Progetto Territorio Europa e quella “linea” che separa cooperazione e collaborazione
di Tina Miggiano
Coprogettazione è diventata una di quelle parole-ombrello, che coprono esperienze e visioni non univoche, anzi, a volte decisamente diverse tra loro. E che, come spesso succede ai concetti ampi, nella prassi subiscono dei processi di riduzione, o forse sarebbe meglio dire di definizione strutturata per fini di esemplificazione, che li rendono usurati ancora prima che ne vengano esplorate tutte le possibilità.
È con questa riduzione che, a volte, bisogna fare i conti, quando si lavora con gli enti pubblici. Una riduzione importante riguarda le fasi dei progetti di co-progettazione. Ritengo ci sia quasi una linea di confine, un margine importante, tra la fase in cui si definisce il progetto e si inizia ad attuarlo, e la fase subito precedente, che è quella della costruzione del retroterra di relazioni tra i soggetti che dovrebbero essere protagonisti del processo stesso. Questa linea ideale è uno spartiacque di qualità tra il senso di quel “co” e il senso di progettazione. Se la co-progettazione inizia prima della linea, sarà veramente tale, se inizia dopo sarà un processo di costruzione di un partenariato strumentale alla costruzione del progetto.
La linea spartiacque
È la seconda ipotesi quella che si verifica più spesso: l’istituzione lancia un bando per rispondere al quale enti e associazioni organizzano un partenariato, che però corre il rischio di manifestare elementi di debolezza, in particolare perché non c’è un background maturo e le relazioni non sono solide, ma appunto strumentali, dettate dalla necessità e dall’interesse particolare. La ricaduta è che la sostenibilità del partenariato può risultare scarsa: ci si mette insieme per costruire una risposta al bando ma dopo con molta probabilità ci si saluta. Non si aprono sviluppi successivi a lunga scadenza ed è un peccato, perché partenariati veri e durevoli possono essere importanti per lo sviluppo del territorio.
La fase che precede la nostra linea ideale, dunque, è fondamentale: si tratta di operare sulle interazioni e sulla capacità di lavorare insieme e di includere in questo tutti gli attori protagonisti e co-protagonisti, capacità che non è mai scontata, ma si può apprendere e si può migliorare.
La capacità prima su cui si dovrebbe puntare è la capacità di collaborare: se non si sa collaborare difficilmente si può fare insieme una buona progettazione. Ma per fare bene insieme una progettazione si devono presidiare tre elementi, importanti ai fini della costruzione della capacità di collaborare e spesso trascurati nei processi pure validi ma tecnocratici di costruzione di progetti.
- La gestione del tempo
Collaborare implica la disponibilità a impegnare il proprio tempo (riunioni, impegni organizzativi… ce ne vuole tanto). La disponibilità a investire tempo è proporzionale all’interesse reale (l’interesse non può essere solo dichiarato). - La gestione dei luoghi
Collaborare implica individuare dei luoghi e organizzarli perché l’incontro sia fruttuoso. In questa prospettiva è fondamentale il setting con cui si costruiscono i rapporti: occorre cioè individuare metodologie e forme che diano a tutti quanti la possibilità di parlare e di farlo alla pari. Esistono setting di collaborazione tra pari, ad esempio il World Cafè, tra almeno altri dieci che ne verrebbero in mente, che suggeriscono come costruire eventi che, per come sono anche fisicamente organizzati, facilitano l’elaborazione di idee favorendo l’abbassamento dei confini di ruolo: non ci sono “io che parlo e tu che ascolti”, ma siamo tutti insieme attorno a un tavolo tondo. No quindi all’aula magna, sì al caffè preso insieme. - La gestione delle competenze e dei ruoli di ciascuno
Sembra scontato ma non lo è: capita che si lavori su quello che si vuole costruire e non si esplicitino le competenza già acquisite, le risorse che si possiedono e che possono diventare importanti per la co-progettazione. Serve una fase di emersione di tutto questo (cosa che per altro contribuisce a generare processi di riconoscimento e di fiducia su cui però non approfondiamo in questa sede). In sostanza, bisogna sapere che cosa c’è sotto la punta dell’iceberg (cioè sotto il progetto).
La differenza tra cooperare e collaborare
A questo punto avanzo e rilancio una distinzione che da lungo tempo accompagna le mie riflessioni sui processi di progettazione: si tratta di una distinzione quasi semantica tra cooperazione e collaborazione. I due termini non sono sinonimi e, anche se spesso sono considerati tali e usati indifferentemente, oppure si assegna più valore alla cooperazione che alla collaborazione, io penso il contrario.
