Csv tra riforma e futuro. Da sentinelle dei bisogni a protagonisti del welfare
di Elisabetta Bianchetti
Se la mission del volontariato è quella di costituire la forza trainante per la promozione della gratuità e dell’etica del bene comune, sia nella sfera politica che economica, allora è quanto mai necessario che i Centri di servizio abbiano la forza e il coraggio di fare un salto in avanti. A maggior ragione in un momento di forte cambiamento sancito dalla legge che riforma il Terzo settore.
Una trasformazione che porterà i Csv a diventare Agenzie di sviluppo locale: non solo fornitori di servizi, ma anche di “senso”, allo scopo di ripensare un nuovo modello di comunità. Si tratta di un compito arduo, difficile e impegnativo. Il volontariato è un’esperienza che permette ai cittadini di toccare con mano che, oltre al bene privato, esiste unbene generale che appartiene alla comunità. Quindi per il benessere collettivo il contribuito alla coesione sociale è scritto nel suo dna.
Su questo un ruolo chiave lo svolgono i Centri di servizio sia come singole strutture sia come sistema radicato sul territorio. E proprio nel tentativo di creare un confronto su questi temi, abbiamo chiamato attorno a un tavolo alcuni presidenti di Centri di servizio: Simone Bucchi delle Marche, Paola Capoleva del Cesv di Roma, Emanuela Carta di Modena, Silvio Magliano di Torino e Ivan Nissoli di Milano. Quella che segue è una riflessione su alcune questioni cruciali per il futuro prossimo dei Centri di servizio per il volontariato in attuazione delle modifiche previste dalla nuova legge.
Si parla di nuovo ruolo per i Centri di servizio, quello di Agenzia di sviluppo locale. E’ una rivoluzione possibile? E come cambierà l’attività dei Csv?
Bucchi: «Se penso alla storia del Csv qui nelle Marche, non parle-rei di una “rivoluzione” nel senso che da quando abbiamo cominciato “a fare” Csv, dopo una prima fase organizzativa di impostazione strutturale, è stato subito chiaro che il ruolo del Centro sul territorio era più quello di accompagnare le Odv in un processo di sviluppo locale, che non semplicemente erogare loro servizi. Nel tempo poi, le relazioni strette e le occasioni di collaborazione con gli altri enti del Terzo settore, con le istituzioni, con il mondo profit, hanno fatto evolvere e contribuito a definire l’identità del Csv delle Marche, proprio nella direzione di agenzia di sviluppo locale. Ritengo che, di fatto, la legge 106/2016 riconosca già questa esperienza di molti Csv italiani».
Capoleva: «I vent’anni di attività di molti Centri di servizio li pongo-no già da tempo in un ambito di promozione e sviluppo locale; infatti, vicino all’azione tecnica ed organizzativa si è andata costruendo una funzione culturale volta ad esempio a promuovere nelle Odv progettualità innovative, che tengano conto dei tessuti sociali e relazionali. Non è un caso se, molto spesso, i Centri di servizio riscuotono maggiore consenso proprio laddove si impegnano a migliorare la capacità delle associazioni nell’essere protagoniste di nuovi modelli di welfare più partecipati ed inclusivi e dove legami sociali ed inclusione attiva sono componenti fondamentali. Perciò, più che una rivoluzione, possiamo definire un’evoluzione necessaria dei Csv il divenire a pieno titolo uno degli agenti territoriali di sviluppo, in sinergia con il volontariato e tutte quelle agenzie che, per finalità e mission, si occupano proprio di questo ambito. Una particolare riflessione andrà poi fatta per quanto riguarda l’impegno, che anche la legge prevede, verso le giovani generazioni, valorizzando sempre più le competenze che possono formarsi e consolidarsi durante le esperienze vissute in ambito associativo. In questo senso è necessario sottolineare, inoltre, come aiutare ad accrescere senso di responsabilità, solidarietà e desiderio di partecipazione nei nuovi cittadini sia elemento imprescindibile per la tenuta delle comunità locali e dunque impegno indispensabile dei Csv».
