Luci e ombre del sistema di accoglienza in Italia
Accoglienza diffusa, partenariato e responsabilizzazione sono, secondo il sociologo Maurizio Ambrosini, le caratteristiche su cui si è costruita la risposta solidale nei confronti dei cittadini ucraini in fuga dalla guerra. Un’occasione da non perdere per ripensare il sistema d’accoglienza nel suo complesso
di Caterina Giacometti
“L’accoglienza comincia dallo sguardo” è l’incipit con cui Maurizio Ambrosini, intervistato da Paolo Riva per Percorsi di secondo welfare (L’accoglienza ricomincia dallo sguardo • Secondo Welfare), illustra la possibilità che l’emergenza Ucraina e la relativa mobilitazione solidale più o meno organizzata possano innescare un cambiamento culturale rispetto ai temi dell’accoglienza e della presenza di rifugiati in Italia, sia in termini di opinione pubblica che di organizzazione dei servizi e delle strutture di ricezione sui territori.
Dopo una fase di invisibilizzazione della “questione migranti” in termini di responsabilità di protezione e tutela, oscurate dalle priorità d’agenda imposte dalle fasi più acute della pandemia, che ha rappresentato una ragione in più per perorare la causa della limitazione degli ingressi nel nostro Paese, il tema dell’accoglienza è tornato al centro del dibattito pubblico con lo scoppio della guerra in Ucraina e il delinearsi di flussi importanti di persone in fuga anche verso l’Italia. Persone dalla pelle bianca, lo stesso (o quasi) nostro modo di vestire, di pensare il tempo, di lavorare, di fare famiglia. Persone legate a noi da decenni di presenza delle comunità ucraine nelle nostre città, in particolare Milano, e da relazioni di affetto e confidenza costruite nel lavoro a tu per tu delle tantissime donne ucraine che si prendono cura dei nostri nonni e genitori. Immediato quindi “sviluppare uno sguardo simpatetico di apertura e uguaglianza, che riconosce nei rifugiati persone simili a noi”, continua il sociologo milanese, fiducioso che questo sentimento possa, se ben accompagnato, contaminare il pensiero sui migranti in generale, a prescindere dalla loro nazionalità.
Certo è che, da un punto di vista formale, molto si è mosso, e si muove, in termini innovativi rispetto all’accoglienza proposta di norma. “Accoglienza diffusa, partenariato e responsabilizzazione” sono, secondo Ambrosini, le caratteristiche su cui si è costruita la risposta solidale nei confronti dei cittadini ucraini in fuga dalla guerra. Un fiorire di portali istituzionali online che mettono in rete i più svariati soggetti solidali, permessi di soggiorno straordinari e ottenuti con altrettanto straordinaria semplicità e prontezza, numeri di posti in accoglienza aumentati, manifestazioni per la pace e bandiere a strisce colorate ad ogni angolo delle strade. Tutto giusto, tutto bello. Ma si impongono delle riflessioni. La prima, affrontata nell’intervista ad Ambrosini, è se tutta questa innovazione saprà tramutarsi in risorsa strutturale per migliorare per tutti un sistema di accoglienza e integrazione spesso affaticato e frammentato. Quella vicinanza geografica e culturale al popolo ucraino che ha saputo innescare processi di apertura e virtuosismi di sistema potrà rappresentare la leva di un cambiamento, seppur progressivo, delle pratiche e modalità di accoglienza per ogni singolo richiedente asilo e rifugiato in Italia? Ad oggi si parla infatti di accoglienza di serie A e di serie B, nel cui quadro i cittadini ucraini beneficiano, legittimamente, di tutele e attenzioni mai concesse a tutti gli altri migranti in fuga da situazioni di pericolo. Ci si trova quindi davanti a un’occasione da non perdere di ripensare il sistema d’accoglienza nel suo complesso a partire da quanto messo in campo per l’emergenza Ucraina e che si vede avere impatti positivi sulla possibilità delle persone di intraprendere percorsi di inclusione e autonomia dignitosi e concreti. La capacità del Terzo Settore e del volontariato di fare advocacy in questo senso sarà fondamentale, in quanto i numerosi gruppi più o meno organizzati che si sono messi a disposizione per sostenere i comuni, compreso Milano, nel costruire una rete d’accoglienza ricca e capillare non sono nati con la questione ucraina, ma da tempo operano sul campo a servizio e in solidarietà con chi arriva da noi alla ricerca di un futuro migliore. Sono quindi questi gruppi, molto dei quali solo in questa occasione si sono visti coinvolgere e interpellare dalle istituzioni e dalle amministrazioni locali, ad avere l’esperienza e a portare la testimonianza di un prima e un dopo ucraina, e a possedere la capacità, e forse la responsabilità, di chiedere un livellamento (per eccesso) delle condizioni di accoglienza e integrazione per tutti. Perché, diciamocelo, se l’accoglienza diffusa rimane ancora da costruire da un punto di vista istituzionale, questa già esiste, e da molto, in termini di risposta territoriale delle organizzazioni della società civile.
In questo senso, CSV Milano sta lavorando alla mappatura grafica di tutte le organizzazioni che sul territorio della Città metropolitana lavorano quotidianamente, e per la maggior parte a titolo volontario, con migranti e rifugiati fornendo supporto legale e psicologico, organizzando sportelli di orientamento al lavoro, animando scuole di lingua, promuovendo eventi interculturali e d’aggregazione sociale, dibattiti pubblici, pranzi, cene, occasioni di scambio e relazionalità. La questione ucraina ha infatti semplicemente puntato i riflettori e dato occasione di legittimazione a un tessuto associativo e sociale già ampiamente attivo, ma troppo spesso sotto traccia e sfilacciato. Il centro di servizio milanese quindi, nell’ambito del progetto Arte dell’Integrazione, intende rafforzare nei prossimi mesi il suo impegno alla valorizzazione e messa in rete di questo tessuto e farsi portavoce e megafono della capacità di pensiero, creatività e lungimiranza del Terzo Settore e della società civile in generale in tema di Intercultura, inclusione e diritti affinché questa sia riconosciuta pubblicamente e presa in seria considerazione anche quando, speriamo presto, in Ucraina sarà tornata la pace.