Cooperare si riproduce in “operare con”, richiama più il fare azioni insieme, fare pezzi di lavoro insieme, fare operazioni insieme ma assumendo che ciascuno operi su una parte di processo.
Collaborare si riproduce in “lavorare con” cioè lavorare insieme, aver premura insieme di svolgere un lavoro e non una singola operazione,conoscere tutto il processo ed esserne tutti protagonisti e responsabili. Collaborare è un processo che inizia prima della linea, in un “prima” in cui si fanno insieme le scelte: si decide insieme come operare, si accetta che ci si sostiene tutti verso il raggiungimento dello scopo: se si inizia dopo la linea si coopera, con un conduttore “forte” che controlla processo. Come abbiamo accennato, è quello che avviene più spesso quando le istituzioni pubbliche avviano una co-progettazione: iniziano dopo la linea, pubblicando un avviso o un bando e dando un tempo breve per rispondere. Così si salta tutta la fase del confronto e del dibattito, che è una fase sicuramente faticosa, ma anche costruttiva, che contiene maggiori risorse di creatività e di innovazione. Le alleanze costruite per rispondere ai bandi sono partenariati di progetto fondati sulla co-operazione, sono utili e funzionali, ma una co-progettazione che sia anche sostenibile e innovativa deve crescere sul terreno lavorato dalla collaborazione.
Una partecipazione inclusiva
La co-operazione è stata, fino ad ora, la prassi abituale anche della Regione Lazio. Lo scorso anno è iniziato il lavoro per adottare – come altre Regioni hanno già fatto – le linee guida per la co-progettazione. Il documento provvisorio (“Dal partenariato pubblico/privato alla coprogettazione per un nuovo welfare generativo e di comunità”, approntato all’Assessorato alle Politiche sociali, sicurezza e sport) prevede che i processi di co-progettazione si articolino in quattro fasi, la prima delle quali riguarda “la selezione del soggetto o dei soggetti con cui sviluppare le attività di coprogettazione”.
Ora, se da una parte è evidente e corretto che un ente pubblico deve dotarsi dei criteri nell’individuazione dei soggetti con cui co-progettare, dall’altra si pone un rischio, cioè che si costruiscano modalità di partecipazione non inclusive, limitate a un certo numero di soggetti “forti”. Pensiamo alle associazioni di volontariato: tutte sono soggetti portatori di interessi, ma alcune sono più “deboli”: per vari motivi non sempre riescono prendere voce, ad esprimere il proprio parere, il proprio punto di vista, la propria proposta. Altre sono più forti perché già accreditate, riconosciute come “esperte”. Il rischio è che solo le seconde abbiano diritto di parola e vengano ascoltate e che non ci sia la possibilità di crescere per altri soggetti, che invece sono risorse importanti per il territorio e possono essere elementi di innovazione. Ciò che va fondato su un buon sistema di accreditamento, anche con criteri stringenti, è la fase di gestione dei servizi – che richiede requisiti precisi – ma non sarebbe corretto negare ad alcuni l’opportunità di esprimere la propria posizione di soggetto presente e attivo sul territorio.
I Laboratori per imparare a progettare
In questo quadro – cioè avendo da una parte istituzioni pubbliche che puntano più al partenariato che alla co-progettazione, e dall’altra un grande numero di associazioni poco attrezzate per entrare in processi di vera co-progettazione – il Cesv (Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio) ha sviluppato il progetto “Territorio Europa” i cui obiettivi sono:
- aiutare le organizzazioni di volontariato e il Terzo settore ad affrontare costruttivamente la programmazione europea 2014-2020, superando le difficoltà che impediscono loro di accedere alle opportunità e alle risorse;
- promuovere e far crescere sul territorio alleanze e partenariati strategici fra le diverse realtà del Terzo settore, dell’imprenditoria e degli Enti Locali, non solo per adempiere alle necessità connesse alla progettazione, ma per utilizzare le risorse disponibili in un’ottica di sviluppo locale;
- leggere le esigenze e le risorse presenti nei diversi territori della Regione, per elaborare un’ipotesi di trasformazione locale, che metta insieme le opportunità presenti ed i finanziamenti possibili, provenienti da diverse fonti ad iniziare da quelli previsti dall’UE.
