Il fato, la memoria e il futuro. La coesione sociale reagisce al destino
Dal disastro aereo dell’Istituto Salvemini, l’esperienza che dimostra la forza generatrice della cultura della vittima
Tratto da VDossier
Unica e diversa dalle altre finestre, l’enorme vetrata dai contorni irregolari e spigolosi colpisce e impressiona chiunque arrivi oggi alla Casa della Solidarietà “A. Dubček ” di Casalecchio di Reno, piccolo comune del bolognese. È la sagoma della ferita più profonda della comunità, lo squarcio prodotto dall’aereo militare italiano in avaria che, abbandonato dal pilota, alle 10.33 del 6 dicembre 1990 si è schiantato lì, dove all’epoca si trovava la 2^A della succursale dell’ITCS “G. Salvemini”. Undici ragazze e un ragazzo di 15 anni che stavano seguendo la lezione di tedesco persero la vita, oltre 80 furono i feriti, molti di loro riportano danni permanenti.
La cronaca è nota, dalla tragedia al rifiuto dello Stato di costituirsi parte civile in un processo dove la scuola pubblica era contro l’apparato militare, fino alla sentenza definitiva che non ha trovato responsabili se non il fato. Ciò che manca a questo racconto è la parte più straordinaria della storia: pagine scritte dai genitori delle vittime, gli studenti del Salvemini, gli insegnanti e tutte le persone della comunità che si è stretta in un grande abbraccio per superare insieme un evento doloroso di tale portata
“Ci siamo resi conto che avevamo affrontato ogni cosa positivamente, insieme, con una sorta d’istinto di sopravvivenza dell’intera collettività ferita che si è stretta attorno a questa tragedia e, magari senza rendersene conto, ha trovato dentro di sé la forza di reagire e uscire dal dramma. Per riuscire a fare questo – racconta Gianni Devani, allora Vice preside del Salvemini – devi essere in grado di attraversare il negativo e trasformarlo in qualcosa di propositivo. Il faro che ci ha guidato è stato il mantenimento e la difesa della coesione sociale della collettività, perché se ti lasci prendere dal rancore, dalla rabbia, dal vittimismo, non ne esci.”
[…] Nonostante la chiusura del processo e l’iter per ottenere i risarcimenti abbiano risuonato come uno schiaffo nei confronti dei protagonisti della tragedia, la capacità di non lasciarsi travolgere dai sentimenti più negativi insieme alla tenacia nel guardare avanti hanno fatto sì che da quel dialogo emergesse una ricomposizione, sia concreta sia metaforica.
Nel 2001, a undici anni dalla tragedia, l’edificio di proprietà comunale dove si trovava il Salvemini venne ristrutturato e diventò Casa della Solidarietà, dimora delle 25 associazioni del territorio e della Protezione civile.
Lo squarcio sulla parete dell’edificio che ha fatto da ingresso a questa storia è ora una vetrata dove piccoli pannelli rosso giallo e arancio ricordano il muro che crolla, mentre l’immagine del sole si leva nella parete opposta interna dell’aula. … vita e speranza che collega l’Aula della Memoria con il mondo esterno, e verso il quale sembrano volare i 12 gabbiani sospesi nella stanza. Sono le anime di Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen, Alessandra.
[…] Ormai chiuse le vicende più strettamente legate alla tragedia, l’Associazione Vittime del Salvemini – 6 dicembre 1990 nell’ottobre 2004 si chiede se e come proseguire il proprio impegno sociale e trova come evoluzione naturale la scelta di mettere al servizio della comunità l’esperienza accumulata per affrontarne le conseguenze della strage. […] nasce in quell’autunno il progetto per l’apertura del Centro per le vittime di reato e calamità […] il primo sportello di ascolto e di aiuto in Italia completamente gestito dal volontariato e rivolto a chiunque sia vittima di un evento.
Parallelamente al sostegno diretto, il Centro e ancor prima l’Associazione, portano avanti un’attività di ricerca e sensibilizzazione per far sì che si diffonda la cultura della vittima (profondamente diversa dal concetto di vittimismo). […] Chiunque si trovi nella condizione di vittima – a causa di una violenza subita, di un terremoto, un’alluvione, una crisi economica, la perdita del lavoro, e così via – si trova infatti a dover affrontare molteplici emergenze che richiedono lucidità, competenze specifiche, disponibilità di denaro per fronteggiare spese burocratiche, legali e d’altro genere su cui spesso non è possibile contare.
Dalla sua apertura ad oggi, il Centro offre il suo servizio a una popolazione che varia tra le 300 e le oltre 500 persone l’anno, affrontando con loro disagi di vario genere e implementando progetti concreti in collaborazione con altri soggetti istituzionali, non profit e profit del territorio.
[…] Questo ci lascia la storia di come una comunità ha scelto di ricordare, amare, continuare a progettare la vita per tutti, con un’attenzione speciale alle persone più fragili per farle rinascere.
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