Il senso perduto. L’emorragia di altruismo si cura passando dal fare alla coltura del pensiero
Emilio Lunghi, presidente di Auser Milano, lancia l’allarme: sono in aumento le richieste di aiuto, ma i volontari sono costretti a ridurre il loro impegno per mancanza di tempo
di Elisabetta Bianchetti
Milano, maggio 2010 – «I bisogni delle famiglie aumentano, ma i servizi pubblici subiscono continue sforbiciate e questo provoca un’impennata delle richieste di aiuto al mondo del volontariato». A fare una radiografia della crisi e delle sue mille code è Emilio Lunghi, presidente dell’Auser provinciale di Milano ed ex vicepresidente di Ciessevi, la galassia di riferimento per cinquantacinque associazioni che operano sul territorio. Le risorse scarseggiano e, come le famiglie tirano la cinghia, anche il volontariato arranca sotto i colpi della recessione. A preoccupare, però, non è solo l’aspetto economico. È anche l’altro lato della medaglia, quello che porta con sé imponenti ricadute sociali: «Sempre più volontari – è l’allarme di Lunghi – sono costretti a ridurre il proprio impegno verso gli altri per dedicarsi di più alla propria famiglia. Anche se la voglia di aiutare c’è ancora, la mancanza di tempo e le ristrettezze economiche spingono i volontari a prendersi una pausa». Figli, genitori, lavoro tornano, dunque, a essere le priorità, anche per chi ha fatto della propria vita un emblema del servizio ai più bisognosi.
Di fronte a questa “emorragia di altruismo” il rischio di una crisi valoriale è in agguato. «In questo periodo – ne è convinto il presidente dell’Auser milanese – i disvalori sono aumentati e il volontariato, purtroppo, non è stato capace di arginarli. La rete delle associazioni non profit, insomma, non è riuscita a fare diventare più pregnante la cultura della solidarietà e dell’aiuto reciproco». E qui, l’autocritica è d’obbligo, secondo Lunghi, sempre più convinto che la grande sfida del volontariato sia quella di andare oltre il semplice concetto del fare, del mettersi a disposizione degli altri. «Incontrando a più riprese responsabili e volontari delle associazioni affiliate ad Auser – spiega – mi sono reso conto che si tende sempre a privilegiare il fare, trascurando però la consapevolezza del perché si faccia, ovvero del fine ultimo del volontariato: costruire una catena solidale che abbia nel volontario e in chi riceve l’aiuto i due anelli imprescindibili».
In questa catena, però, non deve mancare un terzo anello, quello delle istituzioni, che è fondamentale per recepire e soddisfare quei bisogni di cui il volontariato, da solo, non può farsi carico. «Il volontariato ha senso se favorisce la socializzazione delle persone, oltre ad aiutare chi è in difficoltà. Non può e non deve sostituirsi all’istituzione, erogando un servizio. Dobbiamo fare nostri questi principi – sostiene Lunghi -, altrimenti l’azione del volontario si riduce a una prassi, a un’esperienza che si ripete quasi meccanicamente ma che di fatto porta a perdere di vista il senso stesso del donarsi agli altri». E se si perde la bussola il rischio in cui si incappa è la “fuga” del volontario, fenomeno che, complice la crisi, si sta ampliando. «Non dimentichiamo che aiutare chi è in difficoltà è anche una terapia per il volontario stesso», evidenzia il presidente di Auser provinciale di Milano. È proprio questo lo slogan forte che bisognerebbe trasmettere ai giovani per coinvolgerli nei progetti del Terzo settore e dell’universo non profit.
E per appassionarli, asserisce ancora Lunghi, bisogna render-li protagonisti. «Il volontariato deve sempre più mettere sul piatto un ventaglio di proposte interessanti, con associazioni dotate di una struttura efficiente e qualificata, capace di leggere gli interessi, i desideri e le vocazioni delle nuove leve di modo che tale che non restino soggetti passivi. Ma siano una risorsa preziosa e utile per soddisfare i bisogni che emergono dal tessuto sociale».
Non ci sono solo i giovani, però, all’orizzonte della nuova frontiera del volontariato. La sfida, in futuro, sarà anche quella di razionalizzare sempre più una galassia di realtà non profit che proliferano a dismisura e che rischiano di far collassare il sistema stesso che sta alla base dell’impegno gratuito. «Sono molto preoccupato – mette in allarme Lunghi – dalla crescita esponenziale del numero di organizzazioni che si sta verificando da alcuni anni a questa parte». Il sovradimensionamento del numero di organizzazioni, secondo l’ex vicepresidente di Ciessevi, conduce inevitabilmente «ad uno spreco di energie e di risorse. Perché, se tante sono le realtà e sempre meno le risorse a loro disposizione, la torta dei finanziamenti dovrà essere tagliata in piccole fette». Risultato? «Gestire un’associazione che si occupa di volontariato diventerà ancor più un percorso a ostacoli fra tagli di spese e acrobazie per far quadrare i bilanci. E a rimetterci – ammette Lunghi – sarà proprio il volontario, la cui disponibilità rischia di venir meno se lo si costringe a diventare una sorta di “operaio” del sociale».