Reinventarsi per sopravvivere. Tante associazioni a un bivio: più entrate e tagli alle spese
La pandemia è uno spartiacque tra presente e futuro per piccole e medie realtà. Ecco una roadmap per ripensare identità, mission, gestione delle risorse e impatto sulla comunità
di Paolo Marelli
Nei settanta giorni in cui il Coronavirus ha fermato il motore dell’Italia, la macchina del volontariato ha schiacciato sull’acceleratore della solidarietà. Agili, veloci, flessibili e creative: le associazioni del non profit sono scese sulla linea del fronte per dare risposte ai nuovi, pressanti bisogni imposti dal contagio. Dalla consegna porta a porta di cibo e medicinali alle persone vulnerabili, alla rapida riconversione online di servizi, fino alla messa in rete di iniziative culturali in streaming: lo scatto del Terzo settore ha tenuto il passo di un contagio galoppante da Nord a Sud della penisola. Eppure, se la fase di reazione all’emergenza pandemia può considerarsi “missione compiuta”, nuove sfide si affacciano all’orizzonte per il volontariato. Perché, per sopravvivere e riemergere in un mondo radicalmente trasformato, le realtà del non profit dovranno intraprendere una maratona decisionale che le accompagni, in una prima tappa, alla piena ripresa dagli effetti della pandemia e, in una seconda, nell’ingresso nella nuova realtà post-coronavirus. In questo percorso in salita, lastricato di ostacoli ma anche di opportunità da cogliere, la bussola che dovrà orientare le associazioni sarà la loro capacità di guardarsi allo specchio, di fare un bilancio delle proprie attività rivalutando mission, obiettivi, strategie e impatto sociale, così come ricalibrando i propri modelli di sostenibilità economica.
«That’s a pretty tall order», ripete il professor Paul Palmer agli studenti della Cass Business School di Londra, santuario dell’economia e della finanza dove si insegna l’arte del profit ma si mastica anche tanto non profit. Un’impresa ardua, dice, poiché richiede uno sguardo costantemente rivolto al medio e lungo periodo che sembra impossibile da concepire quando il volontariato è assalito da imprevisti pressoché quotidiani, richieste urgenti da soddisfare, esigenze finanziarie a cui far fronte nell’immediato. Senza dimenticare l’incertezza che avvolge il futuro. Eppure, quest’impresa non solo è possibile. È vitale per la sopravvivenza delle associazioni stesse. Così, se rimboccarsi le maniche è stato il primo comandamento della solidarietà durante il picco della pandemia, reinventarsi sarà la parola d’ordine che si affiancherà nel post-isolamento. Questa combinazione, un miscela equilibrata del “fare” in prima linea al servizio degli altri e del “pensare” nel dietro le quinte alla nuova architettura della propria realtà, sarà la chiave grazie alla quale il mondo del non profit avrà garantito l’accesso al futuro. «Questo è il tempo di concentrarsi sugli obiettivi solidali delle organizzazioni di volontariato oggi, come nel medio e nel lungo periodo. I leader e il management delle associazioni devono avere una chiara visione della direzione verso cui la propria realtà sta andando, così come devono mantenere fissa l’attenzione sull’impatto sociale che essa vuole continuare ad avere sulla comunità di riferimento», dice Alex Skailes, direttrice del “Centre for Charity Effectiveness” della Cass Business School. Un invito che ha avuto subito eco al di là dell’Atlantico e in Europa, al punto che una schiera di hub di ricerca ed enti di consulenza leader nel settore del volontariato si sono messi all’opera.
Ma come fare a concentrare l’attenzione su stessi, sulla propria mission e sull’impatto sociale delle proprie attività quando la pandemia ha eroso ulteriormente le riserve economiche delle associazioni e reso il tessuto sociale ancora più fragile? La risposta è univoca: occorre fare un bilancio. I conti, certo. Ma non solo. Perché, da una parte, è necessario assicurarsi che la propria organizzazione continui a erogare servizi nel breve periodo, grazie ad azioni di conservazione della liquidità, taglio delle spese, dilazione dei pagamenti, accesso a fondi di emergenza e affidamento a programmi di donazioni già avviati. Dall’altra, però, bisognare sottoporre la propria associazione a una radiografia completa, lasciando anche spazio a una sana dose di autocritica: dal ripensare la propria identità al rifocalizzare la propria missione, dall’esplorare innovative strategie di collaborazione all’individuare priorità di ieri, oggi non più al passo con i tempi del dopo covid. Infine, prevedere una roadmap così da centrare questi obiettivi garantendo loro una solida sostenibilità economica.
Impatto sociale: perché fare ciò che si fa?