Centrale per il progetto quindi è l’idea che le reti di collaborazione sono necessarie non solo in senso strumentale (accedere ai fondi stanziati attraverso i bandi), ma soprattutto per lo sviluppo del territorio, che ha bisogno di una capacità progettuale ampia e stabile nel tempo. L’obiettivo a lungo termine è arrivare a una progettazione strategica locale, definendo un vero e proprio Piano di sviluppo territoriale da promuovere localmente. Per questo la spina dorsale del progetto sono i Laboratori territoriali: luoghi di incontro, confronto, analisi dei bisogni del territorio, elaborazione di proposte, ma soprattutto di costruzione di reti stabili. Dove insomma si fa tutto quel lavoro che viene prima della famosa linea di confine. E dove, anche, si attrezzano le associazioni e gli enti “deboli” e si acquisiscono le competenze per lavorare insieme. Gli otto Laboratori hanno fino ad ora coinvolto circa duecento associazioni ed enti di Terzo settore e hanno vinto per ora quattro bandi europei attraverso la programmazione regionale.
Se gli enti pubblici non prendono il caffè con il volontariato
Il risultato vero però non sta nel numero dei bandi vinti, ma nello sviluppo delle capacità di co-progettazione da parte del territorio e per il territorio, quelle stesse capacità che possono produrre sì progetti finanziabili, ma anche progettualità sostenibili perché sostenute dalle comunità che le hanno progettate. Il limite più grosso è che, nonostante i Laboratori fossero pensati anche per coinvolgere gli enti pubblici, questi non si sono resi disponibili. La frase tipica che spesso si sente quando si interloquisce con taluni di loro è: “Interessante, teneteci informati”. Eppure anche a loro e proprio a loro sarebbero utili. Alla Regione, che troverebbe finalmente un luogo di dialogo continuativo, ma anche alle diramazioni periferiche – alcuni Comuni soprattutto – che rimangono spiazzati quando la Regione nei bandi impone la collaborazione con il Terzo settore e non hanno sviluppato relazioni o sperimentato modalità di collaborazione con esso. Talvolta si incrociano Comuni che su questo tema non si sono attivati, e non solo non collaborano, ma neanche cooperano. Insomma, da una parte abbiamo un associazionismo abituato – anche troppo – a riunirsi e dibattere, anche se a volte è tecnicamente poco competente sulla progettazione; dall’altra gli enti locali periferici, che non hanno sviluppato competenze di collaborazione; in mezzo la Regione che ha sposato invece la linea della cooperazione. Uno degli obiettivi del progetto Territorio Europa è mettere tutti allo stesso tavolo per prendere il caffè insieme.
Co-progettare non vuol dire gestire
Prima di concludere, vorrei puntualizzare un altro tema, che si riaggancia a quello dei soggetti “deboli” nella progettazione. Nel Terzo settore, molti sostengono che non è compito del volontariato gestire i servizi e che quindi esso non ha un ruolo nei processi di co-progettazione avviati dagli enti locali. Condivido la prima parte dell’affermazione, ma non la seconda. È vero infatti che, attualmente, in genere chi progetta prima, poi gestisce anche. Ma non è detto che debba essere così. Il volontariato ha caratteristiche da cui discendono potenzialità importanti: ad esempio una capacità di lettura in tempo reale del territorio, di osservazione immediata che integra e a volte dà senso ai dati raccolti; una capacità di inventare risposte ai bisogni che avviano innovazione. Per questi motivi può partecipare ai processi di co-progettazione, anche se poi non gestirà direttamente i servizi, così come può anche partecipare alla valutazione. In fondo, il partenariato non è una equiparazione dei ruoli, ma una integrazione tra soggetti complementari. Anche per questo il paziente lavoro dei Laboratori territoriali del progetto Territorio Europa ha un senso. In fondo, attraverso Territorio Europa è come se il Cesv avesse arato il terreno per una vera co-progettazione. I laboratori hanno costruito il tavolo, con la speranza che gli enti pubblici decidano di sedervisi per bere il caffè insieme. Fino ad ora, nel Lazio, abbiamo visto molte volte attivarsi azioni di consultazione. È vero che quando i numeri sono altissimi (solo le associazioni iscritte all’Albo regionale sono 2000) è difficile organizzare la partecipazione e potrebbe sembrare più efficiente diffondere un documento su cui si chiedono i contributi. Ma lo sviluppo del territorio chiede vera co-progettazione e che tutte le parti coinvolte si attrezzino e si rendano disponibili.
(Tratto da numero 3 di Vdossier anno 2016)