La libera circolazione dei cittadini nell’Unione Europea
La libera circolazione dei cittadini, sancita dai trattati dell’UE, è una componente essenziale del mercato unico e un elemento centrale del suo successo: stimola la crescita economica consentendo alle persone di viaggiare ed effettuare acquisti attraverso le frontiere. Analogamente la libera circolazione dei lavoratori non va solo a vantaggio dei lavoratori coinvolti, ma anche delle economie degli Stati membri, consentendo di conciliare efficacemente le competenze con i posti vacanti nel mercato del lavoro dell’UE. Nonostante la crisi economica, oggi circa 2 milioni di posti restano vacanti nell’UE.
Quadro giuridico della libera circolazione
In cosa consiste la libera circolazione dei lavoratori?
I lavoratori dell’UE beneficiano della libertà di lavorare in un altro Stato membro dagli anni ’60: si tratta di un diritto sancito nei trattati dell’UE sin dall’avvio del progetto europeo nel 1957. Tale diritto è ora stabilito nell’articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Esso include il diritto alla non discriminazione in base alla nazionalità per quanto riguarda l’accesso all’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
Il regolamento (UE) n. 492/2011 specifica i diritti dei lavoratori alla libera circolazione e definisce alcuni ambiti in cui la discriminazione fondata sulla nazionalità è vietata, in particolare per quanto riguarda: l’accesso all’impiego, le condizioni di lavoro, i vantaggi sociali e fiscali, l’accesso alla formazione, l’iscrizione alle organizzazioni sindacali, l’alloggio e l’accesso all’istruzione per i minori.
La lotta contro la discriminazione dei lavoratori di altri Stati membri e la sensibilizzazione al diritto dei cittadini dell’UE di lavorare in altri paesi dell’UE sono i principali obiettivi della proposta di direttiva intesa ad agevolare la libera circolazione dei lavoratori, presentata dalla Commissione alla fine dell’aprile 2013, la cui adozione formale da parte del Consiglio dei ministri dell’UE e del Parlamento europeo è prevista nelle prossime settimane.
La mobilità della forza lavoro nell’UE non va solo a vantaggio dei lavoratori coinvolti, ma anche delle economie degli Stati membri. Avvantaggia i paesi ospitanti perché consente alle aziende di coprire posti di lavoro che resterebbero altrimenti vacanti nonché di produrre beni e fornire servizi che altrimenti non potrebbero assicurare. Ed è vantaggiosa per i paesi di origine dei cittadini, poiché la mobilità consente a lavoratori, che altrimenti avrebbero minori possibilità di lavorare, di trovare posti di lavoro, di garantire in tal modo il mantenimento delle loro famiglie nel paese d’origine e di acquisire abilità ed esperienza di cui resterebbero altrimenti sprovvisti. In seguito, una volta rientrati nel loro paese d’origine, questi lavoratori beneficiano dell’esperienza acquisita.
In cosa consiste la libera circolazione dei cittadini?
Venti anni fa, con il trattato di Maastricht, il diritto alla libera circolazione è stato riconosciuto per tutti i cittadini dell’UE, a prescindere dal fatto che siano economicamente attivi o no, diventando una delle libertà fondamentali conferite ai cittadini dal diritto dell’UE (articolo 21 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Questo diritto esprime l’essenza della cittadinanza dell’Unione.Le norme e le condizioni specifiche applicabili alla libertà di circolazione e di soggiorno sono stabilite in una direttiva su cui gli Stati membri hanno espresso il loro accordo nel 2004 (Direttiva 2004/38/CE).
La libertà di movimento è il diritto più apprezzato derivante dalla cittadinanza dell’UE: per il 56% dei cittadini europei, la libera circolazione è il risultato migliore conseguito dall’Unione europea. Sono infatti sempre più numerosi gli europei che beneficiano di questo diritto trasferendosi in un altro Stato membro: alla fine del 2012 erano 14,1 milioni i cittadini che vivevano da un anno o più in uno Stato membro diverso dal proprio. In base alle indagini Eurobarometro oltre due terzi degli europei ritengono che la libera circolazione delle persone all’interno dell’UE comporti vantaggi economici per il loro paese (67%).
Chi può beneficiare della libera circolazione?
Nei primi tre mesi: ogni cittadino dell’UE ha il diritto di soggiornare nel territorio di un altro paese dell’Unione per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità.