Carta: «Relativamente alla Regione Emilia Romagna stiamo già parlando di realtà: il Csv di Modena come altri centri emiliani, infatti, da diversi anni lavora in una logica di progettualità condivisa con il territorio di appartenenza che ci ha permesso di valorizzare esperienze innovative (sui temi della povertà, della cittadinanza attiva, progetti con le scuole, housing sociale) in grado di rispondere a nuovi bisogni emergenti, grazie allo strumento, ormai terminato, della progettazione sociale che ha caratterizzato l’attività dei Csv regionali sino al 2015. Crediamo fortemente in questo tema e crediamo che la vera sfida, ora, stia nell’individuazione di una strategia capace di tenere insieme tutto questo, ovvero, nell’ottica della riforma, occorre capire come coniugare la gestione allargata dei servizi con la necessità di essere innovativi, di promuovere animazione territoriale e progetti per la comunità senza le risorse di prima».
Magliano: «Di fatto, i Centri di servizio svolgono un ruolo centrale nello sviluppo sociale: grazie al rapporto quotidiano con il volontariato, alla tipologia dei servizi erogati e alla capacità innata e strutturale di costruire reti, di sostenere e promuovere il coinvolgimento di soggetti istituzionali, i Csv riescono a essere catalizzatori di energie innovative e a costruire sistemi complessi in ambito sociale. Dal punto di vista della mission, e in parte anche della capacità operativa, il passo è breve. Non altrettanto dal punto di vista formale e istituzionale, soprattutto il cambio di ruolo può essere delicato nell’eventualità di un mutamento di relazioni con gli enti locali. Centrale è, inoltre, e non può essere altrimenti, il tema delle risorse, sia quelle derivanti dal Fondo speciale per il volontariato ex legge 266/1991, sia quelle, meno preventivabili, che derivino da altre attività, come la partecipazione a bandi, a progetti europei e anche da attività commerciale. Eppure senza risorse è difficile pensare a un incremento delle attività e un’estensione del ruolo dei Centri di servizio».
Nissoli: «Questo tema per noi a Milano è in continuità con le attività che abbiamo intrapreso in questi anni. Inoltre anche il percorso di riorganizzazione dei Csv lombardi va in questa direzione. Questo non cambia le nostre attività, ma lo stile con cui le facciamo. L’atteggiamento, quindi, non è più quello di una semplice attesa della domanda, ma di suscitarla per poi interpretarla e coordinare delle risposte diversificate. Dunque, da funzione di “distributore” di servizi a quello di agevolatore e catalizzatore. Ed è una modalità che dovrà cambiare anche in una logica più sistemica».
Una delle principali sfide che investe oggi il ruolo dei Csv è quella di accompagnare il volontariato dal ruolo di “ammortizzatore sociale” a quello di “soggetto di cambiamento e di sviluppo del territorio nel quale esso opera”: in concreto come i Centri di servizio e a cascata le Odv possono impegnarsi per una promozione e sviluppo del proprio territorio?
Bucchi: «Francamente, credo che le Odv continueranno ad avere un ruolo di ammortizzatore sociale anche in futuro, naturalmente non può e non deve essere solo questo, visto che sentiamo questa sfida. In prospettiva, ogni Odv dovrà concorrere allo sviluppo del proprio territorio e ogni singola azione, attività dovrà essere prima di tutto concertata con gli altri soggetti della rete, comprese le istituzioni. Come impegnarci tutti in questa direzione? Penso che una chiave dello sviluppo territoriale per il volontariato risieda nel lavoro con gli Ats (Ambiti territoriali sociali). Grazie alla legge 328/2000, che stimola i territori verso la programmazione e la partecipazione, i Csv possono accompagnare il volontariato, mediare, facilitare e promuovere il rapporto tra le Odv e gli Ats, così come le Odv possono dare il loro contributo e mettere a valore la propria esperienza».
