A scuola di formazione. Un mix di online e presenza
La docente Susanna Sancassani consiglia come orientarsi sul web tra corsi universitari, hybrid e blended learning. Le lezioni in presenza? Un valore aggiunto. Ma è allarme digital divide
di Silvia Cannonieri e Paolo Marelli
L’emergenza Covid-19 ancora incombe, il distanziamento fisico rimane il primo comandamento da osservare, ma la pandemia non ferma la formazione per i volontari. Semmai la rivoluziona, accelerando una spinta al cambiamento dalla quale non si tornerà indietro e ridisegnando l’identikit dei corsi, della loro organizzazione, dell’idea stessa di classe, anche se tali novità e innovazioni sono ancora tutte da valutare alla voce efficacia dell’apprendimento.
Con la pandemia che non allenta la morsa, quella che è iniziata quest’autunno è una didattica in equilibro tra lezioni in aula e online. Gli esperti raccomandano alle associazioni e alle Università del volontariato e, in generale, agli enti di Terzo settore una dose bilanciata di incontri in presenza (anche online) e materiale digitale: «Un’armonica integrazione fra le due componenti allo scopo di assottigliare il più possibile la linea di separazione tra reale e virtuale, garantendo qualità dell’offerta senza rischi per la sicurezza», raccomanda Susanna Sancassani, responsabile del servizio METID (Metodi e tecnologie Innovative per la didattica) al Politecnico di Milano e docente di Innovative teaching skills, mentre in precedenza aveva insegnato Progettazione e sviluppo di corsi di e-learning. Per l’esperta di formazione, un mix equo tra online e offline è la miscela in grado di far ripartire il treno dei corsi dedicati a quei volontari che al verbo “fare” coniugano anche il “sapere”. Donne e uomini, giovani e anziani affamati di apprendimento, con interessi orientati verso una pluralità e trasversalità di materie (dalla redazione del bilancio al parlare in pubblico). Una volontà di arricchimento culturale e tecnico per mettere poi le competenze acquisite al servizio di solidarietà e bene comune.
Corsi sul web, tre eccellenze made in Italy
Ormai da anni, quando si parla di formazione, le associazioni di volontariato si ritrovano sempre davanti a un bivio: usare i percorsi formativi già esistenti, oppure metterne in campo di propri? «Rispetto alla prima ipotesi – risponde Sancassani – in Italia ci sono tre portali con corsi universitari gratuiti e in italiano: c’è la piattaforma del Politecnico di Milano (polimiopenknowledge), c’è quella dell’Università Federico II di Napoli, (Federicaweblearning) e c’è Eduopen.
Seguendo uno schema collaudato, un’associazione può fissare degli obiettivi di apprendimento per i propri volontari e, consultando queste risorse digitali, indicare una serie di lezioni utili al proprio scopo, senza l’impegno di seguire l’intero corso. Un esempio? Per la tal organizzazione non profit può essere vantaggioso concentrarsi sulla seconda settimana di un corso di economia della Federico II per apprendere concetti e procedure chiave per la redazione del proprio bilancio. Oppure per il tal altro ente può essere fruttuoso dedicarsi alla prima settimana del corso sulla sicurezza del Politecnico di Milano. Se si padroneggia l’inglese invece, ci sono tutte le risorse dell’Ocse: una enorme quantità di corsi aperti, disponibili e gratuiti per il mondo del volontariato». «Per usare i percorsi formativi già esistenti – aggiunge Sancassani -, le associazioni, grazie ai propri siti web e social, devono semplicemente fornire ai volontari indirizzi internet, link, modalità di registrazione ai corsi se richiesta e mettere a punto un calendario delle varie lezioni. È prassi comune poi organizzare, tramite webinar o in presenza, un incontro di presentazione dell’itinerario didattico proposto e, magari, uno conclusivo per condividere ciò che si è imparato, o per chiarire eventuali punti oscuri dell’argomento trattato. Naturalmente, se si decidesse di percorrere questa strada formativa, varrebbe anche la pena di esplorare tutte le risorse disponibili su YouTube o Vimeo».
