L’abc della rendicontazione per misurare e comunicare il capitale sociale degli enti
Gli amministratori degli enti non profit devono rendicontare a tutti i soggetti interessati come si è svolta l’attività ideale e sociale che l’ente ha condotto
di Adriano Propersi, professore di Economia aziendale presso il Politecnico di Milano e Consigliere dell’Agenzia per le Onlus e Francesca Pasi, collaboratore del Servizio Indirizzo e Vigilanza dell’Agenzia per le Onlus
Ottobre 2010 – L’accountability, cioè il “rendere conto” delle proprie azioni a tutti i soggetti interessati, è un valore per tutte le attività umane svolte in forma organizzata, siano esse pubbliche, profit o non profit. Nel caso del settore non profit il “rendere conto” è particolarmente importante in relazione ai caratteri del Terzo settore, ove sono assenti gli interessi proprietari, non esistono gli azionisti che finanziano la gestione e, sebbene vengano svolte funzioni sociali o ideali, generalmente di interesse pubblico, non vi sono finanziamenti pubblici prestabiliti. Gli amministratori degli enti non profit, pertanto, devono rendicontare a tutti i soggetti interessati come si è svolta l’attività ideale e sociale che l’ente ha condotto.
Le informazioni economiche e finanziarie che si traggono dai bilanci di esercizio degli enti non profit, ancorché costruiti secondo gli schemi ad hoc predisposti (l’Agenzia per le Onlus ha adottato con un proprio atto di indirizzo “Linee guida e schemi per la redazione del bilancio di esercizio degli enti non profit”) non sempre sono sufficienti per rappresentare le attività svolte, proprio in relazione ai particolari caratteri gestionali e alle modalità di “governance” di questi enti.
Gli enti non profit presentano, tra le altre, le seguenti peculiarità:
- sono realtà che perseguono finalità socialmente rilevanti, dinatura complessa, occupandosi nelle fasi deboli dei processisociali unitamente, o in alternativa, all’istituto pubblico;
- sono realtà che nascono da motivazioni di natura etica, morale,di solidarietà, di altruismo ecc. in cui è presente generalmenteun naturale orientamento all’economica gestionedelle risorse;
- presentano sistemi di governance difformi rispetto alle imprese,soprattutto in relazione all’assenza di interessi proprietariche alimentino, indirizzino e controllino costantementela gestione, con tendenza quindi a essere meno efficienti;
- la credibilità ‘agli occhi della comunità’ di riferimento costituisceuna risorsa fondamentale degli enti non profit, e, inquanto tale, va costantemente costruita e sviluppata, creandosolide relazioni di fiducia tra gli enti e la comunità esterna ,relazioni generatrici di risorse monetarie, in natura, e di personale fondamentali per lo sviluppo del mondo non profit;
- la comunità di riferimento costituisce il principale beneficiario e controllore dell’operato degli enti non profit; essi nascono per il diretto soddisfacimento dei bisogni della comunità, traggono dalla stessa i mezzi per il loro sostentamento economico e morale, concorrendo direttamente al suo progredire.
Il rapporto, quindi, tra le realtà non profit e la comunità di riferimento assume, molto più di quanto si verifica con riferimento alle altre tipologie di aziende, un carattere meramente fiduciario. Le organizzazioni del Terzo settore sono chiamate a costruire tale relazione di fiducia non solo con il ben agire ma anche attraverso gli strumenti della comunicazione sociale della trasparenza, della responsabilizzazione nei confronti della comunità, in sintesi di accountability. Diventa, quindi, importante per gli enti non profit il passaggio dal bilancio di esercizio, che fornisce le informazioni economiche, finanziarie e patrimoniali atte a rappresentare i risultati di esercizio e la situazione dell’ente, al bilancio sociale, quale strumento di rendicontazione delle responsabilità, dei comportamenti e dei risultati sociali, ambientali ed economici delle attività.
