Colmegna: “Guai ai volontari se rimangono in silenzio”
Tra gli ospiti della XIX conferenza nazionale di CSVnet a Trento è stato uno dei più applauditi. Don Virginio Colmegna, da 15 anni presidente della Casa della carità di Milano, ha svolto un intervento appassionato sulla necessità di “liberare il volontariato” dalla “gabbia” della semplice gestione di risposte, spesso di tipo emergenziali, e di riconoscere invece la sua natura di anticipatore culturale e di processi sociali, in grado di dare voce a chi non ce l’ha.
Secondo il “prete di comunità”, instancabile animatore di progetti contro l’emarginazione fin dagli anni 80, va superata la tendenza a fare “appelli generici alla generosità” validi per ogni stagione, perché invece il volontariato ha in sé una forza profetica, capace di mettere in moto “sentimenti di umanità e legame, non scontati in questa società individualista”. È urgente “liberare questa energia – ha detto – e riscoprire la passione umana, la commozione”.
Nel suo intervento don Colmegna ha richiamato più volte le parole di papa Francesco, sottolineando come sia importante oggi rendere il volontariato un “atteggiamento normale”. Una parte dell’intervento è stata dedicata alla questione dell’attacco mediatico e culturale a cui sembra sottoposto il mondo del non profit da ormai qualche anno e su cui proprio pochi mesi fa dalle pagine di Avvenire il professor Stefano Zamagni ha fatto partire una vera e propria campagna di denuncia. Secondo Colmegna il volontariato “è sotto attacco, non tanto perché ‘ruba i soldi’, come oggi qualcuno sembra sostenere, ma perché pone dei valori alternativi, antagonisti, rispetto al capitalismo che ha prodotto e vive di individualismo. Un delirio di onnipotenza – ha aggiunto – che sta pervadendo tutta la società”.
A chi invece definisce i volontari come un “esercito silente” l’ex direttore di Caritas ambrosiana (per 11 anni) ha risposto che “il volontariato è fatto da una cultura molto ampia; è una cultura dei beni comuni, della solidarietà, della fraternità, in un paese dove aumentano le disuguaglianze, dove pochi hanno tanto e tanti invece vivono in povertà. Noi dobbiamo recuperare il tema e il senso della giustizia – ha affermato Colmegna – perciò guai a noi se rimaniamo in silenzio su questi argomenti”.
Il sacerdote è stato quindi sollecitato sul concetto di “obiezione”, da lui descritta in un intervista come la capacità di “acquisire la consapevolezza di essere parte di una minoranza che attraversa la cultura identitaria. Siamo obiettori rispetto alle disuguaglianze, a questo sistema che produce armi, guerre e distruzione. Occorre scarnificare l’idea di obiezione e portarla nello stile di vita personale. L’obiezione oggi è tenerezza, misericordia contro la violenza verbale crescente, quella del rancore, come quella di chi lo contrasta”. “La parola obiezione di coscienza – ha aggiunto a Trento – viene sempre citata come qualcosa di oppositivo e negativo. Certamente la parola significa ‘obietto verso qualcosa che sta andando male’, ma obiettare significa riportare al centro la densità umana dei processi di relazione. I volontari obiettano perché sono portatori di una capacità di speranza”. “Obiettiamo – ha concluso Colmegna – perché portiamo dentro il sogno di un mondo diverso”.
(Fonte: CSVnet)