Hybrid learning oppure blended learning?
La seconda strada prevede che sia la singola associazione a pianificare i corsi per i propri volontari, puntando anche in questo caso su lezioni online, cioè sulla cosiddetta e-learning. Tuttavia, secondo Sancassani, prima di addentrarsi lungo questa via è necessario fare una sosta per far luce sulla differenza fra i termini hybrid learning e blended learning. Infatti, anche se hybrid e blended learning sembrano concetti simili, al punto che spesso sono usati in modo intercambiabile, in realtà fra i due c’è una sottile ma importante distinzione.
Mentre il blended learning si focalizza su una combinazione di divulgazione di conoscenze online e offline, l’hybrid learning cerca di trovare un equilibrio tra le due parti al fine di promuovere la miglior esperienza per il singolo studente. «L’hybrid learning – spiega la responsabile del servizio METID al Politecnico di Milano – rivolge l’attenzione sulle modalità dell’erogazione di saperi che in parte avviene in forma digitale e in parte in presenza, ma concentrandosi sulla dimensione tecnologica che permette questa possibilità. Il blended learning invece pone l’accento sulla questione metodologica, sul fatto che ci sia, per mezzo di un progetto formativo, un’integrazione metodologica tra ciò che si apprende online e offline, con funzioni differenti nell’esperienza didattica, ma con una responsabilità di gestione integrata».
Accanto a hybrid o blended learning, c’è poi l’idea made in Italy di “classe estesa”. Ancora Sancassani: «Anzitutto usiamo il termine classe perché si tratta di un gruppo delle persone e non di uno spazio fisico (l’aula, ndr). E poi l’aggettivo estesa perché proponiamo ai docenti una visione per la quale loro vanno fisicamente in aula, anche se i muri che contengono la classe medesima sono abbattuti dato che la loro classe è un po’ in presenza e un po’ online. E, soprattutto, devono riuscire a insegnare a tale classe estesa come se essa sia un’unica comunità verso la quale rivolgersi in modo integrato. Pertanto, i docenti devono riuscire a lavorare in modo attivo sia con la parte in presenza sia con la parte online, considerandole come una sola comunità di apprendimento».
Streaming bocciato, il futuro è la classe estesa
Il modello della classe estesa è singolare ed efficace, ma non è senza ostacoli. Le difficoltà principali investono due ambiti: primo, una qualità di attrezzature hardware e software; secondo, docenti con un’elevata preparazione. Di contro chi ricorre a scorciatoie, finisce sempre fuori strada, poiché dotarsi di un computer con telecamera e un programma come Zoom è sufficiente solo per lezioni in streaming, ossia una didattica frontale con un apprendimento passivo per lo studente. Una modalità su cui Sancassani è perentoria: «La didattica frontale è tempo perso, sono soldi sprecati e sono risorse al vento. Perché lo studente al termine della lezione ricorda poco e se poi non è neanche obbligato a prepararsi a un esame, il suo livello di apprendimento si assottiglia verso il basso. E, oltretutto, lo streaming non offre neanche il valore della socialità che si avrebbe quantomeno in presenza». Ragion per cui è indispensabile passare da una didattica passiva a una attiva, come lo è quella della classe estesa. «Ma essa richiede un grosso investimento tecnologico – continua – l’esperta del Politecnico -. Servono telecamere nell’aula che seguano il docente mentre spiega, la possibilità di usare software in modo integrato con gli studenti in presenza e online, in maniera tale che il docente possa proporre test, quiz e attività di brainstorming alle due parti della classe. Inoltre, occorre predisporre un impianto audio che permetta un dialogo tra chi è in aula e chi è online. In sostanza, va creato una sorta di ecosistema misto hardware e software e un corpo docente dinamico e preparato a raccogliere la sfida».