Dai conti morali al bilancio sociale
La redazione del bilancio sociale non può considerasi una prassi di recente introduzione in quanto essa trova un prodromo nei cosiddetti conti morali delle I.P.A.B. disciplinati dal legislatore nel 1890 ed ancor prima nella dottrina aziendalistica dell’ottocento. Già allora i cultori della ragioneria usavano il termine “conto morale” per riferirsi al rendiconto degli enti con finalità erogative, che doveva fornire un’informazione suppletiva, di carattere morale, dei dati di bilancio, e nella prassi usavano inserire nelle relazioni al bilancio considerazioni sulla missione in atto. Per tutti si ricorda Michele Riva che nel 1887 scriveva “Quando il potere esecutivo si presenta al potere ordinativo non deve solamente dire: – ecco vi furono tante spese, tante rendite e tanto profitto netto (…) – Il vero resoconto generale è ben altra cosa e deve non solo comprendere il resoconto economico e giuridico dell’amministrazione ma bisogna che (…) metta a confronto i bisogni che si avevano da soddisfare coi mezzi adoperati per farvi fronte; fa d’uopo che dimostri e le cause di quei bisogni e le difficoltà vinte, è mestieri che metta in evidenza quali furono i risultamenti sia economici, sia giuridici, sia morali (…) è mestieri che dimostri per quali vicende è passato l’ente e in quali condizioni è rimasto” (M. Riva, Opere pie ed altri istituti pubblici minori. Lezioni d’amministrazione e ragioneria pubblica secondo le leggi italiane, Loescher, Roma 1887).
Anzi la forza della dottrina era tale che ha convinto il Legislatore ad emanare la legge del 17 luglio 1890, che ha regolato e reso obbligatoria la redazione annuale del conto morale. Il Legislatore dispose, infatti, esplicitamente che le amministrazioni delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza dovessero redigere annualmente, nei termini e nei modi fissati con regolamento, il bilancio preventivo ed il conto consuntivo corredato dal conto del tesoriere e da una relazione morale della propria gestione (art. 20 della Legge 17 luglio 1890, n. 6972). Il relatore della camera dei Deputati (O. Luchini, Le istituzioni pubbliche di beneficenza nella legislazione italiana, G. Barbera Editore, Firenze 1894) sulla legge sopra richiamata, in merito a tale disposizione normativa precisava che “Nella relazione suddetta [morale] l’amministrazione deve:
- far constare del modo onde sono avvenute le riscossioni e le spese;
- esporre la condizione finanziaria e morale della istituzione ed enti della medesima amministrati, le difficoltà superate, i criteri seguiti, i miglioramenti creduti opportuni.
Al quale effetto saranno passati in esame le qualità delle rendite, i mezzi ed i modi di aumentarne la produttività e di semplificarne l’amministrazione, nonché la possibilità e la convenienza di mantenere, ridurre o sopprimere alcune spese’. Notasi che se tale relazione può essere in fatto l’opera di uno solo, in diritto deve essere l’opera di tutto il consiglio o collegio che rappresenta l’ente. Deve quindi essere approvata dalla maggioranza, con le osservazioni e i voti di scissura che i singoli amministratori stimino fare inserire nel verbale, ovvero mandar per iscritto come tanti allegati alla relazione”.
Quanto sopra evidenzia, quindi, che la redazione dei cosiddetti conti morali delle I.P.A.B. rappresenta un prodromo della recente e diffusa prassi degli enti non profit di redigere il bilancio sociale, in aggiunta al bilancio di esercizio. È ormai opinione consolidata, infatti, che la legittimazione degli enti non profit non deriva più soltanto dal riconoscimento pubblico della funzione che svolgono, quanto dalla loro dimostrabile capacità di realizzare la propria “mission”.
Il sistema informativo e destinatari dell’informazione sociale
In prima approssimazione ed in via generale il bilancio sociale può essere definito come lo strumento informativo che consente la rendicontazione a tutti gli stakeholder dell’attività svolta e che presenta i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi dichiarati e impliciti nella mission dell’ente, dando conto sia degli aspetti economici e finanziari della gestione, sia di quelli sociali ed anche ambientali (per un approfondimento si veda Bruni G., Il bilancio di missione delle aziende non profit, in “Rivista Italiana di ragioneria e di economia aziendale”, maggio-giugno 1997, Chiesi A. – Martinelli A .- Pellegatta M., Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale di impresa, Il sole 24 Ore, Milano 2001; Garelli R., La rendicontazione sociale: il bilancio sociale, in A.A.V.V., Impresa sociale: verso un frutto possibile, De Ferrari, Genova 2003; Hinna L., Il Bilancio sociale, Il Sole 24 ore, Milano 2002).
