofferenze che ogni ospite della mensa di solidarietà porta sulle proprie spalle quando prende posto ai tavoli. Per alcuni le condizioni di vita sono veramente difficili, come nel caso di un ospite che preferisce mantenere l’anonimato ma che non si risparmia dal raccontare i più di vent’anni passati a lavorare come marmista nel Comasco: «È stato un lavoro durissimo, ma io ero giovane e non mi risparmiavo, poi a un certo punto è arrivata l’artrite reumatoide e i polmoni mi si sono riempiti delle polveri sollevate dai blocchi su cui lavoravo. Adesso prendo una pensione di invalidità che basta appena a pagare un posto dove dormire» racconta mostrando con un sorriso timido le dita bloccate dall’artrite in pose scomposte. Il suo desiderio più grande sarebbe quello di portare a Como sua moglie e i suoi due bambini, rimasti a Tunisi, ma per il momento le sue condizioni di salute gli rendono impossibile lavorare e trovare un’occupazione stabile che gli permetta di accoglierli qui.
di Martina Toppi
Per gentile concessione della redazione de La Provincia