Un mix di presenza e digitale per il volontariato
Se il futuro è la classe estesa, il presente – contrassegnato dalla pandemia – può essere il blended learning anche per una tipologia di formazione-residenziale molto utilizzata nel Terzo settore. «Per il volontariato – suggerisce Sancassani – il blended learning è, come investimento e cultura pedagogica, molto più alla portata del non profit rispetto alla classe estesa. E inoltre con esso si possono proporre più obiettivi formativi, più contenuti e più esercitazioni. L’importante è progettare l’integrazione fra digitale e presenza. Il processo più efficiente potrebbe essere una serie di attività online preparatorie e poi una full immersion residenziale che, a causa del distanziamento, può essere fatta a scaglioni. Oppure si potrebbe promuovere il corso in presenza, proseguire poi con una serie di attività online e di contenuti via webinar in giorni e orari definiti, e una sintesi finale ancora in presenza. Cruciale è l’attività in presenza all’inizio che serve a illustrare il reperimento del materiale online». C’è un’ulteriore questione da evidenziare. Durante il lockdown, sia a causa dello smart working sia per l’online learning, si è innalzata l’alfabetizzazione informatica delle persone e al contempo software come Zoom e Meetup hanno compiuto passi da gigante nell’offerta e nella semplificazione all’uso. «Purtroppo – osserva Sancassani – non sono stati compiuti altrettanti balzi in avanti nelle metodologie formative. Perché tanta didattica è stata fatta in streaming, o in modalità podcast o televisiva. Ovvero in forma passiva. È vero però che il digitale ha facilitato il reperimento di tanti esperti, i quali senza la necessità dello spostamento ma soltanto mettendosi davanti a uno schermo hanno più tempo a disposizione e, quindi, più disponibilità».
Lezioni in presenza, un valore aggiunto
La pedagogia insegna che la scuola di qualsiasi grado o genere è un luogo di com-presenza. Ma per questa “comunità” il distanziamento fisico non deve essere sinonimo di annullamento sociale. Piuttosto, di una “socialità controllata”. Dopotutto, i luoghi dell’educazione sono da sempre, luoghi d’incontro e di amicizie (spesso durature). Ovviamente, non sfugge a questa regola la formazione per i volontari che, con tutta probabilità, avrà davanti a sé parecchi mesi di non “normalità”. In quest’ottica va detto che i corsi della galassia non profit potrebbero persino essere un riferimento essenziale per ri-affermare una porzione di “normalità” della vita e della società. Considerato che, spiega Sancassani, «anche se si riuscisse a restituire una qualsivoglia forma di fruttuosa socialità nell’online, a patto che vi sia un valido progetto a monte, la socialità è sempre figlia della presenza. Un esempio? Quando si va fisicamente nella sede di un’associazione, ci sono una miriade di dettagli – da come sono organizzati gli spazi ai manifesti appesi, fino al look delle persone – che consentono di capire la dimensione valoriale e comportamentale di quell’ente non profit e di verificare se si è in sintonia con quelle persone e quell’ambiente».
Ma come rendere la presenza fisica significativa per un volontario anche sul piano della didattica? Risponde Sancassani: «Detto che la frequenza di persona porta con sé quell’apprendimento informale sul sistema valoriare e comportamentale di una OdV, rimane il fatto che, in una didattica mista, le lezioni in presenza non possono essere soltanto un monologo frontale dalla cattedra verso i partecipanti, un’attività che può essere svolta benissimo anche online. Affinché siano significative, le lezioni in presenza devono essere “progettate”: docenti e partecipanti occorre che, in classe, lavorino insieme, scambiandosi conoscenze, confrontandosi e dialogando. Ecco perché la parte in presenza richiede per le associazioni un investimento elevato nella fase progettuale dei corsi». Il fattore “presenza”, dunque, deve essere un valore aggiunto, un elemento in grado di fare la differenza rispetto al digitale nell’arco del percorso didattico. Per la responsabile del servizio METID, «il momento in presenza deve essere un’esperienza di apprendimento che coinvolga testa e cuore, una modalità super efficace. La presenza non può essere mai banale. E questo varrà anche quando saremo usciti dalla pandemia, poiché tutti saremo più consapevoli di ciò che si possa fare senza spostarsi». Per analogia, si può concludere che «come abbiamo imparato a fare la raccolta differenziata dei rifiuti, così dovremo imparare a fare gli spostamenti differenziati. Ma, considerato che questo passaggio non è né facile né rapido, è necessario cominciare a sperimentarlo fin da ora».