Questa è la prima domanda che le associazioni dovranno porsi, se vorranno abbracciare il cambiamento. «Il mondo del non profit esiste proprio per avere un impatto su un territorio, una comunità, un target specifico di persone», spiega Steve Zimmerman, consulente e autore insieme a Jeanne Bell e Jan Masaoka del libro “Nonprofit Sustainability: Making strategic decisions for financial viability” e ideatore di un manifesto in quattro pilastri (impatto, persone, risorse e comunità) per aiutare le realtà del Terzo settore a sopravvivere alla crisi. Secondo questa “ricetta”, pubblicata sul sito della rivista “Harvard Business Review”, il primo passo da compiere per re-immaginare la propria associazione è definire chiaramente ciò che si vuole essere e di quale cambiamento si voglia essere portatori. L’effetto della pandemia è stato dirompente, eppure, le scosse di assestamento del terremoto, sono state avvertite in modo disomogeneo da associazione ad associazione. Per alcune realtà, c’è stato un boom di richieste di aiuto e un aumento vertiginoso dei servizi erogati, mentre per altre la domanda è calata ai minimi termini, tanto da minacciarne la sopravvivenza stessa. E ancora, per alcune organizzazioni, le norme di distanziamento sociale hanno avuto un effetto tsunami su attività e programmi. Per altre, sono state il propulsore di un processo di digitalizzazione rimasto troppo a lungo sulla carta. Ecco perché avviare un percorso di riflessione per ridefinire obiettivi e priorità è una tappa miliare se si vuole entrare con il piede giusto nella “nuova normalità” (new normal per gli angolsassoni ndr.).
Nella radiografia a cui il Terzo settore sarà chiamato ad autosottoporsi, le domande da rivolgersi dovranno essere quanto più specifiche possibili, così da generare risposte mirate e aderenti al contesto. Eccone alcune, suggerite da Zimmerman: «Se la nostra associazione dovesse chiudere i battenti, a chi importerebbe e perché?»; «Qual è la differenza che la nostra realtà sta cercando di fare per la sua comunità di riferimento?»; «Chi è il nostro target di riferimento?»; «Quale impatto questa categoria di persone si aspetta dall’operato della nostra organizzazione?». Una rosa di interrogativi che l’esperto suggerisce di sottoporre tanto al board dell’associazione, quanto a staff, volontari e a un pubblico esterno, «così da sviluppare una serie di discussioni che abbia in dati concreti e una molteplicità di voci le sue fondamenta». Non solo. Sondaggi, focus group e report saranno anche un tassello importante nel risolvere il rebus che riguarda la rivalutazione dei programmi e la messa a punto della scaletta delle priorità. «Affinché – osserva a questo riguardo Skailes – le associazioni cambino pelle, dimostrandosi flessibili e capaci di adeguarsi al cambiamento, è di vitale importanza che valutino le attività che vanno protette e salvaguardate nel mondo del dopo covid, dando loro priorità rispetto a quelle che devono essere momentaneamente accantonate o ripensate perché non più allineate alla nuova realtà». Un approccio basato su risultati e azioni condiviso anche dal “Center for Community Investment” di Washington (Stati Uniti) che ha elaborato una strategia articolata su cinque aree di intervento per supportare i community leader a riorientarsi tra nuove e vecchie urgenze. Primo raggio d’azione: considerare quale sia la priorità attuale, che è probabile resti tale nell’immediato futuro. Secondo raggio d’azione: necessità emergente o già esistente ma a cui assegnare nuova precedenza per via della pandemia. Terza area d’intervento: programmi da mettere in pausa oppure riprendere quando la crisi è finita, sia perché non fattibili in questa fase post lockdown, sia perché serve dar spazio ai neonati bisogni. Il quarto settore è l’“incognita” e concerne i programmi o i progetti su cui non è possibile pronunciarsi in termini di tempo e scala di priorità. Infine, la scelta più difficile: salutare con onore il piano di intervento non più attuabile in quanto la nuova realtà lo rende impossibile da concludere.
Sostenibilità economica: come finanziare ciò che si fa?