Dopo i primi tre mesi: il diritto dei cittadini dell’UE di soggiornare in un altro Stato membro dell’Unione per un periodo superiore a tre mesi è soggetto a determinate condizioni, in funzione della loro situazione nel paese UE ospitante:
- i lavoratori, dipendenti e autonomi, così come i loro familiari diretti, hanno il diritto di soggiornare senza particolari condizioni;
- le persone in cerca di lavoro nel paese UE ospitante hanno diritto a rimanervi per un periodo di sei mesi e oltre, senza essere soggetti a particolari condizioni, se sono costanti nella ricerca del lavoro e hanno possibilità concrete di essere assunti; questi cittadini possono esportare l’indennità di disoccupazione dal proprio Stato membro per un periodo minimo di tre mesi mentre cercano lavoro in un altro Stato membro, purché siano già stati registrati come disoccupati nello Stato membro d’origine;
- gli studenti e le altre persone economicamente non attive (ad esempio, disoccupati, pensionati, ecc.) hanno il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi se dispongono, per se stessi e per le loro famiglie, dell’assicurazione sanitaria così come di sufficienti risorse finanziarie, in modo da non diventare un onere per il sistema di assistenza sociale del paese UE ospitante.
Dopo cinque anni: dopo cinque anni di soggiorno legale continuativo i cittadini dell’UE e i loro familiari ottengono il diritto di soggiornare in modo permanente nel paese UE ospitante. Una volta acquisito, il diritto non è più soggetto alle condizioni applicabili nei cinque anni precedenti.
Assistenza sociale e prestazioni
Chi ha diritto all’assistenza sociale?
L’assistenza sociale è un “sussidio di sussistenza” che consiste di norma in prestazioni corrisposte per coprire le spese minime della vita quotidiana o in un aiuto erogato per circostanze particolari della vita.Ai cittadini dell’UE che soggiornano legalmente in un altro paese dell’Unione deve essere riservato lo stesso trattamento previsto per i cittadini nazionali. Grazie al principio della parità di trattamento, essi hanno quindi generalmente diritto alle prestazioni e ai vantaggi sociali e fiscali, compresa l’assistenza sociale, come i cittadini nazionali del paese ospitante.
Il diritto dell’UE prevede tuttavia misure di salvaguardia relative alla possibilità di accedere all’assistenza sociale da parte dei cittadini mobili dell’UE economicamente inattivi, per proteggere gli Stati membri ospitanti da oneri finanziari eccessivi.
Nei primi tre mesi: il paese UE ospitante non è obbligato dal diritto dell’UE a concedere l’assistenza sociale ai cittadini dell’Unione economicamente non attivi durante i primi tre mesi di soggiorno.
Da tre mesi a cinque anni: i cittadini dell’UE economicamente non attivi essenzialmente non hanno possibilità di beneficiare delle prestazioni di assistenza sociale, poiché per acquisire il diritto di soggiorno avrebbero prima dovuto dimostrare alle autorità nazionali che disponevano di risorse sufficienti (cfr. sopra).
Se richiedono prestazioni di assistenza sociale, ad esempio perché la loro situazione economica successivamente si è deteriorata, la domanda di questi cittadini deve essere valutata alla luce del loro diritto alla parità di trattamento. Anche in questo caso tuttavia, il diritto dell’UE prevede misure di salvaguardia.
In primo luogo, in casi specifici, la richiesta di assistenza sociale può far sorgere nelle autorità nazionali il ragionevole dubbio che la persona in questione possa essere diventata un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale.
Lo Stato membro interessato può inoltre subordinare il diritto all’assistenza sociale o a prestazioni speciali a carattere non contributivo (vale a dire prestazioni che dipendono in parte sia dalla sicurezza sociale che dall’assistenza sociale e che sono oggetto del regolamento n. 883/2004) al fatto che il cittadino in questione soddisfi le condizioni per poter fruire legalmente del diritto di soggiorno relativo a un periodo superiore a tre mesi. Lo Stato membro non può comunque rifiutarsi automaticamente di concedere queste prestazioni ai cittadini non attivi dell’UE, né questi ultimi possono essere automaticamente considerati privi delle sufficienti risorse e quindi senza diritto di soggiorno.
Le autorità nazionali devono valutare la situazione individuale, tenendo conto di una serie di fattori (importi, durata, carattere temporaneo delle difficoltà, portata complessiva dell’onere sul sistema di assistenza nazionale).
Se, sulla base della valutazione individuale, le autorità concludono che le persone interessate sono diventate un onere eccessivo, esse possono porre fine al loro diritto di soggiorno.
