Paura e menzogne nell’UE: come combattere la disinformazione sulla migrazione
Bugie e rapporti intenzionalmente fuorvianti sui migranti stanno diventando sempre più diffusi in Europa, con affermazioni che infettano l’opinione pubblica come il Covid-19 fa con la nostra salute. Secondo un nuovo studio europeo, affrontare il flusso di disinformazione sui migranti significa molto di più che segnalare false affermazioni
di Elisabetta Bianchetti
Minaccia, invasione, crimine, pigrizia, diffusione di malattie: alcuni politici e media hanno usato per anni un linguaggio disumanizzante nei confronti di rifugiati e migranti accusati di essere una delle cause dei problemi della società. Secondo gli scienziati sociali, questo sta accadendo molto più adesso che in passato. Il risultato è doppio: un impatto diretto sui migranti che sono attaccati e calunniati; una narrativa pubblica che si riempie di discorsi d’odio, discussioni negative e parziali che rischiano di influenzare le scelte politiche. Occorre contrastare questa dialettica ignorante con narrazioni alternative per riformulare completamente il dibattito sulla migrazione. Questa è la conclusione di un progetto di ricerca collaborativo tra Foundation for European Progressive Studies, European Policy Center, Friedrich-Ebert-Stiftung e Fundación Pablo Iglesias che ha analizzato narrative fuorvianti e ostili sulla migrazione in Europa (issue paper “Fear and lying in the EU: Fighting disinformation on migration with alternative narratives”).
Il team, guidato da Paul Butcher e Alberto Horst Neidhardt, ha analizzato quasi 1.500 articoli pubblicati online in quattro Stati membri dell’UE (Germania, Italia, Spagna e Repubblica Ceca), tra maggio 2019 e luglio 2020. I risultati riflettono le aree grigie di un’informazione parziale e inesatta. La maggior parte degli articoli utilizzano fatti manipolati, informazioni fuori contesto o non verificabili. Solo il 16% sono del tutto falsi, mentre il 23% ha utilizzato fonti distorte (servendosi di dati manipolati) e il 34% fuorvianti (basati su cifre o fatti fuori contesto). Inoltre, il 26% degli articoli si è avvalso di affermazioni non verificabili (vedi figura 1).
Dal rapporto emerge come gli argomenti dei protagonisti della disinformazione non sono statici ma che, man mano che gli eventi si sviluppano e le preoccupazioni del pubblico cambiano, si adeguano e il loro racconto cerca sempre di essere fuorviante. Per esempio, agli inizi della pandemia, hanno sfruttato l’occasione per collegare i migranti come portatori del virus, oppure accusandoli di ricevere un trattamento preferenziale da parte delle autorità pubbliche. Queste narrazioni producono forti interazioni con i lettori: sfruttano le loro paure, ne polarizzano l’opinione e generano malcontento. «Gli attori della disinformazione – spiega Paul Butcher – collegano il fenomeno migratorio alle insicurezze esistenti basandosi su tre temi: salute e sicurezza (migranti come criminali violenti, potenziali terroristi o come portatori di covid-19); ricchezza (migranti come coloro che rubano agli italiani il posto di lavoro o come destinatari di risorse per la comunità, ritenute così sprecate); identità (i migranti come invasori, una minaccia alle tradizioni europee o cristiane, oggetto di cospirazione per sostituire gli europei bianchi)».
Lo studio ha rilevato che il 26% degli articoli riguarda la salute-sicurezza, il 20% la ricchezza e il 34% l’identità, mentre il 20% si riferisce a un insieme di questi. Al totale di 1. 425 articoli sono corrisposte 13 milioni e 749.970 interazioni da parte degli utenti rivolte principalmente ai temi salute, sicurezza, ricchezza rispetto all’identità (vedi fi.2).
Mentre in passato il discorso era concentrato sulle minacce culturali ed economiche, l’effetto del Covid 19 ha fatto salire alle stelle le preoccupazioni legate alla salute e quindi alla minaccia degli immigrati portatori di contagio. I megafoni della disinformazione nei primi mesi del lockdown sostenevano la tesi dei migranti portatori del virus, sfruttando così le paure diffuse per promuovere un’agenda anti-immigrazione. In Italia, questo tipo di articoli a marzo 2020 sono stati l’83% del totale. «Molte persone – spiega Alberto Neidhardt – si sono preoccupate per le loro prospettive di salute. Ma nessuno li ha informati che molti medici di origine straniera hanno contribuito in modo rilevante, in tutte le nostre comunità, alla lotta contro il Covid-19».
