Storie di concreta solidarietà – ventiquattresima puntata
Ventiquattresimo appuntamento con la rubrica Storie di concreta solidarietà, testimonianze e racconti di chi l’Emporio Solidale di Comunità lo vive tutti i giorni: volontari, operatori e destinatari. Storie vuole trasmettere le asperità e la bellezza della solidarietà, affinché tutti i cittadini possano essere testimoni del valore che questa crea nella comunità.
Storie di concreta solidarietà: ventiquattresima puntata
Cosa significa solidarietà? E con quali strumenti va praticata?
Con Davide Boldrini, direttore di Agape Onlus, abbiamo avviato una stimolante riflessione in senso filosofico sul tema che accomuna individui e comunità impegnate nel volontariato. Lo abbiamo fatto a partire dal suo intervento nel recente convegno “UNCI a supporto di azioni di rete per comunità solidali ”, svoltosi presso il Centro Pastorale di via Cairoli.
«Nei nostri territori veniamo da un periodo di riscoperta delle identità e delle tradizioni locali, mentre a livello globale è innegabile un riaffiorare dei movimenti identitari: pensiamo al vento dei nazionalismi che è tornato a soffiare. Le comunità, grandi o piccole che siano, si stanno consolidando in termini identitari. Questo ci impone un’attenta riflessione in relazione al concetto di solidarietà e alla sua messa in pratica.
Solidarietà e identità non sono necessariamente antitetiche, ma rischiano di entrare in collisione: nel momento in cui le comunità rafforzano la propria coesione in termini identitari, finiscono per stabilire dei confini e quindi di decidere chi sta dentro e chi sta fuori. Soprattutto nel contesto occidentale, le risorse diminuiscono mentre gli standard di vita tendono a rimanere elevati: ciò significa che per far convivere le due cose le comunità tendono a diventare molto, troppo selettive in termini di accesso ai diritti e alle risorse. Per i più deboli è più difficile averne accesso perchè se la torta si restringe le fette diventano più sottili e c’è chi rischia di non avere nessuna fetta. Questa è una solidarietà degradata. I fenomeni identitari sono una reazione alla grande globalizzazione in atto, questo è un dato di fatto: il rischio nel nostro ambito di intervento è che questo porti a una solidarietà meno inclusiva, perché rivolta solo a chi della comunità fa già parte.
Per scongiurare questo rischio, diventa importante il concetto di fraternità. Come dice il proverbio: gli amici si scelgono e i fratelli no, il che significa in altre parole che quello amicale è un processo che ci porta a scegliere persone che ci somigliano o che la pensano come noi.
Più che come amici, invece, occorre pensarsi nella solidarietà come fratelli, di modo da non effettuare scelte escludenti. Il concetto di fraternità è importante perché ci porta ad accettare l’altro da noi pur consapevoli della distanza che ci separa; per restare nella metafora, ciascuno di noi può avere un fratello o una sorella con cui non si somiglia, o che la pensa in modo diverso.
La fraternità dunque non è un processo semplice, può portare alla messa in discussione delle proprie posizioni perché ci mette di fronte chi è lontano da noi, ma è un elemento fondamentale per dare pieno compimento alla solidarietà.
A livello collettivo, è la sfida che devono affrontare le comunità. È necessario avere confini porosi, non impermeabili, non chiusi. Altrimenti il rischio è l’asfissia, il disfacimento senza una rigenerazione data dall’incontro con l’altro. A livello globale, l’esempio più lampante è fenomeno storico delle migrazioni, che esistono da quando esiste l’uomo: ciascuna comunità ha sempre incontrato un’alterità, nel corso della storia. L’incontro e l’accoglienza da parte delle comunità verso gli individui che non ne fanno parte sono un elemento fondamentale per costruire una solidarietà efficace.
Il nostro modo di metterci al servizio delle persone rischia di riprodurre un processo individualistico con cui cercare uno strumento di gratificazione nell’atto della solidarietà. L’incontro con l’altro non è solo gratificazione, è anche messa in discussione delle proprie categorie. Questo non è facile, ma è necessario per non fermarsi alla sterile autogratificazione. Il rischio nel mondo del volontariato è non approfondire questo dato: fermarsi a quanto di buono si è fatto significa escludere altre possibilità di aiuto; la base di partenza per la solidarietà è la condivisione, assieme all’accettazione.
Nella Genesi, Dio pone ad Adamo due domande: “dove sei?”, “dov’è tuo fratello?” Due domande diverse ma che appartengono allo stesso ambito di ricerca. Dove siamo? A che punto siamo della nostra vita? È un tipo di domanda che ciascuno si pone nel suo percorso. Nella seconda domanda c’è la risposta: noi riusciamo a ritrovarci nel momento in cui siamo in grado di trovare i nostri fratelli, gli esseri umani attorno a noi. “Trovare” nel senso di entrare in comunicazione, in condivisione. Noi oggi rischiamo di perdere la nostra fisionomia come comunità nella misura in cui non siamo in grado di trovare la fisionomia del volto dell’altro da noi. Per questo occorre tenere al centro del nostro pensiero il concetto di fraternità oltre che quello di solidarietà. Agire la seconda senza considerare la prima può essere gratificante ma quasi mai è sufficiente».
Emporio Solidale di Comunità è una realtà nata dalla volontà di dodici Enti del Terzo Settore (ACLI Sede provinciale di Mantova aps capofila, Agesci Gruppo Mantova 7, associazione Abramo onlus, associazione Agape onlus, associazione Libra onlus, associazione Porta Giulia Hofer Odv, Aval Odv sezione provinciale di Mantova, Centro Aperto Aps, Centro di Aiuto alla Vita, Croce Rossa Italiana Comitato di Mantova, Laboje – associazione di volontariato, CSV Lombardia Sud ETS) e del Comune di Mantova al fine di coordinare le azioni di sostegno alimentare nel capoluogo, affinché queste possano essere sempre più efficaci, efficienti, inclusive ed eque.