Dopo cinque anni: i cittadini dell’UE che hanno acquisito il diritto di soggiorno permanente possono beneficiare dell’assistenza sociale alle stesse condizioni dei cittadini del paese UE ospitante. A norma del diritto dell’UE non sono consentite deroghe.
Chi ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale?
Le prestazioni di sicurezza sociale comprendono di norma la pensione di vecchiaia, la pensione di reversibilità, i sussidi di invalidità, le prestazioni di malattia, l’assegno di natalità, le indennità di disoccupazione, le prestazioni familiari o l’assistenza sanitaria.
Gli Stati membri fissano le loro norme in materia di sicurezza sociale in funzione della loro situazione. L’UE coordina le norme sulla sicurezza sociale (regolamenti (CE) n. 883/2004 e (CE) n. 987/2009) solo nella misura necessaria a far sì che i cittadini non perdano i loro diritti di sicurezza sociale quando si trasferiscono all’interno dell’UE.
Questo significa che la legislazione del paese ospitante determina le prestazioni da corrispondere, le condizioni alle quali vengono concesse (ad esempio, tenendo conto del periodo di lavoro) così come il periodo e la misura in cui vengono erogate. Il diritto alle prestazioni varia quindi a seconda dei paesi dell’UE.
Il regolamento (CE) n. 883/2004 si limita a garantire che i cittadini mobili dell’UE continuino a beneficiare di una copertura di sicurezza sociale dopo essersi trasferiti in un altro paese, essenzialmente decidendo quale degli Stati membri interessati è responsabile di tale copertura.
I lavoratori — dipendenti o autonomi — e le persone a loro carico sono coperti dal sistema di sicurezza sociale del paese ospitante alle stesse condizioni dei cittadini nazionali, poiché come tutti gli altri lavoratori nazionali contribuiscono, attraverso i loro contributi e le imposte, ai fondi pubblici con cui sono finanziate le prestazioni.
Ai cittadini mobili dell’UE che non lavorano nello Stato membro ospitante, non può essere applicata la norma dello Stato in cui esercitano la propria attività, poiché, per definizione, non esiste un paese in cui queste persone lavorano. A norma del diritto dell’UE sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, lo Stato membro di residenza diventa responsabile della copertura di sicurezza sociale solo se questi cittadini superano la prova rigorosa della residenza abituale, dimostrando un effettivo legame con lo Stato membro in questione. In base ai rigidi criteri di questa prova, i cittadini che non lavorano possono accedere alla sicurezza sociale in un altro Stato membro solo dopo aver effettivamente trasferito il loro centro d’interesse in tale Stato (ad esempio, se vi risiede la loro famiglia).
Impatto dei cittadini mobili dell’UE sui sistemi nazionali di sicurezza sociale
Secondo i dati comunicati dagli Stati membri e uno studio pubblicato nell’ottobre 2013 dalla Commissione europea, nella maggior parte dei paesi dell’Unione i cittadini dell’UE provenienti da altri Stati membri non beneficiano delle prestazioni sociali più attivamente dei cittadini nazionali. Nella maggior parte dei paesi oggetto dello studio i cittadini mobili dell’UE hanno maggiori probabilità di ricevere prestazioni familiari e sussidi per l’alloggio.
Nel caso specifico delle prestazioni in denaro, quali pensioni sociali, assegni di invalidità e indennità di disoccupazione a carattere non contributivo, finanziate dall’imposizione fiscale anziché dai contributi da parte dell’interessato (le cosiddette prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo), lo studio mostra che i cittadini mobili dell’UE economicamente non attivi rappresentano una percentuale molto ridotta dei beneficiari e che l’impatto delle loro richieste di prestazioni sui bilanci sociali nazionali è molto basso. Questi cittadini costituiscono meno dell’1% di tutti i beneficiari (cittadini dell’UE) in sei paesi esaminati (Austria, Bulgaria, Estonia, Grecia, Malta e Portogallo) e tra l’1 e il 5% in altri cinque paesi (Germania, Finlandia, Francia, Paesi Bassi e Svezia).