Gli argomenti principali della disinformazione in Italia
Argomenti | Numero articoli | Percentuale sul totale |
---|---|---|
Invasione | 174 | 48% |
Violenza | 61 | 17% |
Complotto d’elite | 66 | 18% |
Benefici sociali | 58 | 16% |
Discriminazione al contrario | 44 | 12% |
Altri crimini | 52 | 14% |
Malattie e infezioni | 83 | 23% |
Religione | 29 | 8% |
Integrazione | 19 | 5% |
Organizzazioni non governative | 42 | 12% |
Sentimenti anti UE | 34 | 9% |
Violenza sessuale | 8 | 2% |
Casa | 13 | 4% |
Disoccupazione | 20 | 6% |
Salute | 9 | 2% |
N.B. Molti articoli contenevano più di un tema
Raccontare una storia diversa
L’analisi, dopo la lettura dei dati, traccia tre letture della situazione. La prima è che quasi tutte le narrazioni e sono basate su fantomatiche minacce legate agli immigrati per sfruttare le preoccupazioni dei lettori. La seconda sottolinea come il confine tra un racconto di disinformazione e una narrativa ostile non è sempre chiaro. Solo il 16% degli articoli esaminati contengono informazioni false, mentre la maggior parte sono fuorvianti o distorte. «Questo conferma – spiega Butcher – che il fact-checking non costituisce una risposta sufficiente ad affrontare la complessità della disinformazione. Il controllo dei fatti dovrebbe quindi essere impiegato con attenzione, mentre gli sforzi dovrebbero essere dedicati al “prebunking”. Promuovendo alfabetizzazione digitale e affrontando in modo preventivo le preoccupazioni insite nelle persone è possibile creare anticorpi mentali e psicologici e una resilienza contro frame ostili». Il prebunking è un termine che compare in una ricerca dell’Università di Cambridge che ha sperimentato come l’inoculazione di tecniche per favorire la resistenza preventiva alla disinformazione, risulta uno strumento efficace per limitare l’espandersi di false notizie sui social media e non solo. Il pre-bunking permette infatti di giocare d’anticipo, di agire sulla consapevolezza di come funzionano i meccanismi cospirativi e gli errori di ragionamento nelle teorie del complotto. In tal modo le persone possono essere meno vulnerabili e sviluppare una capacità critica, fondamentale per la resistenza di fronte ai messaggi disinformativi.
La terza osservazione evidenzia come coloro che promuovono narrazioni ostili sulla migrazione utilizzano i valori di solidarietà in modo efficace e sistematico. «Le storie di discriminazione inversa – aggiunge Neidhardt – cercano di suscitare comprensione per coloro che hanno perso il lavoro o la casa. Questi fatti ispirano sentimenti di solidarietà per i componenti della comunità locale mentre, allo stesso tempo, ne contrappongono le esigenze, come sicurezza e valori tradizionali, contro quelle dei migranti. Chi produce articoli di questo tipo utilizza la leva delle emozioni e dei valori di chi pensa che le proprie preoccupazione non siano prese sul serio. Un meccanismo astuto che serve per allontanare le persone dal dibattito generale e cooptarle in una nuova “comunità di valori”». Questo tentativo di costruire una comunità che la pensa allo stesso modo è rafforzata dalle “echo chambers” (o “camere d’eco”), ambienti virtuali che si creano all’interno di una piattaforma di condivisione online, in cui un utente si trova a visualizzare prevalentemente contenuti coerenti con le sue convinzioni e ideologie e a interagire maggiormente con altri utenti che condividono le sue stesse opinioni. «Purtroppo la maggior parte delle campagne – continua Neidhardt – e delle strategie in favore dei diritti dei migranti continuano a essere quasi esclusivamente basate su valori universalistici, come l’umanitarismo e la solidarietà. In tal modo, danno la priorità ai gruppi progressisti (in che senso? Nel senso che attraggono prevalentemente la loro attenzione? potremmo forse mettere: In tal modo finiscono per attrarre l’attenzione dei gruppi progressisti, trascurando ecc.), trascurando quelli con valori diversi che non condividono la stessa causa. Ma sono proprio queste persone quelle più propense a farsi influenzare e a cercare un luogo in cui “inserirsi”». L’analisi degli articoli rivela che l’informazione è dominata da una discussione polarizzata dove la maggior parte dei messaggi sono o pro-migranti o contrari all’immigrazione. «Ma per rafforzare la resilienza contro la disinformazione – aggiunge Butcher – il target della comunicazione dovrebbe andare nella direzione della via di mezzo, dove le persone più soggette a paure e insicurezze o con più valori conservatori o tradizionali, possano sentirsi ascoltate».
