#italiakiama, intervista a Michele Polico di Young Digitals
«Unire le forze, rendersi utili e pensare fuori dagli schemi » chiosa Michele Polico, ceo di Young Digitals, l’agenzia social di Kiamotors Italia. «E’ stato semplice immaginare – continua – il potenziale esplosivo del volontariato in un momento come questo. Mettere a sistema questa rete con le competenze di Young Digitals e la visione di Kia, nostro cliente da pochi mesi, insieme all’aiuto della piattaforma tecnologica di Supermercato24 ha fatto decollare questa iniziativa. Mettere in sinergia le expertise dei nostro network ci è sembrata la via più intelligente di fare qualcosa per contribuire, nel nostro piccolo, a migliorare un po’ le cose».
Voi siete partner di numerosi affermati “marchi” affiancandoli quotidianamente nello sviluppo di strategie di comunicazione che mettano in luce tutto il loro caleidoscopico potenziale: quanto è importante allora la comunicazione della corporate social responsibility nel complesso computo di una virtuosa brand reputation a livello nazionale?
Questo periodo ha “scoperchiato” molte cose, rivelando i contorni e il contenuto di come deve essere la Csr e in maniera più ampia l’innovazione social driven, guidata dall’impatto che le aziende devono avere sulla vita della comunità e delle singole persone, anche all’interno dell’azienda stessa. Prima ancora della comunicazione, è cruciale un’analisi strategica che ci consenta di ragionare sui bisogni della società, per avere così uno spettro più ampio delle possibilità. Prima dei contenuti, bisogna riflettere sui contesti. Di fronte a una crisi inaspettata come questa, ragionare sui bisogni della società ti permette di mettere in campo soluzioni nuove a problemi radicati con la certezza che quello permetterà di avere un impatto sulle persone, fuori e dentro dall’organizzazione.
La corporate social responsibility, soprattutto nel mondo anglosassone, è ormai un must per ogni brand. Cosa dovrebbe fare il “made in italy” secondo voi, a livello di comunicazione internazionale, per recuperare il gap e quali errori dovrebbe evitare in questa difficile rincorsa?
Il made in Italy è sempre stato un autentico “love brand” a livello mondiale e in questo periodo deve scontare la lontananza fisica dal resto del mondo. Dobbiamo tutti cercare di mettere in campo qualcosa di più. È necessaria una visione quanto più possibile “glocale”, togliendoci di dosso abitudini, indolenze e cliché tipici della comunicazione “nostrana”. Occorre conservare le peculiarità locali e mantenere la vicinanza alla nostra cultura ma nel contempo avere una visione e una “cultura” globale, cercando le corrette “ispirazioni” a livello worldwide. Noi lavoriamo da tanti anni proprio con brand Made in Italy a vocazione internazionale, siamo abituati a declinare il tone of voice e tutte le iniziative di comunicazione sui registri linguistici e culturali del target di riferimento a cui ci rivolgiamo. Comunicare la Csr si basa sugli stessi identici principi.
Pietismo, sensazionalismo, messaggi fuori luogo: in questa emergenza Covid-19 purtroppo sui media classici e sui social abbiamo assistito a numerosi “tentativi di comunicare” non proprio riusciti. Qual è la parola d’ordine, l’ingrediente imprescindibile che per Young digitals non può mancare quando si “cucina” una ricetta di comunicazione per far sì che il risultato non si trasformi in un boomerang?
Siamo tutti stanchi che ci venga detto dai brand “state a casa” o “andrà tutto bene”, reclamando la nostra attenzione attraverso le keyword e gli hashtag del momento. Devono essere le istituzioni a guidarci in questo e non i brand. Da loro ci aspettiamo infatti soluzioni concrete per aiutarci a migliorare ora la nostra vita quotidiana. Accendere la tv oggi sta diventando davvero un’impresa, ogni spazio pubblicitario è riempito dallo stesso messaggio. Il mondo è cambiato e bisogna adeguarsi al cambiamento, ispirare le persone e dare uno scenario “aperto” per porsi in una relazione proattiva verso l’esterno.
Molte aziende sviluppano, sia in tempi emergenziali che di pace, progetti di corporate social responsibility. In un mondo, soprattutto social, così popolato da un costante “rumore di fondo” come si può rendere forte e chiara la propria azione e far arrivare in modo limpido il proprio messaggio?
Porrei l’accento qui sull’importanza della comunicazione dei temi Csr all’interno di un’azienda, per coinvolgere in primis dipendenti e stakeholder. In questa maniera è possibile “testare” il proprio tone of voice e registro linguistico su questi temi, rendere più forte l’employer brand advocacy, trovare modalità trasparenti e chiavi di lettura adeguate per comunicare in maniera coerente ed efficace anche all’esterno. Gli strumenti da utilizzare sono tantissimi, in un’epoca omnichannel oggi è molto più facile arrivare alle persone, dai canali corporate a quelli social, dall’organizzazione di eventi dedicati (ora anche online) al coinvolgimento di influencer, creator o ambassador. Un esempio è la campagna Italia Kiama realizzata per Kia Motors Italia, dove sono stati utilizzati in maniera sinergica e coerente tutti i canali a disposizione, compresi quelli degli altri partner coinvolti nell’iniziativa e con l’intervento di diversi influencer che hanno esteso la visibilità di questa iniziativa, amplificandone i messaggi.
Cosa secondo voi il comparto profit, a livello di comunicazione, potrebbe imparare dalle migliori realtà non profit e quale insegnamento, invece, una co-progettazione puntuale, potrebbe traghettare da un brand profit al Terzo settore?
Stiamo parlando dello stesso scenario dove ci troviamo tutti immersi, gli strumenti e i target sono gli stessi e troppo spesso vengono fatte delle inutili distinzioni. Questo periodo, fatto di webinar, e-learning, concetti e pratiche divulgate, case history virtuose condivise, di sicuro ha portato una maggiore consapevolezza dei mezzi da mettere in campo. La formazione continua e la sinergia tra i vari settori può rappresentare una chiave di volta.
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