Lo studio ha inoltre riscontrato che:
- la maggior parte dei cittadini dell’UE che si trasferisce in un altro paese dell’Unione lo fa per motivi di lavoro;
- negli ultimi sette anni il tasso di attività di questi cittadini mobili dell’UE è aumentato;
- in media i cittadini mobili dell’UE hanno maggiori probabilità di trovare un lavoro rispetto ai cittadini del paese ospitante (in parte perché un maggior numero di cittadini mobili dell’UE rientra nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni);
- i cittadini mobili non attivi dell’UE rappresentano una percentuale esigua della popolazione totale di ogni Stato membro e tra lo 0,7 e l’1,0% dell’intera popolazione dell’Unione;
- in media, le spese associate all’assistenza sanitaria fornita ai cittadini mobili non attivi dell’UE sono molto limitate rispetto alla portata della spesa sanitaria complessiva (in media 0,2%) o alle dimensioni dell’economia dei paesi ospitanti (in media 0,01% del PIL);
- i cittadini mobili dell’UE rappresentano una percentuale molto ridotta dei beneficiari delle prestazioni speciali non contributive, che dipendono sia dalla sicurezza sociale che dall’assistenza sociale: meno dell’1% di tutti i beneficiari (cittadini dell’UE) in sei paesi esaminati (Austria, Bulgaria, Estonia, Grecia, Malta e Portogallo), tra l’1 e il 5% in altri cinque paesi (Germania, Finlandia, Francia, Paesi Bassi e Svezia) e più del 5% in Belgio e in Irlanda (sebbene per l’Irlanda questi dati corrispondano a stime basate su asserzioni);
- non vi è alcuna relazione statistica tra la generosità dei sistemi di sicurezza sociale e i flussi di cittadini mobili dell’UE;
- le principali caratteristiche dei cittadini mobili dell’UE che non lavorano sono le seguenti:
- il 64% ha lavorato precedentemente nel nuovo paese di residenza;
- il 71% sono pensionati, studenti e persone in cerca di lavoro;
- il 79% vive in famiglie in cui almeno un membro lavora.
Gli ultimi risultati dello studio integrano quelli di altri studi i quali mostrano coerentemente che i lavoratori provenienti da altri Stati membri sono contribuenti netti alle finanze pubbliche del paese ospitante. I lavoratori dell’UE provenienti da altri Stati membri di norma contribuiscono alle risorse finanziarie del paese ospitante con imposte e oneri di sicurezza sociale più di quanto ricevano in termini di indennità, perché in genere sono più giovani ed economicamente più attivi rispetto alla forza lavoro dei paesi ospitanti. Tra questi studi ricordiamo: International Migration Outlook 2013 dell’OCSE, lo studio del Centro per la ricerca e l’analisi delle migrazioni Assessing the Fiscal Costs and Benefits of A8 Migration to the UK e il recente studio del Centro per le riforme europee.
Come trattare i casi di potenziale abuso?
Quali strumenti esistono nell’ambito del diritto dell’UE per aiutare gli Stati membri ad evitare gli abusi?
Il diritto dell’UE prevede solide garanzie per prevenire un abuso del diritto di libera circolazione.
La normativa dell’UE in materia di libera circolazione dei cittadini autorizza gli Stati membri a prendere misure efficaci, necessarie per lottare contro gli abusi (quali i matrimoni di convenienza), le frodi (ad esempio, la falsificazione di documenti) o altri inganni e comportamenti fraudolenti finalizzati unicamente ad acquisire il diritto alla libera circolazione, rifiutando o ponendo fine ai diritti conferiti dalla direttiva 2004/38 (articolo 35). Queste misure devono essere proporzionate e sono soggette alle garanzie procedurali previste nella direttiva.
Le autorità nazionali possono svolgere indagini su singoli casi in cui sussiste un fondato sospetto di abuso e, se concludono che esiste effettivamente un caso di abuso, possono revocare il diritto di soggiorno della persona interessata e procedere alla sua espulsione dal territorio nazionale.
Dopo aver valutato tutte le circostanze pertinenti e in funzione della gravità dell’infrazione (ad esempio, falsificazione di documenti, matrimonio di convenienza con il coinvolgimento della criminalità organizzata), le autorità nazionali possono inoltre concludere che la persona interessata rappresenta una vera e propria minaccia costante, sufficientemente grave per l’ordine pubblico e, su questa base, possono anche emanare un provvedimento di interdizione, oltre a disporre l’espulsione della persona interessata – vietando in tal modo il suo rientro nel territorio per un determinato periodo di tempo.
Cosa propone la Commissione per rispondere alle preoccupazioni espresse dagli Stati membri?