Capoleva: «I Centri di servizio, dopo anni di lavoro, oggi hanno una sufficiente solidità organizzativa e conoscenza del territorio per poter essere una decisiva struttura di sostegno delle diverse forme di sussidiarietà espressa dalle associazioni. Ciò si esprime attraverso il supporto alle singole associazioni e alle reti associative, ma anche attraverso l’interlocuzione con gli enti che chiedono, nei Tavoli misti per la partecipazione delle Asl ma anche nei Piani di zona, una collaborazione matura con le Odv. In questo senso l’accompagnamento svolto dagli operatori delle Case del volontariato, presenti nelle diverse sedi di Roma e delle province, ha l’obiettivo da un lato di facilitare la conoscenza delle esigenze locali e dall’altro lato di migliorare le capacità progettuali e propositive delle associazioni. Le Case del volontariato rappresentano infatti, anche simbolicamente, luoghi di incontro, di confronto di scambio relazionale, dove è possibile sperimentare nuove collaborazioni, promuovere confronti formativi, sviluppare nuove idee e programmi. In questa logica i servizi logistici e consulenziali di base, componenti essenziali della attività dei Csv e punto iniziale del rapporto con le associazioni, devono essere considerati la base sulla quale innestare una tipologia di servizi più articolati e rispondenti anche ai bisogni delle associazioni. Tutto ciò spinge i Csv a supportare il volontariato nel suo diritto-dovere di porsi come interlocutore delle istituzioni pubbliche e dei decisori politici, quale “testimone privilegiato” delle richieste sociali ma anche quale attore del welfare di comunità».
Carta: «Lavorando sulla cultura del volontariato, sulla mentalità e l’approccio al volontariato che non possono più essere gli stessi. La crisi economica e i cambiamenti sociali ad essa connessi, la disponibilità delle persone a dedicarsi al volontariato, il maggiore individualismo affermatosi, i tempi di vita e di lavoro che si sono modificati impongono un cambiamento di prospettiva in grado di adeguarsi a questi tempi che per i Csv deve concretizzarsi in una maggiore capacità di intercettare le nuove forme di volontariato che si stanno delineando e per le Odv in una maggiore apertura ai nuovi volontari. Fondamentale è inoltre lavorare per un ricambio e una circolarità dei ruoli nelle varie realtà di volontariato e, per quanto riguarda i Csv, per una valorizzazione delle autonomie delle progettualità delle associazioni con cui collaborano, oltre che ad un percorso di aggiornamento e sviluppo di competenze di governance e degli operatori stessi dei Csv».
Magliano: «Il volontariato già di per sé, in quasi tutti gli ambiti operativi, è sentinella dei bisogni e realizzatore di risposte, nel senso che i volontari, vivendo quotidianamente a stretto contatto con le persone, riescono a identificarne prima e meglio le necessità e a provare ad ipotizzare risposte possibili per soddisfare tali necessità. E questo, tanto nel particolare, quanto anche in ambiti più generali, come ad esempio la tutela dei diritti con attività di orientamento verso fasce deboli della popolazione, la presenza nei piani di zona e nei comitati di indirizzo delle Asl, la divulgazione del patrimonio culturale e artistico locale, la protezione civile che significa impegno civico e messa a disposizione di competenze. Volontariato non è solo, quindi, un “fare” spicciolo e minuzioso, ma anche sperimentazione di soluzioni a carattere più generale. Inoltre, il Volontariato è la declinazione fondante del concetto di cittadinanza attiva ed opera per lo sviluppo locale, inserendosi, in alcuni casi come modello di eccellenza, nelle reti istituzionali presenti sul territorio. Bisognerà rafforzare questo ruolo puntando anche al ricambio generazionale e al coinvolgimento dei giovani che sono interessati – dati alla mano – a esperienze di gratuità a servizio del prossimo, ma spesso non riconoscono nel volontariato organizzato il possibile catalizzatore di questo interesse. Per rafforzare questo ruolo i servizi dei Csv dovrebbero potenziare la propria azione lungo alcuni assi strategici. La formazione volta alla qualificazione dei responsabili di Odv, per consentire loro di essere in grado di affrontare cambiamenti e sfide e, in alcuni casi, l’integrazione in politiche di welfare e di sviluppo locale; l’orientamento volto all’innovazione nel campo della comunicazione, della ricerca e della gestione dei volontari; il coinvolgimento del mondo universitario e delle imprese (un buon esempio è il Comitato per l’imprenditorialità sociale istituito presso la Camera di commercio di Torino) per portare idee e competenze ed eventualmente risorse; il consolidamento della dimensione europea dei Csv per confrontare, importare ed esportare esperienze e per attrarre risorse ed in ultimo ma non meno importante proporsi come partner, anche con il ruolo di capofila, in progetti di rete sul territorio».