Non esiste, tuttavia, una definizione univoca e rigorosa dei contenuti del bilancio sociale e non è semplice arrivare ad una nozione sintetica del termine e ciò per due principali motivi:
- nonostante lo sviluppo di nuovi modelli e standard di misurazione sociale, non è stato ancora trovato un accordo preciso e generale su cosa e come misurare, a differenza di quanto avviene nell’ambito del bilancio di esercizio (questo è dovuto soprattutto ai diversi punti di vista secondo i quali viene considerato il rapporto tra azienda e società);
- il bilancio sociale è spesso inteso come un documento finalizzato a scopi di parte, i cui risultati sono accettati solo dagli interessati, a cui sembrano convenire, o che comunque presenta solo quei dati che sostengono le scelte di determinati centri di interesse (A. Propersi, Il sistema di rendicontazione degli enti non profit. Dal bilancio di esercizio al bilancio sociale, Vita e Pensiero, Milano, 2004).
L’espressione “bilancio sociale”, anche nelle imprese, trova spesso significati e contenuti diversi in base al contesto in cui può venire impiegata. La difficoltà di pervenire ad una definizione univoca del bilancio sociale se vale per le imprese, a maggior ragione si riscontra negli enti non profit, così diversi ed eterogenei per origine, forma giuridica, attività svolta e dimensione. Occorre però ricordare che per queste organizzazioni senza fini di lucro è viva l’esigenza di garantire un’informazione più estesa e comprensibile, rispetto ai rendiconti di esercizio. È proprio l’esigenza di soddisfare le attese degli stakeholders a cui i dati di bilancio non forniscono le informazioni adeguate, che spinge a valutare l’importanza di un simile documento.
L’impiego del bilancio sociale può rispondere a una serie di scopi così sintetizzabili:
- il bilancio sociale come leva di comunicazione. In questo caso tale documento è impiegato come un tipico strumento di marketing, in quanto, evidenziando un’immagine positiva dell’ente,si attendono ritorni economici indiretti. Il rischio principaleè quello di adottare il bilancio sociale senza procedere a un reale cambiamento;
- il bilancio sociale come leva organizzativa. Si tratta di una modalità orientata al potenziamento, e miglioramento, della cultura aziendale, nonché alla valutazione dei risultati raggiunti nei confronti di alcuni stakeholders che possono influire sull’andamento competitivo dell’azienda;
- il bilancio sociale come documento per la misurazione del valore globale dell’azienda, nonché base dell’elaborazione della strategia sociale. È questo, l’utilizzo più consono attribuibile al bilancio, ma allo stesso tempo difficile in quanto occorre misurare in termini quantitativi l’efficienza sociale, attraverso l’aggiunta di proventi e oneri, attività e passività che esprimono le esternalità nonché fornire tutta una serie di informazioni riguardanti l’effetto indotto che l’attività produce nell’ambiente (maggiore occupazione, iniziative a sostegno del territorio locale, miglioramento delle condizioni socioeconomiche dei cittadini ecc..), tutte quantità non oggettivamente e sicuramente determinabili.
Gli enti non profit per poter redigere un bilancio sociale devono disporre di un sistema informativo utile sia ad orientare le scelte gestionali sia a verificare il perseguimento delle finalità sociali.
Il settore non profit, tuttavia, presenta alcune peculiarità che influiscono sulla configurazione del sistema informativo, quali:
- la necessità di individuare specifici parametri per il controllo dei risultati di carattere sociale;
- la coincidenza temporale tra la fase di creazione e quella di distribuzione della ricchezza;
- l’assenza di un prezzo del bene/servizio fornito (anche laddove c’è un prezzo esso non esprime il risultato economico della gestione poiché ha implicazioni sociali).
