Le linee guida sulla raccolta fondi degli enti del Terzo settore spiegate
Con la firma, da parte del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, del decreto che adotta le Linee guida in materia di raccolta fondi degli enti del Terzo settore (la cui pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è attesa nei prossimi giorni), la riforma del Terzo settore si completa di un altro tassello fondamentale e che era atteso da diverso tempo.
Nel presente contributo si analizzano gli aspetti più salienti delle linee guida.
La finalità delle linee guida
Le linee guida ministeriali, redatte ai sensi dell’art. 7 del codice del Terzo settore, hanno come obiettivo dichiarato quello di fornire uno strumento di orientamento per tutti gli enti del Terzo settore nella realizzazione delle attività di raccolta fondi, contribuendo a migliorare il rapporto di fiducia fra i cittadini e le organizzazioni del Terzo settore.
Esse si presentano come un “documento aperto”, con l’intenzione di sviluppare gli spunti di riflessione che dovessero emergere dalla raccolta ed elaborazione di buone prassi da parte dei soggetti privati e pubblici coinvolti nelle attività di raccolta fondi.
Nella parte iniziale del documento si specifica anzitutto che il tema della raccolta fondi è trattato esclusivamente sotto il profilo sostanziale, mentre per quanto riguarda il profilo fiscale sarà l’amministrazione finanziaria a dover intervenire con specifici documenti di prassi.
La raccolta fondi nel codice del Terzo settore
Si può comprendere come l’istituto della raccolta fondi rivesta un’importanza centrale nella nuova normativa del Terzo settore dal fatto che esso è disciplinato in uno dei primi articoli del codice, nella parte generale che si applica a tutti gli Ets.
Essa è definita come “il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva” (art. 7, c. 1 del Cts).
Gli enti non profit hanno svolto nella prassi attività di raccolta fondi, anche in modo continuativo, ben prima della riforma del Terzo settore; la novità rappresentata dall’art.7 è che per la prima volta ne viene data una definizione, e quindi un riconoscimento, da un punto di vista giuridico.
Dalla definizione che ne fornisce il codice le risorse raccolte devono essere destinate al fine esclusivo di sostenere finanziariamente le attività di interesse generale, con conseguente esclusione della possibilità di impiegare i fondi così raccolti per finanziare le attività diverse di cui all’art. 6. In tal senso, le linee guida specificano che il soggetto erogatore deve essere informato dal beneficiario circa la destinazione dei fondi: l’ente del Terzo settore deve quindi evidenziare se la raccolta sia diretta a finanziare le attività di interesse generale o specifici progetti. Tali elementi non sono invece rinvenibili nello svolgimento delle attività diverse.
La raccolta fondi può essere svolta “anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore”: ciò significa che essa potrà avvenire sia attraverso l’erogazione liberale di denaro o beni sia tramite il pagamento di un corrispettivo a fronte di una cessione da parte dell’Ets di beni o servizi di modico valore. Per quanto riguarda le erogazioni liberali in denaro o beni, queste possono essere detraibili o deducibili per le persone fisiche o gli enti che le effettuano in base a quanto previsto dall’art. 83 del codice del Terzo settore e dal decreto ministeriale del 28 novembre 2019. Il riferimento ai “beni o servizi di modico valore” rimanda invece chiaramente alle raccolte pubbliche occasionali di fondi, disciplinate dall’art. 143, c. 3, lett. a) del Dpr 917 del 1986 e il cui contenuto è stato riversato nell’art. 79, c. 4, lett. a) del Cts: esse sono soggette a specifici obblighi di rendicontazione e i fondi raccolti tramite le stesse non concorrono alla formazione del reddito degli Ets non commerciali.
Per realizzare la raccolta l’Ets può impiegare sia risorse proprie che di terzi. Se si avvalesse di risorse proprie, si può trattare sia di dipendenti che di volontari: qui le linee guida specificano che deve comunque essere rispettato il principio di incompatibilità tra lo status di volontario e quello di lavoratore della stessa organizzazione (art. 17, c. 5), esplicitato (fra le altre) dalla nota ministeriale n. 6214 del 9 luglio 2020, il quale comporta che il lavoratore potrà partecipare alla raccolta fondi esclusivamente nell’ambito del rapporto di lavoro in essere con l’Ets.
I principi di trasparenza, verità e correttezza
La raccolta fondi deve essere realizzata nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico (art. 7, c. 2 del Cts): le indicazioni fornite in merito dalle linee guida hanno carattere precettivo (e quindi vincolante) per gli enti del Terzo settore.
La trasparenza ha la finalità di permettere ai donatori e agli altri portatori di interesse (stakeholder) di ricevere o di poter accedere a complete ed esaurienti informazioni in relazione alla raccolta. L’ente dovrà quindi fornire ai donatori un’informazione chiara, diretta e comprensibile sull’utilizzo della sua donazione, sul progetto cui è destinata e/o sulle principali attività dell’organizzazione.
In particolare, l’Ets deve evidenziare alcuni elementi che compongono l’attività di raccolta fondi:
- la figura del legale rappresentante dell’ente, l’indicazione degli uffici e/o di almeno una persona di riferimento da contattare per ottenere informazioni sulla raccolta;
- l’indicazione della durata delle raccolte e del loro ambito territoriale e, qualora tecnicamente possibile, dell’ammontare progressivo dei proventi raccolti;
- le categorie di beneficiari, gli enti privati o le attività di interesse generale dell’Ets ai quali saranno destinati i proventi ottenuti;
- qualora la raccolta sia effettuata per realizzare progetti specifici, l’indicazione: a) dell’obiettivo dei fondi da raccogliere; b) della destinazione delle risorse raccolte, qualora il progetto enunciato non possa essere realizzato; c) della destinazione delle eccedenze, qualora fosse superato l’obiettivo del progetto; d) dei tempi previsti per la realizzazione del progetto;
- l’indicazione delle modalità con cui eseguire la donazione e di eventuali benefici fiscali di cui il donatore può fruire.
