Impatto sociale: una road map in cinque tappe per l’autovalutazione
Come attrezzarsi per la misurazione? Scegliendo idonei strumenti di ricerca sociale e seguendo quattro passi: analisi, riflessione, sperimentazione e da ultimo condivisioni
di Marco Accorinti e Katia Marchesano*
È noto che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (settembre 2019) ha emanato le “Linee guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo settore”. Come chiarito dal Decreto, «la valutazione dell’impatto sociale degli enti di Terzo settore ha per oggetto gli effetti conseguiti dalle attività di interesse generale da essi svolte».
Non esiste, tuttavia, un modus operandi univoco per la misurazione di tali effetti, ma, al contrario, la norma riconosce l’esistenza (nonché la facoltà di scelta per ciascun ente) di vari approcci per misurare l’impatto sociale, che potrebbero e/o dovrebbero variare in base al tipo di attività e/o progetto svolto da ciascun ente del Terzo settore.
Per tanto, come deve attrezzarsi un’associazione al fine di affrontare adeguatamente la valutazione di impatto? La riuscita di tale “sfida” è strettamente connessa alla formazione dei dirigenti, oppure alla definizione di indicatori adeguati per la valutazione? In questo ultimo caso, come individuare gli indicatori? In questo articolo proviamo a dare alcune indicazioni generali e alcune informazioni derivanti da una recente esperienza di ricerca valutativa.
Perché un ente deve valutare il suo impatto
Seguendo le indicazioni delle Linee guida, la valutazione di impatto applicata agli enti del Terzo settore è da intendersi quale strumento per rendere conto agli stakeholders rilevanti (interni ed esterni) l’efficacia delle attività poste in essere dall’ente nella creazione di valore aggiunto sociale, cambiamenti sociali e sostenibilità sociale delle stesse attività. In altre parole, è una forma di riconoscimento empirico, di tipo causale, di creazione di valore sociale derivante dalle attività. Lo scopo di tali informazioni è quello di offrire agli stakeholders un’idea complessiva delle strategie d’intervento adottate dall’ente e dei bisogni delle comunità locali che le hanno motivate, delle attività realizzate e dei risultati ottenuti, soprattutto in termini di stima degli effetti prodotti da tali attività.
Il riconoscimento della diversità di modus operandi per la valutazione trova una probabile (ma non unica) giustificazione nel fatto che una data attività posta in essere dall’ente potrebbe generare più di un effetto; quest’ultimo potrebbe assumere una diversa rilevanza a seconda del contesto esterno in cui l’ente opera e richiedere strumenti di misurazione diversi. A questa giustificazione si aggiungono quelle legate alla dimensione dell’organizzazione o al valore economico dell’intervento posto in essere dall’ente.
Uno dei nodi principali ancora da sciogliere è, tuttavia, legato all’analisi dei processi-effetti che l’attività dell’ente è in grado di avviare sul contesto esterno ovvero all’individuazione degli outcomes sociali. I processi identificano le modalità di azione delle attività che consentono di raggiungere un determinato risultato. In particolare, tali processi corrispondono alla catena degli eventi e alle relative cause in grado di trasformare una determinata realtà nella direzione desiderata. Questa fase coincide con l’analisi dei processi-effetti teorici che l’attività dell’ente è potenzialmente in grado di generare, permettendo, così, di individuare le variabili di outcome di interesse su cui, poi, operare la valutazione, ma solo dopo una opportuna pianificazione di raccolta delle informazioni necessarie. Un passo importante per specificare i quesiti valutativi è quello di definire la teoria del cambiamento sottesa all’attività dell’ente, ovvero descrivere puntualmente il come (inputs utilizzati) e il perché (individuazione dei bisogni delle persone e della comunità) esso intende produrre il cambiamento sociale desiderato.
Una volta individuati i potenziali processi e le variabili di outcome è necessario procedere a un qualche tipo di misurazione (qualitativa e quantitativa) che possa consentire di stabilire il nesso di causalità esistente tra la variabile output (attività dell’ente) e le variabili di outcome sociale e, soprattutto, la magnitudo di tale effetto e la sua persistenza nel tempo.
Una delle maggiori difficoltà è connessa alla circostanza che molti altri fattori, indipendenti dalle attività poste in essere dall’ente, possono influenzare più o meno direttamente le condizioni e/o i comportamenti su cui le attività dell’ente intendono agire. Senza la necessaria accortezza nell’interpretazione delle informazioni a disposizione, si rischia di sovrastimare, o viceversa di sottostimare, il contributo dato dalle attività.
