Costituente del Volontariato: il racconto della seconda giornata
Si è svolta lunedì 22 novembre la seconda giornata della Costituente del Volontariato della Lombardia, con la giornata di studio “Immaginarsi la comunità di domani” a Cascina Triulza aperta a volontari, organizzazioni del Terzo Settore, istituzioni di tutte le province lombarde e trasmessa in diretta streaming sul Canale YouTube di CSVnet Lombardia.
Hanno aperto i lavori Attilio Rossato e Alessandro Seminati, presidente e direttore di CSVnet Lombardia, che hanno raccontato le motivazioni e il percorso che hanno portato alla Costituente. Quattro i nodi individuati da Rossato: la necessità di ricollocarsi nel territorio, il bisogno di lavorare insieme, l’importanza di costruire politiche sociali condivise nei territori e la capacità dei CSV di essere luoghi di attivazione di politiche di welfare. «Abbiamo il compito di aiutare i territori a stare insieme, più di prima e meglio di prima. Per farlo dobbiamo mettere in campo energie che fino ad oggi non siamo riusciti ad attivare – ha spiegato -. Solo stando insieme possiamo generare il cambiamento e l’innovazione oggi più che mai necessari: per questo c’è bisogno di qualcuno che si occupi di riconnettere i legami tra le persone». Seminati ha raccontato come alla base della Costituente ci sia l’idea di un Centro di Servizio per il Volontariato che renda visibili le diverse forme del volontariato, portandone avanti le istanze e rispondendone ai bisogni: «Tutto cambia molto velocemente, siamo di fronte ad un momento di incertezza tale che diventa difficile fare previsioni. Negli ultimi due anni abbiamo visto comunità più fragili e frammentate, ma anche persone più disponibili. Istituzioni in affanno ma più pronte di prima a realizzare alleanze. Abbiamo visto organizzazioni stanche ma anche più disponibili a riorganizzare la partecipazione. Diventa ora fondamentale immaginarsi un luogo e uno spazio dove il volontariato agisca per la crescita della comunità. La Costituente vuole essere quindi un luogo da cui immaginare sfide, alleanze, percorsi nuovi dentro i territori. Ricordandoci che da soli non si va da nessuna parte, questo deve essere il filo conduttore: allargare insieme i nostri centri concentrici».
Hanno poi portato i loro contributi il sociologo Aldo Bonomi e l’urbanista Elena Granata. Bonomi ha suddiviso il suo intervento in tre nodi focali: la condivisione dei dubbi e della cassetta degli attrezzi con cui leggere il territorio, l’impatto e l’attraversamento della pandemia, l’istituzione della Comunità. Nel suo intervento la pandemia ha avuto un ruolo centrale: «La pandemia è un flusso che impatta sui corpi. È nuda vita. Diventa ora fondamentale la voglia di ricostruire comunità e nella ricostruzione non si può prescindere dal volontariato con il volontariato politico. Io credo che la comunità di cura da sola non basta, ma non basta nemmeno fare solo un’alleanza di mercato con la comunità operosa; la comunità larga significa che la comunità di cura non è solo volontariato, associazionismo, Terzo Settore, cooperative sociali ma far bene l’insegnante è un pezzo fondamentale della comunità di cura, far bene il medico o lo psichiatra è un pezzo fondamentale, fare sindacato lo è, anche fare commercio e piccole imprese lo è. È in atto un dibattito dentro la crisi dei corpi intermedi su queste cose. Ricostruire comunità di cura larga è faticoso, è più facile negoziare verticalmente che costruire vere alleanze. Rifare territorio significa questo e significa rifare società di mezzo o rimettere in mezzo la società tra l’economia e la politica. La comunità di cura larga significa costruire la piattaforma sociale. La pandemia ha svelato che i flussi hanno colpito duro nel pieno, non nel margine. E quindi bisogna costruire le istituzioni della comunità, non andare dalle istituzioni. La questione non è politica, è pre-politica. Voi siete tessitori sociali che