Altruismo lowcost. Né professionisti né eroi, ma solo volontari attenti a chi gli è accanto
«C’è da soddisfare – dice Raffaele Gnocchi – un bisogno di prossimità. Una vicinanza che non è tanto un dare, ma una disponibilità alla relazione»
di Elisabetta Bianchetti
Milano, maggio 2010 – Entra subito nel vivo: «Non abbiamo bisogno di volontari professionisti. Piuttosto di persone che siano capaci di stare accanto ad altre persone in un luogo. E in quale luogo? Un quartiere, un paese, una città, una porzione di territorio. Non importa il dove, ciò che conta è soddisfare un bisogno crescente di prossimità reale. Una vicinanza e un aiuto concreti che però non sono soltanto una concessione di beni; sono, soprattutto, una disponibilità alla relazione». Ruota attorno a questo cardine la riflessione sul ruolo del volontariato in un tempo di crisi del pedagogista e formatore di Caritas Ambrosiana, Raffaele Gnocchi. «Attualmente la funzione a cui sono chiamati i volontari – spiega – è diversificata a seconda di dove svolgono la loro esperienza, fermo restando il valore fondamentalmente culturale della loro attività». Per questo ritiene che «il volontariato non debba necessaria mente dotarsi di strumenti di analisi concettuale». È più importante che il volontario «capisca il momento storico, culturale e sociale nel quale vive e opera». Così come è fondamentale che «i volontari facciano bene il proprio lavoro, per quello che ognuno riesce ad esprimere. Quindi tenendo fede alle proprie caratteristiche, disponibilità e attenzioni».
Un’etica del fare che per Gnocchi si scontra inevitabilmente con due capisaldi della società odierna: la mania di perfezione e l’ansia da prestazione. «Nel mondo d’oggi – asserisce il pedagogista – guai a dimostrare i propri limiti. Tanto che quando ci si accorge di averne vanno subito rimossi. Perché i nostri deficit, le nostre manchevolezze, le nostre debolezze sono considerati un ostacolo, un impedimento alla realizzazione personale». Il modello sociale vincente è improntato alla produttività: «Dobbiamo essere sempre efficienti. Siamo quindi dentro, e non ce ne accorgiamo, a un modello e uno stile di vivere che non è poi così umano».
Efficienza e perfezione: un modello sostenibile?
Da qui però si apre una spinosa questione. «E se qualcuno non riuscisse a stare dentro a questo modello? Se qualcuno non rispondesse positivamente alle pressanti richieste che gli vengono fatte? Che succederebbe?», si chiede il pedagogista.
In questa prospettiva emerge che la crisi economica, con l’emorragia di posti di lavoro che ne è conseguita, con tanti single e famiglie ridotti sul lastrico, con l’allargamento del cerchio della povertà a nuovi soggetti, emerge il dato di fatto che c’è qualcuno che non ce la fa a rispettare quel paradigma di perfezione.
«Per cui, in questi ultimi tempi, abbiamo una schiera di persone che si accorgono di vivere in un contesto che ormai non gli appartiene più», precisa Gnocchi. Un malessere psicologico e sociale che conferma come sempre più persone non riescono a reggere a questa mania di perfezione ed efficienza e diventano invisibili. Perché non sono riconosciute come individui normali, non si sentono riconosciute nel loro bisogno, e tanto più si sentono staccate da un contesto che potrebbe dare loro risposte. «Non si sentono più appartenenti a un contesto cittadino, perdono ogni forma di relazione ». Il problema è potenzialmente più grave dato che il rischio di essere eclissati in questo cono d’ombra lo corriamo tutti, anche l’ipotetico volontario. E in questo chiaroscuro si annida una nuova forma di povertà che fa risuonare un allarme sociale davanti al quale le istituzioni non possono soprassedere. «Se guardiamo alle forme di urbanizzazione che si stanno realizzando da decenni, balza all’occhio che l’anonimato, la dimensione della non conoscenza fra persone, il disinteresse verso gli altri, sembra che siano diventati una prassi quotidiana, una prassi consolidata». Di fronte a questa indifferenza dilagante, Gnocchi disegna una nuova mappa dei bisogni che si snoda su due versanti: «Oltre alle povertà che scaturiscono dalla crisi economica e che pertanto si possono considerate delle forme di povertà inaspettate, si registra il fenomeno galoppante delle povertà di tipo relazionale. Allora la risposta non sta solo nel distribuire sussidi e sostegni. Risulta evidente che l’erogazione di contributi da soli non bastano a dare una risposta, occorre anche creare occasioni che permettano alle persone di riallacciate delle relazioni, dei legami sociali».
È vero che tali relazioni possono anche partire da un bisogno economico, ma è altrettanto vero che i sussidi da soli non riescono a cementarle. Per rinsaldare i legami sociali occorre illuminarli, è necessario farli emergere, aiutarli a sviluppare una capacità di richiesta, accompagnarli verso la luce. Di fronte a questo problema, «i servizi territoriali pubblici dovrebbero rispondere ai bisogni che emergono, ma purtroppo ciò non succede», ammette Gnocchi. «Alla domanda sul perché questo non accade – continua il pedagogista -, a me piace rispondere citando una frase del libro Dracula di Bram Stoker: “La morte corre veloce”. Mi piace questa affermazione perché analogicamente la stessa cosa la si può riscontrare rispetto alla povertà». «La povertà e le forme nella quale noi la percepiamo – argomenta – corrono così veloci che non facciamo in tempo a occuparci del problema dei nuovi poveri che già questi nuovi poveri hanno cambiato fisionomia e volto. Ecco perché, quello che in termini di flessibilità e di tempestività non è possibile richiedere al pubblico e ai servizi, dato che hanno risposte lente ai problemi, credo possa essere richiesto a un volontariato attento alle relazioni».
