Oltre la pena, il dialogo dopo il reato
Luca Pinotti ha intervistato Patrizia De Filippi e Marco Bellocco, educatori de “Il Gabbiano”, per lo speciale “Diogene – La città solidale” uscito con “La Provincia” nell’edizione del 5 luglio. Il tema è la “Giustizia riparativa”. Come ricucire il patto sociale mettendo in relazione vittime, colpevoli e comunità?
Creare un dialogo tra chi un reato l’ha subìto e chi l’ha commesso. E, talvolta, anche con la comunità con cui – proprio a causa di quel reato – si è rotto quel “patto sociale” che sta alla base della convivenza civile. È in quel momento che entrano in gioco la cosiddetta giustizia riparativa e le figure cardine del meccanismo, vale a dire mediatori e facilitatori, educatori che tentano di ricucire le ferite che un reato lascia aperte.
Agevolando il dialogo tra le parti e provando a sopperire alle “lacune” che il processo penale porta inevitabilmente con sé, per come è congegnato. Chi si prende cura del punto di vista della vittima? Il reo, una volta scontata la pena, è davvero pienamente reintegrato nella società? E la società stessa, come può essere parte attiva in questa delicata fase? Le domande sono tante, il compito che spetta a questi professionisti della giustizia riparativa non è sempre semplice. Ristabilire questo patto sociale è il loro obiettivo, come spiega l’educatrice Patrizia De Filippi: «La giustizia riparativa dice che il reato non è solo una pena da scontare, ma presuppone anche un conflitto con la comunità, che spesso non viene sanato dopo il processo penale. Davvero chi sconta una pena è poi davvero libero? E che relazioni ha poi con la vittima? E la comunità come “riaccoglie” l’autore di un reato? L’obiettivo è ricucire il patto infranto all’interno di una comunità».
Si cerca di avvicinare le parti, non sempre l’operazione ha successo, ma spesso è richiesta dagli stessi attori. Quando il meccanismo si avvia, inizia un percorso in cui i moderatori e i facilitatori giocano un ruolo fondamentale: «I valori che orientano la giustizia riparativa sono rispetto, non-giudizio, responsabilità, inclusione verso tutti i soggetti coinvolti. Spesso le attenzioni sono rivolte all’autore del reato, il processo penale si dimentica delle vittime e della comunità che può aver subito un danno. La giustizia riparativa entra in gioco con le sue pratiche per ristabilire la giustizia delle persone, non quella dei tribunali: esistono la mediazione penale, i circle, i gruppi di orientamento riparativo, la family group conference».
Perché è importante la giustizia riparativa? Lo spiega un altro educatore, Marco Bellocco: «Regala un ruolo attivo e da protagonista alle parti. Il criterio però è la libertà di partecipazione: non c’è riparazione se i soggetti non hanno dato un libero consenso».
E ancora, sulle dinamiche che si instaurano: «Essere introdotti in un discorso riparativo ribalta la situazione da passivo ad attivo. La vittima sceglie di incontrare chi gli ha cagionato un danno. Solo pensando di farlo, la vittima trasforma la propria posizione di trauma».
E poi ci sono loro, gli operatori a cui tocca agevolare il dialogo.
Una situazione in cui il mediatore si trova a metà strada, in una non semplice posizione intermedia, come racconta De Filippi: «Il mediatore è equidistante, anzi “equiprossimo”: deve ascoltare le due parti e riportare i vissuti che raccoglie. Umanamente? La “magia” si accende nel momento in cui i soggetti coinvolti riescono a comprendere il vissuto dell’altro. Quando finalmente si riescono a togliere le maschere: pur rimanendo sempre fermi sui fatti, quando arrivano il dialogo e la comprensione significa che è scattato qualcosa».
Concretamente che succede? «È capitato che alcuni ragazzi incontrassero le proprie vittime e le se aspettavano inferocite, mentre le vittime si aspettavano energumeni violenti. Lo schema si è sgretolato immediatamente: hanno capito di avere di fronte persone diverse, con vissuti lontani dai cliché. Perché il racconto tocca, fa capire le cose: si sono guardati negli occhi, erano molto più vicini di quanto non si aspettassero. Gli autori si sono resi conto di aver fatto del male, prima erano solo centrati sul fatto di aver pagato la pena».
Aggiunge Bellocco: «Sul mediatore grava l’impegno di restare equidistante, senza parteggiare. Bisogna essere “garanti”, affinché ci sia un incontro corretto, in una cornice giusta, con tempi esatti per ogni soggetto, rispettando i valori della riparativa, senza sovrapposizioni. La nostra è una mediazione attiva: occorre farsi attraversare dai vissuti e restituirli dove altri fanno fatica». E le conclusioni sono spesso interessanti: «Il contesto dell’approccio riparativo è efficace e funziona quanto più i reati sono gravi e drammatici. Il bisogno di ascolto e dialogo reciproco è più forte tanto più le parti sono “incastrate” in una vicenda processuale: con i reati più efferati, la giustizia riparativa si dimostra più efficace».