Suicidi in carcere: maratona oratoria al Tribunale di Como
Salgono a 64 i suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, 12 solo a giugno, mese nel quale si è uccisa una persona detenuta ogni due giorni e mezzo. “Se il dato fosse questo – scrive l’associazione Antigone nel suo sito – a fine anno avremo circa 100 suicidi, superando il dato degli 85 avvenuti nel 2022”.
Per far conoscere questa emergenza, che purtroppo lascia indifferenti i più, l’Unione delle Camere penali italiane ha organizzato, in diverse città italiane, la maratona oratoria “Fermare i suicidi in carcere” per dare voce a chi non può parlare e spingere a riflettere sul senso della carcerazione così come è oggi.
La Camera penale di Como e Lecco ha intitolato la sua maratona, che si è tenuta martedì 9 luglio davanti al Tribunale, “Quarantasei (in meno)” alludendo al cinico commento di quelli che considerano il suicidio dei detenuti una fatalità che permette di disfarsi di un problema. Le persone in meno “che dobbiamo mantenere” da 46 nell’arco di pochi giorni sono diventate 54. E dietro i numeri ci sono persone, uomini e donne, spesso giovanissimi, che nella maggior parte dei casi non hanno commesso reati gravi e che si trovano in situazioni di totale abbandono e disperazione.
Avvocati, educatori, magistrati, volontari, giornalisti rappresentanti di associazioni (tra cui Como senza frontiere e Nessuno tocchi Caino) hanno riportato testimonianze di persone che in carcere soffrono o hanno sofferto e che non trovano voce. Tutti gli interventi che si sono succeduti nel corso della maratona hanno evidenziato i diversi aspetti di questo dramma: umano, giuridico, sociale e personale. Dai minorenni del Beccaria all’ultra settantenne, dietro ciascuna storia di suicidio o di autolesionismo ci sono vicende personali complesse e dolorose. Alla popolazione carceraria stipata in istituti cronicamente sovraffollati, si aggiungono i detenuti amministrativi dei Cpr dove, in condizioni spesso disumane, vengono tenuti i migranti che arrivano nel nostro Paese.
«Il volontariato può aiutare ma non risolvere il problema del trascorrere del tempo in carcere – è stata la testimonianza di Martino Villani, direttore di CSV Insubria – ha tempi e modi che non si incontrano facilmente con la realtà di una struttura che non è pensata per aprirsi all’esterno. Il volontariato in carcere non si può fare con il buon cuore è un volontariato complesso che richiede collaborazione tra chi si occupa di sicurezza e chi di gestione. Il Ministero sollecita la partecipazione del volontariato ma potenzia la sicurezza tralasciando di rafforzare la dimensione educativa quindi la possibilità di programmazione e soprattutto di gestione della partecipazione dei detenuti».
A questo link è possibile riascoltare alcuni interventi: https://ecoinformazioni.com/2024/07/10/468-in-meno/