Nissoli: «Il nostro compito è di promuovere prima di tutto una crescita culturale. In un mondo che è diventato complesso occorrono risposte complesse. Tenendo conto che i Csv esistono grazie al loro radicamento territoriale è questa è la loro forza. Quindi la capacità di leggere i bisogni del territorio va coniugata in una logica di sistema che abbia la capacità di trovare risposte in buone prassi di altri luoghi. Le soluzioni vanno condivise e ricercate laddove sono state efficaci. I Csv devono essere capaci di leggere e interpretare la complessità e di aiutare e stimolare il volontariato a leggerla, mettersi accanto e accompagnarlo in questo lavoro di lettura. E’ chiaro che in questa stagione di profonda trasformazione dei modelli del Terzo settore bisogna trovare delle risposte comuni».
I Csv dovranno, quindi, avere un ruolo sempre più determinante in termini di creazione di nuove reti sia fra gli enti del Terzo settore, sia fra quest’ultimi e le istituzioni locali e nazionali?
Bucchi: «Direi di sì, ma molto dipende anche dalla capacità di “apertura” delle istituzioni, dalla credibilità del sistema volontariato territoriale, e, in definitiva, dalla volontà delle persone di perseguire il bene comune. Già oggi esistono esperienze di enti locali, che hanno adottato, ad esempio, lo strumento dei bilanci partecipati, e sono disponibili alla co-progettazione o alla progettazione partecipata di alcuni servizi. In questo senso, anche la legge di riforma del Terzo settore apre alcuni spazi per i destinatari finali dei servizi, considerandoli non solo come portatori di bisogni. Nella nostra esperienza regionale è rilevante l’intesa che nel tempo si è venuta a creare tra Csv, Forum del Terzo settore e Regione Marche e che attualmente ci vede impegnati in un tavolo di concertazione per definire le procedure di recepimento della riforma».
Capoleva: «Lo sviluppo di reti tematiche rappresenta una storia consolidata per i Centri di servizio. A puro elemento esemplificativo basta pensare alla nostra rete “Scuole migranti” che raccoglie oltre cento realtà diverse (dalle Odv ai Centri sociali, passando per le parrocchie e i centri culturali), che organizzano corsi gratuiti di italiano per migliaia di stranieri ogni anno. È opportuno segnalare però anche come nel tempo si siano consolidate altre reti che si occupano di problemi di salute, sia fisica che psichica, oppure le reti che nascono per la difesa dell’ambiente. La volontà di aiutare le associazioni a “fare sistema” è da anni un obiettivo perseguito da Cesv, mentre è di questi ultimi tempi l’impulso impresso a forme più complesse di partnership con altri interlocutori istituzionali: penso a tutte le diverse forme di collaborazione che si sono determinate a partire dall’esperienza di “Scuola e volontariato”, in cui le Odv incontrano gli studenti durante l’anno scolastico e dove accanto alle istituzioni scolastiche si sono via via collegati enti locali, Asl, forze dell’ordine. Quindi, anche in questo caso, si tratta di esperienze già consolidate e non a caso riconosciute dalla legge sul Terzo settore, che demanda ai Centri la connessione fra tutti i volontari attivi in queste organizzazioni».