Disuguaglianze digitali e input per soluzioni possibili
La pandemia è stata un’esperienza fuori dall’ordinario e come tale ha avuto effetti travolgenti sulle nostre vite, sul lavoro, sull’istruzione. Il risultato? Webinar, smart working, didattica a distanza hanno contagiato le nostre giornate. Come conferma un dato: in quattro mesi il software Zoom è passato da 10 milioni di utenti nel mondo di fine 2019 a 300 milioni di fine aprile 2020. E indietro non si tornerà. Anzi, non si potrà che continuare su questa strada. Ma il Covid è tutt’altro che democratico. E il lockdown prima e l’incubo di una seconda ondata poi, hanno allargato la crepa del divario culturale e digitale, creando sacche sociali e geografiche di disuguaglianza a proposito di elearning. Con l’obiettivo di garantire un principio di pari opportunità a tutti, Sancassani lancia tre input: «Anzitutto c’è un problema di infrastrutture telematiche in Italia, con aree scoperte da internet veloce, sia anche in regioni sviluppate come la Lombardia, soprattutto nelle zone di montagna, sia più in generale al Sud e nelle isole. Ecco perché è necessario che, nella fase di organizzazione della formazione online, si verifichi che i partecipanti abbiano possibilità di connessione. Poi c’è il nodo delle dotazioni individuali in termini di apparecchi e connettibilità. Per il singolo senza possibilità economiche, si possono trovare modalità di sostegno che gli permettano di attrezzarsi tecnologicamente. Infine c’è la questione delle competenze, che però possono essere colmate con l’aiuto di amici, tutorial, libri. Ma qui sono fondamentali anche buona volontà e motivazione della persona».
Idee&consigli
GUIDA PRATICA PER PIANIFICARE LA FORMAZIONE A DISTANZA
PROGETTO FORMATIVO
La formazione a distanza, forse ancor di più di quella in presenza, necessita di un progetto formativo preciso, dettagliato, completo in cui siano resi noti il tema del corso, i docenti, le risorse online, la modalità per accedervi e, soprattutto, siano fissati gli obiettivi che si vogliono perseguire e la strada da percorrere per raggiungerli.
CRUCIALE UN CALENDARIO
È utile stabilire una calendarizzazione del corso di formazione: occorre comunicare ai partecipanti una sorta di tabella di marcia settimanale, affinché la “classe” proceda nel suo insieme di pari passo nell’itinerario di apprendimento fissato. In questo modo è più facile che le persone siano motivate a seguire con costanza e impegno il corso.
L’UNIVERISITÀ A CASA
I volontari e le organizzazioni possono beneficiare di lezioni universitarie gratis, in italiano, da seguire direttamente da casa propria grazie ai corsi degli atenei disponibili sulle piattaforme web: Polimi Open Knowledge, Federica Web Learning, Eduopen. In lingua inglese: i corsi dell’Ocse.
TELEDIDATTICA
Le piattaforme web YouTube, Vimeo, RaiPlay, Google Video offrono un ampio ventaglio di filmati o audio di corsi, lezioni, incontri, convegni dai quali associazioni e volontari possono “ritagliare” le parti o gli stralci che più interessano per i propri obiettivi di formazione.
BIBLIOTECHE DIGITALI
In Italia la più famosa è Mlol (Medialibraryonline), una piattaforma di prestito digitale con la più grande collezione di contenuti di tutte le biblioteche italiane presenti su Internet.
LA SFIDA
Diventare consapevoli del fatto di poter apprendere anche da soli, magari confrontandosi con gli altri, utilizzando le risorse libere e gratuite offerte dalla Rete.
Vdossier
articolo tratto da
“A scuola di formazione. Un mix di online e presenza. La didattica nella classe estesa fra tecnologia e disuguaglianze”
Vdossier numero 2 2020
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.