È per questo motivo che lo studio suggerisce tre strade: sviluppare e promuovere narrazioni alternative che possano riformulare il dibattito; ripristinare la fiducia tra gruppi diversi; e infine recuperare lettori che altrimenti potrebbero essere trascinati in posizioni radicali dal tam tam della disinformazione (fig. 3).
«Cambiare la narrazione – suggerisce Butcher – non significa manipolare l’opinione pubblica, ma riequilibrare il dibattito sostituendo i cliché negativi con una visione più oggettiva ed equilibrata del fenomeno migratorio anche per stimolare politiche più inclusive». Un compito delicato che richiede un’attenta pianificazione. Per facilitare questa metodologia lo studio suggerisce una serie di raccomandazioni basate sulle tecniche della comunicazione: messaggio, mezzo e pubblico.
Messaggio
Il messaggio deve mirare a riformulare il dibattito. Far leva sul vissuto del pubblico di destinazione, riconoscendone i valori e le preoccupazioni, ma evitando di amplificare le ansie. La narrazione alternativa, inoltre, deve essere tempestiva e riflettere il ciclo delle notizie. Come un vaccino somministrato a intervalli regolari, messaggi semplici e specifici che suggeriscano la miglior risposta immunitaria contro la diffusione di articoli ostili legati agli immigrati (fig. 4).
Mezzo
Il mezzo deve invece ripristinare la fiducia tra i gruppi. Un lavoro che richiede la collaborazione tra soggetti diversi e che coinvolga, in modo particolare, le associazioni della società civile e gli attori locali, quelli inseriti nelle comunità locali, per diffondere soprattutto negli ambienti più “sensibili” ai messaggi d’odio, una contronarrazione. Bisogna raggiungere le persone “dove stanno”, tenendo in considerazione dove questo tipo di pubblico consuma le informazioni (fig 5).
Pubblico
Gli attori della disinformazione cercano di costruire una comunità di lettori fedeli, allontanando le persone dal dibattito mainstream per spingerle verso posizioni più radicali. Infatti, circa la metà degli italiani (secondo “Attitudes towards National Identity, Immigration and Refugees in Italy” di More in Common) è composta da “moderati disimpegnati”, persone preoccupate per la propria sicurezza o che si sentono dimenticate dalle istituzioni. È determinate quindi trovare un “punto di ingresso” per andare oltre il proprio pubblico e parlare a quei segmenti conflittuali della società che si sentono sottorappresentati ma che potrebbero cambiare le loro opinioni. Questa apertura può essere utilizzata per avviare un dialogo e muovere la discussione verso un terreno comune. L’importante è quindi trovare un equilibrio tra preoccupazioni e valori sociali attraverso una comunicazione onesta, ragionevole che ha a cuore l’interesse del pubblico. Questo può contribuire a ricostruire la fiducia del pubblico “disimpegnato” e rafforzarne la resilienza contro la disinformazione (fig 6).
Infine, lo studio pone l’accento sulla situazione attuale. «In mezzo a una pandemia – avverte Neidhardt – con davanti una recessione economica e una forte preoccupazione per il futuro, gli attori della disinformazione cercheranno con molta probabilità di seminare nuove divisioni e guidare ancora una volta la rabbia dell’opinione pubblica contro i migranti. È quindi urgente prepararsi a rispondere con nuove strategie comunicative per stare al passo con i tempi.
Per approfondire
Leggi la pubblicazione completa
Massimo Flore, Understanding Citizens’ Vulnerabilities (II): from Disinformation to Hostile Narratives. Case Studies: Italy, France, Joint Research Centre, 2020
Anna Masera, “Italy: The Pressure has Eased, but Media Coverage still Fails to Tell the full Migration Story” in “How does the media on both sides of the Mediterranean report
on migration? A study on 17 countries – by journalists for journalists and policy-makers”, International Centre for Migration Policy Development, 2019
Tim Dixon, Stephen Hawkins, Laurence Heijbroek, Míriam Juan-Torres, François-Xavier Demoures, Attitudes towards National Identity, Immigration and Refugees in Italy, More in Common, 2018
Questo è un approfondimento legato al progetto Arte dell’integrazione, ma è anche la quinta puntata di una serie di articoli dedicata al tema della disinformazione:
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quarta puntata Hate speech: come costruire una narrazione alternativa
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terza puntata Disinformazione: il ruolo chiave della società civile
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seconda puntata Infodemia: un decalogo per smascherare le bufale sul Covid-19
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prima puntata Disinformazione: sei azioni da intraprendere per contrastarla