Carta: «Sì, sviluppando sempre più il ruolo di facilitatori che ci appartiene, senza sostituirci in alcun modo alle Odv, ma lavorando per favorire la loro autonomia e collaborazione. Sul territorio modenese, da sempre, le reti sono molto condivise con il terzo settore e le istituzioni: il Csv di Modena ribadisce il suo ruolo di animatore territoriale, volto alla valorizzazione delle diverse esperienze che si vanno ad affermare sul territorio, in un’ottica di collaborazione con le diverse realtà rappresentative del terzo settore».
Magliano: «I Csv sono già ora soggetti di rete, con l’allargamento in alcuni casi a soggetti che non sono Odv, che contemplano nella loro base associativa realtà piccole e mirate a bisogni particolari e grandi associazioni soprattutto nelle aree metropolitane. Nei Csv il volontariato mantiene comunque il controllo e la gestione contemperando capacità di essere “antenna” dell’evoluzione e dell’emergere dei bisogni sociali con alcune competenze tecniche ed operative di alto livello. Si tratta di fare un salto di qualità che contemperi il volontariato con le professionalità e le esperienze che altri soggetti del Terzo settore possono portare. Investire i Csv di un ruolo più ampio nella creazione di rapporti e reti potrebbe implicare un riconoscimento di compiti di rappresentanza del Volontariato nei confronti delle Istituzioni che non sono mai stati, a meno di rare e locali eccezioni, nelle prerogative dei Centri, né previsti da alcuna normativa. Da una parte, una simile evoluzione potrebbe anche essere una sfida stimolante e soprattutto una ratifica di situazioni di fatto già esistenti, soprattutto ove i tradizionali organismi di rappresentanza del Terzo settore non siano presenti o radicati, dall’altra bisogna comprendere se i Csv siano nelle condizioni di assumere un ruolo così delicato e se riconoscerlo sia nelle intenzioni del legislatore».
Nissoli: «Oggi per dare delle risposte significa mettersi insieme, altrimenti è solo un cerotto, anche perché occorre una vista lunga. Un nostro compito è anche quello di essere facilitatori di relazioni e costruttori di ponti verso mondi diversi. Tanto più si è autorevoli quanto più si avranno delle carte importanti da mettere sul tavolo. Non tanto per avere un ritorno ma nello spirito della costruzioni di reti sul territorio. Occorre sviluppare delle logiche imprenditive, di proattività. Occorre anche scardinare la logica conservatrice delle posizioni. E’ evidente che l’incertezza genera paura. Soprattutto paura di affrontare nuove strade. Spesso affrontiamo l’innovazione con le lenti del presente, bisogna invece trovare delle soluzioni diverse a prescindere da quello che si fa oggi o che si è fatto ieri».
Se i Csv dovranno svolgere una funzione di collante e connettere le Odv, gli altri enti del Terzo settore e le istituzioni, come dovranno collaborare al fine di ottimizzare le risorse e impiegare al meglio le competenze e le professionalità di tutti gli attori coinvolti?
Bucchi: « A mio avviso, i Csv dovranno avere essenzialmente tre caratteristiche, per una migliore connessione delle Odv: tecnologia, intesa come accessibilità, velocità e trasparenza dei servizi; una vision chiaramente determinata; e infine competenza degli operatori, intesa come correttezza, aggiornamento e capacità di approfondimento. Gli enti del Terzo settore dovranno adattarsi al cambiamento occorso nelle modalità di finanziamento del welfare, un nuovo modello (attraverso piano operativo nazionali e regionale, bandi non competitivi rivolti solo agli Ats) che porta con sé un cambiamento anche nel modello di risposta ai bisogni. Dal canto loro, le istituzioni dovranno riconoscere gli enti del Terzo settore come sussidiari, legittimando le loro competenze e affidando loro “pezzi” di welfare».