Il 25 novembre la Commissione europea ha presentato cinque azioni concrete che, per riuscire, richiedono la collaborazione degli Stati membri. Si tratta di esempi concreti del modo in cui l’UE può assistere le autorità nazionali e locali nel potenziare al massimo i vantaggi della libera circolazione dei cittadini dell’UE, nell’affrontare i casi di abuso e frode, così come le problematiche poste dall’inclusione sociale, e nell’utilizzare concretamente i fondi disponibili.
Contrastare i matrimoni di convenienza: la Commissione europea aiuterà le autorità nazionali ad attuare la normativa dell’UE che consente loro di lottare contro il potenziale abuso del diritto alla libera circolazione, elaborando, entro la primavera 2014, un manuale su come contrastare i matrimoni di convenienza.
Applicare la normativa dell’UE sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale: la Commissione ha collaborando strettamente con gli Stati membri per fornire chiarimenti sulla prova della “residenza abituale”, prevista dalla normativa dell’UE sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (regolamento (CE) n. 883/2004), in una guida pratica pubblicata il 13 gennaio 2014 (IP/14/13). In base ai rigidi criteri di questa prova, i cittadini che non lavorano possono accedere alla sicurezza sociale in un altro Stato membro solo dopo aver effettivamente trasferito il loro centro d’interesse in tale Stato (ad esempio, se vi risiede la loro famiglia).
Affrontare le problematiche poste dall’inclusione sociale: aiutare gli Stati membri a ricorrere in modo ancor più efficace al Fondo sociale europeo per affrontare il problema dell’inclusione sociale: nel periodo di programmazione 2014-2020 almeno il 20% della dotazione FSE destinata a ciascuno Stato membro (rispetto alla percentuale attuale del 17% circa) deve essere investito nella promozione dell’inclusione sociale e nella lotta contro la povertà e ogni forma di discriminazione. Il FSE sarà inoltre in grado di finanziare il potenziamento delle capacità di tutti i soggetti interessati a livello nazionale, regionale o locale. Agli Stati membri di origine e di destinazione dei cittadini mobili dell’UE saranno forniti orientamenti strategici per lo sviluppo di programmi di inclusione sociale con il sostegno del FSE. La Commissione intende portare avanti il proprio lavoro per contribuire a potenziare la capacità di utilizzo efficiente dei fondi strutturali e di investimento europei da parte delle autorità locali.
Promuovere lo scambio di pratiche ottimali tra le autorità locali: la Commissione aiuterà le autorità locali a condividere le pratiche ottimali acquisite in tutta l’Europa per attuare la normativa sulla libera circolazione ed affrontare la problematica dell’inclusione sociale. La Commissione elaborerà uno studio inteso a valutare l’impatto della libera circolazione in sei grandi città, che sarà presentato in occasione di un incontro con sindaci provenienti da tutta l’Europa l’11 febbraio 2014. Attraverso tale incontro, organizzato dal Comitato delle regioni, la Commissione desidera aiutare i sindaci a risolvere le problematiche che potrebbero trovarsi ad affrontare nei rispettivi comuni, creando un’occasione di scambio di pratiche ottimali. L’incontro costituirà inoltre un’opportunità per fornire orientamenti sulle modalità di presentazione delle domande di finanziamento UE per l’integrazione sociale.
Garantire l’applicazione in loco della normativa UE in materia di libera circolazione: prima della fine del 2014 la Commissione predisporrà un modulo di formazione on line volto ad aiutare il personale delle autorità locali a comprendere e ad applicare pienamente i diritti in materia di libera circolazione nell’UE. La Commissione ha proposto che in tutti gli Stati membri siano istituiti centri che forniscano sostegno giuridico e informazioni ai lavoratori mobili dell’UE (cfr. IP/13/372). Il 17 gennaio 2014 la Commissione presenterà una proposta di modernizzazione di EURES, la rete dei servizi europei dell’occupazione, al fine di potenziare il ruolo e l’incidenza delle agenzie per il lavoro a livello nazionale, di migliorare il coordinamento della mobilità della forza lavoro nell’UE e di trasformare EURES in un autentico strumento europeo di collocamento e assunzione. Oggi il 47% dei cittadini dell’UE sostiene che i problemi incontrati al momento di trasferirsi in un altro paese dell’Unione sono dovuti al fatto che i funzionari delle amministrazioni locali non hanno sufficiente dimestichezza con i diritti dei cittadini dell’UE connessi alla libera circolazione.
Per ulteriori informazioni
Commissione europea – Libertà di circolazione nell’UE
Informazioni sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale
(Fonte: Press release Europa)