La sharing economy è il tema del nuovo numero di Vdossier
“Perchè la sharing economy è la a nuova frontiera da esplorare per il volontariato” è il titolo del nuovo numero di Vdossier. Un tema delicato e quanto mai attuale che coinvolge anche il Terzo settore.
Jeremy Rifkin, visionario economista americano, sostiene che la sharing economy sia la terza rivoluzione industriale, perché è «la risposta ai cambiamenti climatici, all’ecosistema in difficoltà, alla distribuzione della ricchezza a dir poco squilibrata, a una crisi economica che non ha dato tregua per anni». Per Arun Sundararajan, altro guru dell’economia della condivisione, la sharing economy è il capitalismo delle folle che avanza: «È un nuovo tipo di capitalismo che sta contribuendo ad offrire alla gente servizi e soluzioni prima ritenute appannaggio dei più ricchi. Le attività economiche si trasferiscono dagli imprenditori alle persone comuni», dice il professore della New York University.
Scenari rivoluzionari quelli disegnati dai due studiosi, sia economicamente che culturalmente, anche se a dire il vero la questione di che cosa si intenda esattamente per sharing economy è tuttora aperta e fonte di dibattito nel mondo, considerato che il fenomeno è relativamente recente e in forte espansione. Non a caso si sono sviluppate una varietà di definizioni parallele: da “peer economy” a “economia collaborativa”, da “economia on-demand” a “gig economy” a “consumo collaborativo”. Termini a volte usati in modo intercambiabile, ma che, secondo gli esperti, indicherebbero in realtà settori diversi fra loro. E sui quali non mancano critiche e timori: infatti non essendoci ancora leggi e regolamenti che li disciplinino, tanto in Europa quanto in Italia, c’è chi li accusa di concorrenza sleale, chi di violare norme fiscali e previdenziali, chi di creare un precariato a vita e dilagante soprattutto per i giovani. Seppur confidando sul fatto che il Parlamento europeo e quello italiano quanto prima piantino dei paletti che regolamentino questi settori, resta il fatto che sigle come Blablacar, Airbnb, Uber (solo per citare le più note) sono ormai entrate nelle nostre vite e nei nostri stili di consumo.
Se lo scenario futuro dipinto da Rifkin e Sundararajan sta entrando sempre più rapidamente nel nostro presente, anche il Terzo settore è chiamato ad affrontare questa sfida. Con una missione: riportare il sociale all’interno della sharing economy senza farsi coinvolgere in quella spirale dell’economia dei lavoretti (la cosiddetta uberizzazione) che non produce valore sociale, ma disuguaglianze. Di fronte a uno scenario come questo, il non profit è chiamato a farsi parte attiva nel riportare al centro delle nuove forme economiche la realizzazione di obiettivi di interesse generale, a partire dall’esigenza che la capacità delle persone di autorganizzazione e di creazione di legami sociali non divenga oggetto di appropriazione. Questo recupero di centralità delle relazioni va infatti imperniato sulla fiducia fra persone, il carburante che alimenta il motore dell’economia della condivisione, come afferma Rachel Botsman, nota esperta di sharing.
Nel loro insieme fiducia e relazioni personali, con reciprocità e ridistribuzione, sono la leva che può scardinare il meccanismo dell’economia e del mercato “tradizionale” di domanda e offerta (dove è netta la separazione tra produzione ed erogazione e di possesso e consumo), per promuovere un meccanismo di sovrapposizione tra questi sistemi (chi produce può essere anche consumatore) che al possesso privilegia lo scambio, il riutilizzo, il riciclo, la circolarità delle risorse prodotte, in una prospettiva economica, sociale e ambientale più sostenibile.
Oltre alle forme più conosciute di sharing economy che vanno maggiormente a impattare sulle dimensioni lavorativa e di mercato, oggi esistono tante altre esperienze che hanno come comune denominatore la condivisione e la collaborazione, non solo per l’approccio cultrale, ma soprattutto come “pratica quotidiana”. E sono queste le sperimentazioni che possono riguardare e interrogare il non profit.
Forme forse più silenziose, rivolte a bacini più ristretti che, sempre con il supporto dei social e delle tecnologie della rete, si sviluppano in contesti territoriali per rispondere a bisogni, per tradursi in servizi e risposte su dimensione territoriale alle esigenze concrete dei cittadini o di specifiche fasce della popolazione. E, oltre ai bisogni, riescono a intercettare meglio dei servizi “tradizionali” potenzialità, risorse, energie e a metterle in moto; così come mettono in circolo realtà e soggetti differenti: cittadini, famiglie gruppi informali, associazioni, amministrazioni pubbliche, mondo profit; producono servizi e innovazione sociale.
Eccoci dunque al cuore della questione: che ruolo possono svolgere il non profit, il mondo associativo, ma anche quello della cooperazione e dell’impresa sociale in questo scenario? In che modo l’universo della solidarietà può offrire riferimenti a chi dovrà scrivere leggi e regolamenti che riformino e potenzino la comunità della condivisione e l’innovazione sociale della collaborazione? Domande a cui abbiamo provato a rispondere in questo numero di Vdossier, confezionato anche grazie ai consigli e suggerimenti di Marta Mainieri e Ivana Pais, esperte del settore e studiose dell’argomento. Il Terzo settore e, con esso il volontariato, potrebbero promuovere e attivare processi di partecipazione dei diversi soggetti del territorio per sviluppare in maniera condivisa un sistema più sostenibile (il richiamo all’interdipendenza tra economico, sociale e ambientale) e, al contempo, un rafforzamento dei cittadini e delle comunità per essere più resilienti ed empowered. In secondo luogo, potrebbero coinvolgere queste diverse realtà non solo come portatori di bisogni, ma anche come portatori di risorse, potenzialità, competenze. Perchè messe in condivisione, in circolo, a disposizione degli altri, attiverebbero processi generativi, creativi, innovativi per i cittadini e le loro comunità; offrendo opportunità di partecipazione e condivisione.