Alla fine conoscendo e scoprendo che la chiave di volta per uscire dalla situazione della povertà è «la strutturazione di relazioni significative, questo lo si può chiedere alle organizzazioni di volontariato ». Tenendo però presente che non servono strumenti particolari, ma la semplice «attenzione alla relazione in sé e a quello che ti sta accanto». Quindi se è vero che il volontariato è dentro a questo contesto, allora l’essere volontari è «un’arma culturale capace di mettere insieme degli estremi, cioè ha un effetto calamita che attrae i poli opposti: da una parte un individualismo molto spinto e dall’altra la ricerca di un bene comune». Per Gnocchi, «siamo di fronte ad una concezione della vita molto egoistica», ma non tanto nel senso che viene meno il gesto dell’elemosina, quanto nel fatto che c’è un vuoto di cultura, un vuoto del dono. E in quest’ottica il volontariato, anche a Milano e provincia, può giocare un ruolo cruciale, perché è la vera sfida da vincere per il futuro della nostra società.
Il volontariato “costruisce” persone responsabili
Addentrandosi nei dettagli il pedagogista milanese, prima di tutto afferma che «il dono in sé non è sparito». Poi, rimarca che «il dono è insito nelle persone», tanto che «è un’esigenza fare e farsi del bene». Certificata tale premessa, allora occorre far entrare in campo il volontariato «come strumento culturale»: «Soltanto il volontariato riesce a tamponare l’emorragia di senso che c’è nelle relazioni che sembrano votate a una rilettura meramente economica». Secondo Gnocchi, questa non è teoria è una pratica che «è possibile vivere e far vivere quando nell’accompagnamento formativo, oppure nelle esperienze, si riesce a far capire che dietro i gesti, le azioni, le attività, le iniziative, c’è sempre una relazione tra due o più persone.
Quando c’è l’incontro tra due o più persone, saltano gli schemi di appartenenza culturale, ideologica, religiosa, geografica, nazionale, perché la persona è persona ». E allora su questa riaffermazione del valore delle persone in relazione fra loro, si ha un’ulteriore chiave di volta per dire «al volontario che, per esempio, non solo sta meramente consegnando dei pasti, ma sta anche affermando che è possibile riconoscere nel beneficiario non soltanto una categoria – i nuovi poveri -, ma delle persone con le quali gli è chiesto di entrare in relazione. L’azione volontaria forma delle persone capaci di essere all’interno della quotidianità, di costruire un vicinato, di essere persone attente e responsabili. Queste sono le persone che fanno la differenza nella nostra società. E il bello è che alla fine ti scopri volontario e non a fare il volontario».
Stringendo la visuale su Milano e la sua provincia, Gnocchi conferma come «il volontariato oggi stia esprimendo il meglio di sé, in un contesto come quello del capoluogo lombardo, dove c’è un’attività lavorativa frenetica, un individualismo spinto, un egoismo evidente e crescente. Eppure ci sono schiere di persone che riconoscono nella loro disponibilità a essere volontari la chiave di volta per esistenze più significative e interessanti».
Studioso dei fenomeni e dei problemi delle gravi emarginazioni sociali, Gnocchi osserva che spesso «entro in contatto con tante persone disposte a fare volontariato, perché l’emarginazione è un’area di attività che catalizza molto l’interesse a soccorrere, ma devo dire anche l’interesse a capire cosa stia succedendo. Il desiderio di comprendere è forse mosso dalle domande che il dolore, la sofferenze dei meno fortunati, degli svantaggiati, delle fasce più deboli della popolazione sollevano. In questi anni ho incontrato tanti volontari che, oltre alla loro disponibilità, manifestavano una voglia di conoscere le cause, i motivi, le ragioni di quell’emarginazione». Non tutte le persone quindi rispondono con un semplice gesto di elemosina, tanti si pongono si interrogano e ci interrogano. «La formazione di ciascuno diventa l’occasione per fare una rilettura sull’opportunità di fare un’esperienza in una determinata area di bisogno, con determinati e urgenti problemi da risolvere, dotandosi anche di strumenti per comprendere ». Sugli scenari futuri del volontariato, Gnocchi è certo che il domani non sarà diverso dall’oggi. Con un’eccezione però: «Il passaggio che le organizzazioni dovrebbero fare è il seguente: aprirsi maggiormente ad accogliere persone con una disponibilità limitata di tempo da dedicare al servizio degli altri». In sintesi: «Un volontariato molto circoscritto». «Essere volontari oggi – conclude il pedagogista – è una missione e un compito alla portata di chiunque, è il naturale completamento dell’essere uomini e donne che abitano nella città di Milano e nel suo hinterland. Il volontariato è per tutti».