Poiché il Codice del Terzo settore (articolo 5 del Dlgs. 117/2017) fornisce un elenco accurato delle attività di interesse generale, potrebbe essere auspicabile per il futuro aggiungere alle Linee guida un elenco, all’interno del quale, per ciascuna attività, si possano descrivere e individuare potenziali variabili di outcome sociale a esse associate. Questo permetterebbe di avere delle indicazioni ulteriori, che scongiurerebbero la possibilità di soffermarsi su variabili sociali teoriche errate ovvero di avere indici e/o indicatori non coerenti con le attività oggetto della valutazione. Una simile previsione potrebbe, in qualche modo, favorire proprio il raggiungimento delle finalità delle Linee guida, che, come recita il dispositivo sono quelle di «definire criteri e metodologie condivisi che consentano di valutare, sulla base di dati oggettivi e verificabili, i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmati e rendere disponibili agli stakeholders informazioni sistematiche sugli effetti delle attività realizzate».
Come valutare il proprio impatto sociale
Una recente esperienza di ricerca, che il CNR-Irpps ha condotto con gruppi di volontari della Croce rossa italiana e dell’Associazione nazionale pubbliche assistenze, ha mostrato alcuni elementi interessanti, che possono aiutare anche altri nel difficile percorso di ricerca di una modalità di misurazione del valore sociale prodotto.
Valutare se l’azione, l’intervento o il progetto promosso da una organizzazione di volontari sia adeguato in termini di impatto prodotto, non è solo una questione di metodo o di procedure da applicare, piuttosto dipende dalla possibilità che i volontari siano coinvolti attivamente nella definizione degli strumenti che consentono di raccogliere informazioni utili alla valutazione. Solo il gruppo di volontari potrà ben conoscere cosa considera come indicatori di impatto (variabili di outcome) della propria attività. Con altre parole la realizzazione di un processo di valutazione deve essere di tipo auto-valutatativo (mediante la produzione di dati oggettivi e verificabili; di indici e indicatori).
Diverse tecniche possono essere impegnate per compiere una verifica prima, durante o dopo una specifica azione/attività progetto. Gli strumenti più comunemente utilizzati sono quelli della ricerca sociale applicata: questionari, interviste, focus group, schede, check list, osservazione partecipante. Si tratta di strumenti codificati nella ricerca sociale. Tuttavia esistono anche delle procedure meno strutturate, che possono aiutare il gruppo di volontari ad acquisire un insieme di informazioni necessarie per una attività valutativa “scientificamente” definita. Possono esserci: scambi strutturati in una discussione, la rilevazione di opinioni in forma anonima, le scale di reazione etc.
Valutare l’impatto sociale è una attività che può essere svolta più agevolmente da un gruppo medio-grande di volontari, ma richiede tempo e risorse anche per la semplice applicazione di strumenti di auto-valutazione. La definizione teorica di indicatori di impatto e la loro traducibilità operativa richiede competenze che non possono essere chieste – ad esempio – ai presidenti delle associazioni. Un importante ruolo di supporto per l’identificazione e la realizzazione di opportuni strumenti di valutazione dell’impat dai diversi enti, è certamente attribuito ai Centri di servizio per il volontariato e alle Reti associative nazionali.
Una modalità per far comprendere meglio a un gruppo di volontari il lavoro da fare è quella di non considerare strettamente l’impatto sociale, bensì un concetto simile, quello del valore sociale, ossia come dice opportunamente Gabriele Tomei, «un attributo sostantivo di un intervento sociale che ne specifica il grado in cui esso risponde ai bisogni del cittadino-utente e migliora le condizioni di benessere della comunità, utilizzando al meglio le risorse e gli strumenti tecnico-professionali disponibili» . Si tratta quindi di un prodotto dell’attività di volontariato che, seppur direttamente collegato al progetto o intervento, non riguarda l’azione diretta nei confronti degli utenti o dei beneficiari, ma che può essere inteso in termini più generali del cambiamento sociale prodotto nell’ambiente in cui, ad esempio, l’utente vive.
Infine, per fornire ai gruppi di volontari elementi utili a una misurazione del valore sociale della propria attività è opportuno svolgere quattro azioni, ognuna collegata alla precedente e ognuna necessaria. In sintesi, per misurare il proprio lavoro, il gruppo di volontariato dovrà: anzitutto analizzarsi (azione di action research), poi procedere a una riflessione interna (evaluation), quindi sperimentare un metodo di valutazione dell’impatto sociale (implementation) e infine condividere i risultati (diffusione e rendicontazione, anche accountability). Analisi, riflessione, sperimentazione e condivisioni sono i quattro passi necessari per poter impostare un lavoro di valutazione che porti alla misurazione concreta del valore sociale dell’attività di volontariato svolta.
In conclusione, sembra rilevante che, avute le indicazioni ministeriali, gli enti del Terzo settore inizino a interrogarsi su quali strumenti possono essere loro utili per auto (ed etero) valutarsi nell’ottica della creazione del valore sociale, patrimonio collettivo e capitale della collettività.
* Marco Accorinti è professore associato di Sociologia generale presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre.
Katia Marchesano è dottore di ricerca in Economics
Vdossier
articolo tratto da
“Strategia&tattica. Questionari, interviste, schede e una road map in quattro tappe. Un piano per l’autovalutazione”
Vdossier numero 2 2019
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.