La legislazione civilistica e soprattutto fiscale impone anche agli enti senza fini di lucro la redazione di bilanci o rendiconti che informino sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale ed anche in assenza di obblighi legislativi, è ormai diffusa la prassi, soprattutto tra gli enti di maggiori dimensioni, di redigere il bilancio di esercizio. Ma è il passaggio dall’informativa economica-finanziaria-patrimoniale a quella che dia conto dei risultati sociali ed economici raggiunti che gli enti devono compiere, al fine di dare un quadro completo delle dinamiche gestionali loro proprie.
Il sistema informativo aziendale negli enti deve, quindi, strutturarsi in modo tale da consentire l’acquisizione di tutte quelle informazioni necessarie a rappresentare, innanzitutto, il perseguimento dello scopo ideale dell’ente. I destinatari delle informazioni (sia interni che esterni) devono, infatti, poter ricavare elementi sufficienti per giudicare la gestione sociale non solo economica. La collettività mette, infatti, a disposizione risorse per premiare non l’efficienza ma l’efficacia ossia la capacità di offrire un servizio volto a migliorare le condizioni di esistenza di determinati soggetti.
Un ente deve, pertanto, costruire il proprio sistema informativo avendo ben presente quali sono gli interlocutori dell’azienda, cosa si aspettano da essa e, attraverso quali strumenti cercheranno di influenzarne la gestione. È fondamentale per una corretta rendicontazione sociale avere una visione chiara di quelli che sono gli stakeholder in modo tale da strutturare un bilancio sociale che sia conforme alle aspettative e alle esigenza informative degli stessi. Soltanto l’attenzione rivolta verso i differenti destinatari della comunicazione consentirà all’ente di elaborare la propria rendicontazione sociale in modo da raggiungere tutti gli interessati.
Premesso che ogni ente, quindi, deve svolgere un’accurata analisi dei propri interlocutori, la cui individuazione è quasi sempre strettamente influenzata dalle caratteristiche del singolo ente, dalla sua storia e dal suo rapporto con l’ambiente circostante, si possono individuare alcuni interlocutori tipici degli enti.
Si possono così distinguere gli stakeholder interni (amministratori, soci, prestatori d’opera, e volontari) da quelli esterni, a loro volta distinguibili in diretti (committenti pubblici, sostenitori, sovventori o donatori, fruitori, finanziatori, fornitori) e indiretti (comunità di riferimento, reti non profit e altri enti, sindacato dei lavoratori, ambiente, collettività e Stato).
Una volta identificati i destinatari del bilancio sociale occorre ora entrare nel merito del suo contenuto tenendo conto che al riguardo non esistano regole codificate o generalmente accettate. A tale scopo, un punto di riferimento importante è rappresentato dalle “Linee guida per la redazione del bilancio sociale delle organizzazioni non profit”, adottate dall’Agenzia per le Onlus con delibera n. 418 del 12 novembre 2009.
Il contenuto del bilancio sociale: le linee guida dell’Agenzia per le Onlus
Prima di entrare nel merito del contenuto dell’atto di indirizzo dell’Agenzia per le Onlus si ritiene utile inquadrare brevemente il contesto normativo e di prassi nel quale si è inserita l’iniziativa dell’Agenzia.
L’obbligo normativo di redigere il bilancio sociale è stato introdotto per la prima volta (l’unica eccezione era costituita in passato dalle previsioni dettate dal Decreto Legislativo n. 153 del 17.5.1999; il provvedimento, peraltro, non impone la redazione di un vero e proprio bilancio sociale, bensì obbliga le Fondazioni bancarie a redigere un più circoscritto “bilancio di missione”, inteso come sezione specifica della relazione sulla gestione ed aggiuntiva rispetto alla sezione dedicata agli aspetti economico-finanziari, da allegare al bilancio di esercizio) dal Legislatore con riferimento all’impresa sociale (D.lgs. 155 del 24 marzo 2006 e D.M. 24 gennaio 2008). Con tale provvedimento si è riconosciuto sul piano legislativo un principio importante (già da tempo evidenziato dalla dottrina come rilevato nel precedente paragrafo) ovvero che per le organizzazioni non profit la rendicontazione economicopatrimoniale non si rivela sufficiente per fornire ai terzi un’informativa completa ed esaustiva e, quindi, deve essere integrata con una rendicontazione di natura sociale. Il legislatore, dunque, condividendo tale assunto, non si è limitato ad assoggettare le imprese sociali ad obblighi informativi ma ha anche provveduto a qualificarli, integrandoli, in considerazione della specifica natura non profit di tali imprese.
