Enti filantropici, alcuni chiarimenti dall’Agenzia delle entrate
Il codice del terzo settore ha codificato la figura degli enti filantropici, qualificando tali le associazioni riconosciute o le fondazioni che perseguono come attività di interesse generale l’erogazione di denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di persone svantaggiate, in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, o di attività di interesse generale che risulteranno indicate nel relativo statuto, come tali iscrivibili nel registro unico nazionale del terzo settore (Runts).
Le risorse economiche necessarie allo svolgimento della propria attività derivano principalmente da contributi pubblici e privati, donazioni e lasciti testamentari, rendite patrimoniali ed attività di raccolta fondi. Resta fermo che l’attività dell’ente filantropico deve caratterizzarsi per l’assenza di corrispettività, anche sotto forma di ”incremento patrimoniale” per il medesimo ente filantropico, secondo quanto precisato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
In merito alla gestione degli enti filantropici sono emersi alcuni dubbi su cui si sofferma l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 75 del 21/12/2023, frutto anche del confronto con il Ministero del Lavoro.
In primis, gli enti filantropici possono realizzare anche investimenti, sottoscrivendo capitali e prestiti?
L’Agenzia delle entrate risponde in termini affermativi a condizione che non sia prevista alcuna forma di remunerazione ma esclusivamente la restituzione dei mezzi finanziari apportati, nel rispetto, pertanto, della gratuità (intesa come assenza di qualsiasi margine di surplus finanziario), configurandosi sostanzialmente come prestiti infruttiferi. Resta invece esclusa la possibilità per l’ente filantropico di svolgere attività di microcredito in quanto riservata alle imprese sociali.
In secondo luogo, qual è la disciplina fiscale degli enti filantropici?
Ebbene, in attesa dell’operatività del titolo X del codice del terzo settore, si applicano le regole contemplate dal testo unico delle imposte sui redditi relative al regime fiscale degli enti non commerciali. Si ricorda che sono tali “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, (…) residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”, intendendo per oggetto esclusivo o principale, l’attività essenziale svolta per realizzare direttamente gli scopi primari dell’ente così come indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto. Ai fini dell’individuazione della natura tributaria dell’ente rileva pertanto il carattere commerciale o non commerciale dell’attività essenziale per la realizzazione degli scopi statutari.
Ai fini della qualificazione come ”non commerciale” dell’attività svolta dagli enti filantropici, l’Agenzia delle entrate osserva primariamente che appare sostanziarsi nell’erogazione di “denaro, beni o servizi, anche di investimento” a sostegno di “categorie di persone svantaggiate” o di “attività di interesse generale” a titolo gratuito, ovvero in assenza di controprestazioni o corrispettivi a carico dei beneficiari, il che rappresenta un indice di non commercialità ai fini della qualificazione dell’attività ”non commerciale”.
Ad analoghe conclusioni si perviene in relazione all’attività erogativa costituita dalla concessione, a vario titolo, di prestiti di denaro nei riguardi di beneficiari tenuti alla restituzione del solo capitale, qualora detta attività venga effettuata senza addebito di interessi, o di altri importi a titolo di commissioni comunque denominate, a carico dei beneficiari. Resta fermo che, ai fini della qualificazione ai fini fiscali dell’attività degli enti filantropici, le concrete modalità organizzative relative all’attività nel concreto posta in opera devono essere osservate attraverso accertamenti di fatto e non possono essere verificate in questa sede.
Dalla natura non commerciale dell’ente deriva la circostanza che il reddito complessivo è costituito dalla somma dei redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione. Pertanto, per gli enti non commerciali, i redditi di impresa si configurano come una delle categorie reddituali che concorrono a formare il reddito complessivo da assoggettare a imposta.Un ulteriori quesito attiene alla disciplina fiscale degli immobili degli enti filantropici, ossia se siano o meno soggetti all’imposta sul reddito.
L’articolo 84 del codice del terzo settore prevede che “i redditi degli immobili, destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato, sono esenti dall’imposta sul reddito delle società”, agevolazione estesa agli enti filantropici. Tale disposizione è già operativa per gli enti filantropici iscritti nel Runts.
Al riguardo l’Agenzia ritiene che rientrino nell’esenzione i redditi derivanti dalla gestione degli immobili, inclusa la locazione, a condizione che non siano inseriti in un ”contesto produttivo” ma siano posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, destinati al sostegno delle finalità istituzionali proprie dell’ente filantropico e, non sia configurabile, nell’attività di gestione, un’attività organizzata in forma d’impresa.