Capoleva: «Come già detto, l’abitudine dei Centri a costruire reti locali, ad esserne uno snodo e spesso assumere una funzioni di manutentori, agevola molto l’assunzione di un ruolo di interfaccia attiva con tutti gli attori territoriali protagonisti dei processi di sviluppo. Il primo passaggio da fare è quello di essere pienamente coscienti di esercitare questa funzione ed interpretarla in un’ottica olistica, cioè evitando di posizionarsi troppo vicino ad uno degli attori coinvolti, pur partendo sempre dal punto di vista del volontariato. La fase successiva dovrà riguardare l’aggiornamento delle competenze, anche in un’ottica europea, visto che l’Unione ha sviluppato e sta proponendo un nuovo approccio sulle partnership fra enti pubblici e realtà territoriali di tutti i tipi. Infine, si dovrà definire un nuovo skill dell’operatore dei Centri, in cui la capacità di interloquire positivamente con le diversi componenti locali, a partire dalle istituzioni, e soprattutto la propensione ad essere un ponte fra queste ed il volontariato, sia una delle abilità maggiormente sviluppate e promosse. Anche in questo caso Cesv si sta attrezzando con specifici percorsi di formazione, che favoriscono l’acquisizione di competenze tecniche e di capacità di animazione e coordinamento necessarie alla gestione di gruppi di lavoro, spesso veri e propri laboratori come ad esempio nell’esperienza del progetto Teu (Territorio Europa)».
Carta: «E’ un tema aperto, che dipenderà anche dalla riforma. Sicuramente questa collaborazione dovrà prevedere la condivisione di competenze e professionalità, valorizzando tutte le realtà associative e agendo da collante nel rispetto degli equilibri territoriali politici e di rappresentanza esistenti (esempio di questa collaborazione recente è sul bando delle povertà educative di Impresa sociale con i bambini)».
Magliano: «Gli altri soggetti del Terzo settore e le istituzioni devono considerare il volontariato non solo come erogatore di comodi servizi a costi contenuti ed eventualmente come segnalatore di bisogni e soluzioni. E’ necessario che ne vengano riconosciuti ruolo e peculiarità, rispettandone prerogative, modalità strutturali (anche nelle situazioni più pratiche come la convocazione di riunioni e incontri nei momenti in cui molti Volontari sono impegnati con le proprie attività lavorative o famigliari) e funzioni. E’ auspicabile, inoltre, che chi chiede maggiore impegno e un ruolo più approfondito ai Centri di servizio non può esimersi dal mettere a disposizione le risorse adeguate per farvi fronte efficacemente».
Nissoli: «Sono convinto che per prima cosa occorra fare un brainstorming. Partire da una pagina bianca su cui scrivere. Non è più possibile utilizzare un contenitore vecchio perché è ovvio che tutto quello che voglio metterci dentro non ci sta. Se al ruolo dei Csv continuiamo ad aggiungere competenze e mansioni, presto la misura sarà piena, se non traboccante. Invece dobbiamo capire quali sono i servizi essenziali e, fatto questo passo, cominciano a ragionare più in una logica territoriale ma di sistema. Tradotto: non è detto che tutti i Centri facciano tutto; può essere che alcuni facciano una cosa e altri un’altra. In questo modo, il sistema può dare risposte più ampie e complesse. E questa potrebbe anche essere una soluzione all’annoso problema delle risorse. Un quesito però sorge a questo proposito: tutto ciò che oggi i Centri fanno ha ancora senso in questo momento? E’ una metamorfosi che genera una proattività, che aiuta ad uscire dalla logica della routine quotidiana. Perché in agguato c’è un rischio di appiattimento e occorre cogliere quello che anche la nuova legge sul Terzo settore chiede ai Csv. Questo vuol dire rimettersi in moto, ri-interrogarsi e comprendere, cercare nuove alleanze e nuovi soggetti, incrociare mondi nuovi che aprono nuove opportunità e partnership. È una fase sperimentale, perché nessuno ha la ricetta pronta. Innovare, in sintesi, significa rompere gli schemi, pur rimanendo nel solco del mandato istituzionale. Un altro esempio, è l’esperienza di Expo, dove la rete dei Csv ha partecipato nel solco del suo mandato di formazione promozione e orientamento del volontariato. E quella non è stata un’attività – come spesso appare nei nostri bilanci – “extra 266”, perché non era un’attività al di fuori della legge. Per concludere, i Csv hanno l’urgenza di immaginarsi nuove capacità e metterle in moto. L’innovazione va in questa direzione».