Analogamente con riferimento alle cooperative sociali anche i legislatori regionali (Friuli, Lombardia) hanno introdotto l’obbligo di redazione del bilancio sociale sebbene assegnandogli, finalità differenti nelle singole Regioni (condizione per l’accesso agli incentivi o per la stipula di contratti con il sistema pubblico o, ancora, per il mantenimento dell’iscrizione all’Albo delle cooperative), così come diverse sono le indicazioni in merito ai criteri di redazione ed ai contenuti informativi del bilancio sociale.
Quanto sopra evidenzia che l’intervento legislativo sul bilancio sociale è limitato a poche categorie di organizzazioni non profit, oltre che frammentato e disomogeneo sul piano dei contenuti. Si noti, inoltre, che il settore non profit non ha trovato riferimenti univoci neanche nelle linee guida di rendicontazione sociale più accreditate a livello nazionale (documento del GBS – Gruppo di studio per il Bilancio Sociale) e internazionale (Linee Guida della GRI – Global Reporting Initiative), che – a partire dal 2001 – sono state definite con riferimento alle realtà profit per individuare standard utili ai fini della rendicontazione sociale su base volontaria.
Solo in tempi molto recenti è stato adottato da GRI un protocollo specifico per le organizzazioni non profit. In questo contesto si è assistito in Italia ad una progressiva proliferazione di bilanci sociali slegati da qualsiasi linea guida, nonché di modelli di rendicontazione sociale “self made” proposti da singole realtà o da categorie di organizzazioni non profit, non sempre pienamente efficaci e a volte molto distanti dai principi e dai criteri più accreditati proposti dal GBS e dal GRI con ciò generando una grande confusione sulle finalità del bilancio sociale – spesso usato come strumento di comunicazione autoreferenziale, anziché come strumento di rendicontazione – ed un diffuso scetticismo sulla sua utilità ai fini della valutazione esterna.
In ragione di quanto sopra, l’Agenzia per le Onlus, in attuazione dei poteri di indirizzo ad essa attribuiti dal D.P.C.M. 21 marzo 2001 n. 329, ha emanato un documento in tema di bilancio sociale “linee guida per la redazione del bilancio sociale degli enti non profit” che fornisce al terzo settore uno schema specifico ed uniforme per la pluralità di tipologie di organizzazioni non profit in esso comprese. Si tratta di un modello raccomandato ma non vincolante, di cui gli enti che intendono “dare conto” del proprio agire ai vari portatori d’interesse, possono avvalersi.
Con questo documento l’Agenzia ha voluto sollecitare l’orientamento allo sviluppo di una rendicontazione sociale, più consona ai fini della rappresentazione delle modalità di perseguimento della missione e della capacità di rispondere ai bisogni ed alle istanze della società civile, che consente alle organizzazioni non profit di acquisire una crescente consapevolezza del proprio ruolo, del grado di efficacia delle proprie attività e delle azioni correttive che, nel tempo, possono rendersi necessarie in considerazione delle condizioni interne ed esterne alla struttura.
Letto in questa ottica, il processo di rendicontazione che alimenta il bilancio sociale può contribuire al miglioramento della capacità di pianificazione, gestione e controllo delle attività su basi “informate”, nonché allo sviluppo di una “gestione per obiettivi” più attenta alle esigenze della pluralità degli interlocutori dell’organizzazione non profit (i cosiddetti stakeholder) e, in ultima istanza, ad una crescita professionale ed operativa del terzo settore, a vantaggio dell’intera società (A. Propersi e C. Schena, Le “Linee Guida per la redazione del Bilancio Sociale delle Organizzazioni Non Profit” dell’Agenzia per le ONLUS, in Riv. Terzo Settore n. 5/2010, Il sole 24ore).