costruiscono le piattaforme, quali sono i luoghi in cui costruirle? Nel costruire la comunità di cura larga dobbiamo stare dentro le oasi delle comunità concrete. Questo è il punto. Cos’è una comunità concreta? Cosa si fa? Che rapporti con i corpi intermedi? Le istituzioni della comunità sono queste cose qui. Come nel ‘900 abbiamo costruito le camere di commercio, oggi noi dobbiamo ricostruire le istituzioni delle comunità. È un’azione prepolitica di comunità di cura larga». Spunti di lavoro interessanti, ripresi anche da Granata che nel suo intervento “Città tra movimento e immobilismo”, partendo da una citazione della recente serie di Zerocalcare “Strappare lungo i bordi”, ha spiegato come «Questa frattura con la pandemia ha assunto nomi e volti ancora più radicali. Capiamo che non siamo disponibili a tornare alla vita di prima: c’è qualcosa di radicale che ci impedisce anche solo di pensare di tornare all’assetto precedente. Questo porta a delle scelte, no siamo più disponibili. C’è una frattura profondissima a fronte di un mondo che vuole tornare indietro all’assetto precedente. È scomparsa la normalità. Tra voglia di cambiamento, che sentite a pelle (e finalmente usiamo anche questo senso), e immobilismo: le città non stanno reagendo alla voglia di cambiamento. Il virus è stato il vero urbanista, quello che abbiamo visto è stato necessità imposta dalla pandemia. A una domanda di cambiamento e di socialità urbana ad aver risposto è il virus, non le istituzioni. Allora la domanda è adesso cosa facciamo perché quella cosa non si chiuda come una bella parentesi? Siamo dentro ad un cambiamento d’epoca che ci fa essere tra il già e il non ancora, dentro il quale nessuno offre una narrazione convincente per pensare al futuro. La pandemia ha messo in evidenza quello che ancora non sappiamo e questo apre un grandissimo spazio di immaginazione e responsabilità».
Granata, partendo dall’assunto che non si può più tornare alla vita di prima e che le cose non possono più stare dentro le scatole, ha proposto due stili di lavoro:
- quello che non sappiamo dovrebbe attrarci più di quello che già sappiamo;
- dobbiamo ripartire dall’immaginazione per reinventare luoghi di confronto che costruiscano città possibili dove soggetti diversi possano prendersi cura dell’esistenza.
A introdurre la fase laboratoriale del primo giorno di Costituente è stato Enrico Gentina, formatore di TEDx, chiamato a rielaborare alcuni degli spunti emersi negli interventi precedenti. Un contributo fuori dagli schemi il suo – che ha ampiamente attinto da suggestioni mediali, da un immaginario collettivo diffuso ormai simultaneamente a livello globale dalle serie tv, e persino dalle dinamiche relazionali del gaming online – per indicare la necessità di un sostanziale cambio di approccio nel tentativo di tracciare un profilo sociale della popolazione più giovane. “Oggi sono poche le persone che si riconoscono nel lavoro che fanno – ha detto Gentina -, la maggior parte non ha un lavoro in cui si riconosce, perché non si tratta di lavori ‘identitari’. In questo secolo, oltre che lavoratori, siamo soprattutto consumatori. La maggior parte dei nostri consumi sono contenuti, e non semplici oggetti: sono i contenuti che consumiamo online ci formano“. Una presa di consapevolezza della forza dirompente delle piattaforme web come Netflix e Amazon, ma anche l’occasione per tracciare una decisa linea di demarcazione fra l’intelligenza artificiale e quella biologica: “Se quella artificiale, coi suoi algoritmi, può processare una quantità infinita di dati – dati che mai una persona potrà maneggiare da sola – l’intelligenza umana, biologica, è una intelligenza adattiva, capace di immaginare il futuro. Il nostro rischio, oggi, è quello di non cogliere l’invito ascoltato alla Costituente in questa giornata, e cioè l’invito a conoscere ciò che ancora è sconosciuto. Il rischio è di lasciare l’immaginazione alla statistica“.