Per quanto riguarda il principio di verità, le linee guida specificano che l’Ets è tenuto a diffondere attraverso i mezzi di comunicazione informazioni veritiere, applicandosi le disposizioni in tema di pubblicità ingannevole (art. 2, c. 1, lett. b della Legge 145 del 2007).
Il principio di correttezza impone invece all’Ets di comportarsi con lealtà ed onestà sia nei confronti del donatore che del beneficiario della donazione. Dovrà essere garantito il rispetto della privacy e della protezione dei dati personali (ai sensi del decreto legislativo 196 del 2003 e del Regolamento europeo sulla privacy, Gdpr 679 del 2016), non si potranno fornire informazioni suggestive o lesive della dignità delle persone fisiche beneficiarie dei proventi della raccolta fondi, e non dovranno essere adottati comportamenti discriminatori nei confronti di destinatari, collaboratori, volontari e donatori.
Le diverse tecniche di raccolta fondi
Al paragrafo 5 le linee guida forniscono una panoramica delle principali tecniche di raccolta fondi ad oggi esistenti, descrivendone per ognuna le caratteristiche e le modalità di svolgimento.
Tali tecniche sono:
- il direct mail;
- il telefono (telemarketing);
- il face to face;
- il direct response television;
- gli eventi sportivi, culturali, ricreativi o di altro genere nonché gli eventi di piazza;
- il merchandising;
- i salvadanai;
- la raccolta fondi dalle imprese for profit;
- la raccolta fondi per attività di sostegno a distanza;
- i lasciti testamentari;
- le numerazioni solidali;
- le donazioni online.
Le stesse linee guida specificano comunque che tale panoramica sulle diverse tecniche, realizzata aggiornando le buone prassi individuate dall’ex Agenzia del Terzo settore nelle linee guida del 2011, intende semplicemente offrire un quadro di massima delle stesse e non presenta carattere esaustivo né cogente.
Gli obblighi di rendicontazione in tema di raccolta fondi
Riguardo agli obblighi di rendicontazione per l’attività di raccolta fondi, le linee guida specificano che questi si distinguono a seconda che l’attività di raccolta fondi abbia il carattere dell’abitualità o dell’occasionalità.
Gli schemi di bilancio (predisposti dal decreto ministeriale del 5 marzo 2020) contemplano, sia nel rendiconto gestionale (modello B) che nel rendiconto per cassa (modello D), la macrovoce C), in cui devono essere riportati i ricavi (entrate) e i costi (uscite) relativi alle raccolte fondi effettuate, distinguendo tra attività abituale ed occasionale.
Gli Ets non commerciali che adottano il rendiconto gestionale (perché aventi entrate pari o superiori a 220.000 euro oppure, avendo entrate inferiori a tale limite, per scelta volontaria) devono fornire anche una descrizione dell’attività di raccolta fondi inserendola al punto 24) della relazione di missione, comprensiva anche della raccolta fondi abituale. Gli Ets non commerciali che redigono invece il rendiconto per cassa si limiteranno, in relazione all’attività di raccolta fondi abituale, a compilare la correlata voce di bilancio del rendiconto medesimo.
Solamente per quanto riguarda le raccolte pubbliche occasionali di fondi, disciplinate come detto dall’art. 79, c. 4, lett. a) del Cts, l’art. 87, c.6 dello stesso codice dispone per gli Ets non commerciali che le effettuano l’obbligo di redigere un rendiconto per ogni raccolta svolta corredato da una relazione illustrativa. In quest’ultima l’ente deve fornire una breve descrizione di ciascuna delle iniziative intraprese, della modalità di svolgimento dell’evento, del luogo in cui si è svolto, delle finalità perseguite e dei costi sostenuti. In particolare, in relazione alle uscite l’ente deve descrivere le relative voci indicate nel rendiconto della singola raccolta pubblica occasionale di fondi (ad esempio, il numero e il costo unitario dei beni di modico valore acquistati, eventuali rimborsi per volontari, spese di cancelleria, noleggio stand, utenze, assicurazioni, ecc.); con riferimento alle entrate, l’ammontare delle erogazioni in denaro ricevute, il numero e il prezzo dei beni di modico valore venduti, la distinzione tra elargizioni ricevute da persone fisiche o persone giuridiche (altre associazioni, società ecc.).
I rendiconti delle singole attività di raccolta pubblica occasionale di fondi devono essere allegati al bilancio di esercizio previsto dall’art. 13, c.1 del codice (in particolare alla relazione di missione) oppure al rendiconto per cassa ai sensi dell’art. 13, c. 2, e depositati al Runts entro il 30 giugno di ogni anno (art. 48, c. 3 del Cts).
Nelle due pagine conclusive le linee guida riportano un modello di rendiconto e di relazione illustrativa per le raccolte pubbliche occasionali di fondi, con l’obiettivo di facilitarne la compilazione da parte degli enti.
Nella tabella sottostante si riepilogano gli obblighi di rendicontazione previsti per l’attività di raccolta fondi e descritti in questo ultimo paragrafo.
Articolo tratto da Cantiereterzosettore.it, scritto da Daniele Erler