Il Bilancio Sociale, redatto secondo le Linee Guida adottate dall’Agenzia:
- consente agli enti non profit di rendere conto ai propri stakeholders del grado di perseguimento della missione e, in una prospettiva più generale, delle responsabilità, degli impegni assunti, dei comportamenti e soprattutto dei risultati prodotti nel tempo;
- costituisce un documento informativo importante che permette ai terzi di acquisire elementi utili ai fini della valutazione delle strategie, degli impegni e dei risultati generati dall’Organizzazione nel tempo;
- favorisce lo sviluppo, all’interno dell’ente, di processi di rendicontazione e di valutazione e controllo dei risultati, che possono contribuire ad una gestione più efficace e coerente con i valori e la missione.
Per questa ragione l’indice del Bilancio sociale proposto è articolato in modo da evidenziare le motivazioni, gli obiettivi e l’approccio seguito dall’organizzazione non profit nel processo di rendicontazione sociale; le caratteristiche dell’organizzazione non profit, ovvero chi e, quali obiettivi si propone di perseguire e quale forma giuridica e modello organizzativo ha scelto per operare; le attività che l’organizzazione non profit ha sviluppato per raggiungere i propri obiettivi ed i risultati generati dalla propria gestione nel periodo di rendicontazione nonché da ultimo il feedback dei lettori e gli obiettivi futuri che l’organizzazione si propone di perseguire al termine del periodo di rendicontazione.
Conclusioni
Gli enti non profit hanno caratteri gestionali propri che li rendono molto diversi rispetto alle imprese. In particolare la missione ideale, non finalizzata alla massimizzazione di risultati economici, bensì all’attuazione al meglio degli obiettivi ideali stabiliti nelle tavole di fondazione dell’ente, caratterizza tutta la struttura organizzativa aziendale e impone l’utilizzo di strumenti di comunicazione dei risultati differenti rispetto alle imprese commerciali.
Le finalità ideali, perseguite da una struttura organizzata non sussumibile a quella delle imprese, implicano la necessità di garantire informazioni sull’attività svolta, che rispondano alle esigenze degli enti, con il fine precipuo di creare fiducia e consenso nella comunità di riferimento, che è destinataria dell’attività e spesso conferente dei necessari “fattori produttivi” (lavoro volontario, contributi pubblici, erogazioni liberali).
Data la natura particolare delle attività svolte, consistenti generalmente nello svolgimento di servizi secondo modelli che non hanno sempre l’obiettivo di realizzare corrispettivi adeguati ai consumi di risorse, è necessario costruire un’informazione specifica per ciascun ente e non solo attinente ai dati economico-patrimoniali. Non è, quindi, sufficiente costruire il bilancio di esercizio ma occorre integrare le informazioni di tale strumento comunicativo con altri dati, notizie e indicatori specifici.
Ecco, quindi, la ragione di attivare un particolare sistema informativo negli enti senza fini di lucro, che consenta di rendere edotti tutti gli interessi convergenti sui dati economici patrimoniali e finanziari oltre che su quelli relativi al perseguimento al meglio della missione ideale propria dell’ente stesso. In sostanza, il bilancio sociale, con l’evolversi del sistema sociale e lo sviluppo del terzo settore diventa lo strumento necessario per consentire l’esistenza stessa degli enti e il loro sviluppo sul particolare mercato sociale ove essi operano. È per rispondere a questa esigenza che l’Agenzia per le Onlus ha ritenuto utile fornire indicazioni essenziali per garantire la massima trasparenza e completezza delle informazioni ed anche per rendere uniformi e comparabili le informazioni nello spazio e nel tempo. Il successo dell’iniziativa promossa dall’Agenzia per le Onlus sarà certamente determinato dalla sensibilità del terzo settore al tema della trasparenza informativa e dalla percezione dell’importanza della pubblicazione periodica del bilancio sociale da parte di un numero crescente di organizzazioni non profit.