Quale ruolo può giocare Csvnet in tutto questo?
Bucchi: «Per avere un ruolo, CSVnet dovrebbe essere connettore di esperienze, luogo di condivisione di buone prassi, agenzia formativa anche per gli operatori dei nostri Csv, fonte di innovazione, in altre parole, anche CSVnet dovrà essere a sua volta, un agente di sviluppo del sistema Csv italiano».
Capoleva: «Il livello nazionale è fondamentale in questo processo, sia per definire e garantire standard omogenei fra tutti i Centri; sia per confrontare le esperienze e far emergere una vera e propria “cultura dello sviluppo locale”, che rappresenti un modello di riferimento per le interlocuzioni con le diverse realtà territoriali e, nel contempo, nazionali ed europee. Infatti, non si può pensare di sostenere lo sviluppo locale al di fuori di precise politiche italiane ed Ue, che possano rappresentare il volano su cui costruire o rafforzare i percorsi territoriali; nel corso degli anni, non a caso, l’affermazione e lo sviluppo di importanti fenomeni di protagonismo locale sono stati suscitati e/ moltiplicati da specifiche leggi nazionali e/o direttive europee, ad iniziare proprio dall’esperienza dei Csv».
Carta: «Non può mancare l’attenzione e la valorizzazione del territorio, con il quale favorire un collegamento sempre più stretto in un’ottica di condivisione di opportunità di carattere nazionale. Di rilevanza strategica sarà anche continuare a presidiare, come CSVnet, i rapporti con le istituzioni e i vari corpi sociali nazionali, ad es. sui temi del welfare e della cittadinanza attiva».
Magliano: «Il ruolo di CSVnet è molteplice e fondamentale, soprattutto nella qualificazione dei quadri e degli operatori dei Centri di servizio, nella condivisione di esperienze e buone pratiche, nel confronto e coordinamento delle attività, potenziando il ruolo di coordinamenti regionali, in alcuni casi già ora molto attivi. Qualsiasi ulteriore incremento delle prerogative, del ruolo e delle attività di CSVnet non può prescindere, comunque, dal consenso e dall’esigenza condivisa dei Centri di servizio di un maggiore coordinamento».
Nissoli: «Il primo compito del coordinamento è quello di aiutare i Centri a ragionare in una logica di sistema e creare le condizioni affinché si riconoscano all’interno di esso. Il secondo è quello di mettere a disposizione dei Centri le funzioni del sistema: circolazione delle esperienze come prassi e e un ruolo di stimolo e di facilitatore culturale. Non a caso, il progetto Erasmus CSVnet va in questa direzione. Poi c’è l’importante ruolo di soggetto politico istituzionale riconosciuto, cioè la capacità di tessere rapporti per enti della pubblica amministrazione. Penso, per esempio, all’avvio di un protocollo con il Miur sul tema dell’alternanza scuola lavoro o scuola volontariato. C’è inoltre da sottolineare che la legge 266 non ha mai dato un modello di funzionamento omogeneo per i Csv, quindi in questi venti anni ci sono state esperienze diverse. Oggi, senza per questo omologare i modelli nel rispetto delle identità territoriali, occorre una messa in comune della riorganizzazione del sistema, lasciandosi alle spalle il passato. Occorre un ripensamento condiviso tra Csv con un nuovo sguardo rivolto al futuro, pur nel rispetto di tutto quanto è stato fatto in questi ultimi vent’anni. Non serve una mera applicazione di esperienze fatte in alcuni Centri, proprio perché i territori sono diversi, è necessario invece un confronto tra Csv per ridiscutere e rivedere la propria programmazione in un quadro organico. E questo è possibile solo se si riconosce un ruolo e una struttura a CSVnet oppure se CSVnet delega o riconosce alcune funzioni ad alcuni CSV che lo fanno per conto del sistema. Per non cadere anche noi negli stessi difetti che vediamo nel volontariato, cioè quello di essere un mondo troppo frammentato e diviso».
(Tratto da numero 1 di Vdossier anno 2017)