Affinché i loro progetti possano avere l’impatto desiderato sulle comunità, le associazioni non profit hanno bisogno di essere economicamente sostenibili. Come? Attraverso un bilancio solido, con entrate preventivabili e affidabili, spese in linea con l’ammontare degli introiti, così come sufficiente liquidità a disposizione per coprire l’attività di routine ed eventuali spese urgenti. La crisi causata dal contagio del Coronavirus ha, però, sparigliato le carte in tavola: a fronte di un aumento esponenziale della domanda di servizi, c’è stato un crollo verticale di entrate in alcuni comparti del Terzo settore. Risultato? Un’emorragia di entrate nelle casse delle associazioni che rischia di minarne le fondamenta stesse. Eppure, nonostante l’incertezza che aleggia, ci sono alcune azioni che possono essere subito tradotte in pratica dalla classe dirigente del Terzo settore, così come suggerisce un articolo pubblicato sul sito della Stanford Social Innovation Review, la rivista trimestrale sull’innovazione sociale della californiana Stanford University. Il primo è uno sguardo sull’oggi: «Bisogna analizzare la situazione attuale e concentrarsi su domande come: “Quali sono i costi operativi mensili?”; “Quanta liquidità c’è in cassa?”. E ancora, è indispensabile considerare la diversificazione dei donatori. Anche se adesso potrebbe non essere il momento per cercare nuove sovvenzioni, è comunque rilevante valutare il grado di abilità dell’organizzazione nel fare affidamento su molteplici flussi di finanziamenti, così come l’incidenza economica delle risorse provenienti dalle donazioni». Questo, secondo l’articolo della Stanford Social Innovation Review, permetterà alle associazioni di avere il quadro della situazione ben chiaro qualora una considerevole fonte di introiti dovesse far venire meno il suo aiuto come effetto dell’emergenza Covid-19.
Un secondo aspetto, improntato però a un orizzonte temporale più lungo, concerne la formulazione di piani di scenario finanziario. «Nessuno può sapere cosa il futuro ci riservi, ma avere in tasca una strategia che delinei il migliore e il peggiore scenario finanziario, al pari di quello più prevedibile, è uno strumento che senza dubbio aiuterà le realtà del non profit a essere pronte a reagire qualora si verificasse uno dei tre scenari ipotizzati».
Un terzo aspetto si focalizza sul coinvolgimento di donatori e stakeholders: «Bisogna assicurarsi che questi ultimi siano consapevoli dei bisogni dell’associazione. E, a sua volta, l’organizzazione li deve coinvolgere in una franca discussione sui loro progetti e le loro intenzioni. In questo modo l’organizzazione potrà prevedere, con un margine di errore minimo, l’ammontare dei flussi economici in entrata nelle sue casse. Allo stesso modo, nel tentativo di prevedere eventuali minori introiti nelle tasche dell’ente (come nel caso di guadagni provenienti da vendite di biglietti per eventi, tariffe su servizi erogati o quote associative), sarebbe opportuno che le realtà del non profit si rivolgessero direttamente ai loro membri o ai fruitori dei loro servizi per capire se, e in che modo, abbiano intenzione di rapportarsi all’organizzazione nei mesi futuri. A questo proposito, parecchie associazioni stanno riscontrando una buona risposta alla richiesta (rivolta ai loro membri o fruitori di servizi) di dirottare i proventi di servizi già pagati ma mai effettuati per via del lockdown a programmi da mettere in campo in questa fase di post emergenza». Secondo alcune società di consulenza americane per il non profit, questa fase di crisi potrebbe anche rivelarsi una miniera d’oro di opportunità per ripensare interamente l’architettura delle associazioni sul fronte dei bilanci. Un esempio? Esplorare tanto la via di ristrutturazioni strategiche, quanto l’ipotesi di fusioni mirate con altre associazioni. «Questo permetterebbe, da una parte, di aumentare la solidità finanziaria delle realtà coinvolte, ma anche di amplificare l’impatto della solidarietà sulle comunità di riferimento, così come implementare servizi e rendere più efficiente la macchina operativa», è la sintesi degli esperti in fusioni nell’ecosistema del non profit. O, ancora, valutare cessioni di quote. O, in alternativa, dare spazio a nuove forme di collaborazione. Oppure, infine, aprirsi all’idea di avere un portafoglio diversificato di attività così da poter contare su differenti fonti di introiti. Anche nel settore delle finanze, insomma, la strada del “pensare creativo” può essere percorsa su più direttrici. Anche se, come avverte Zimmerman, c’è sempre una regola d’oro da seguire: «In tempi di crisi, ciò che aiuta le associazioni del Terzo settore a sopravvivere sono relazioni autentiche e profonde con partner fidati. Nel momento in cui le organizzazioni si reinventano, rimodulando mission e piano di intervento, è di capitale importanza che ricavino il tempo per coltivare questo tipo di relazioni. Per essere finanziariamente sostenibili, a dispetto di ciò che riservi il futuro, le organizzazioni devono investire in strategie di raccolta fondi che siano cementate su queste relazioni».
Obiettivi da centrare: come sostenere ciò che si fa?
Velocità nell’adattarsi al cambiamento, predisposizione alla collaborazione, slancio tecnologico, leadership solida ma aperta al dialogo con il proprio staff, buone pratiche di governance saranno linfa vitale per le associazioni e nutrimento per le attività ad alto impatto sociale nel mondo che il contagio da Coronavirus ci ha lasciato in eredità. Per questo, secondo l’americano Zimmerman, persone e comunità sono due pilastri centrali su cui fondare il processo di riconfigurazione delle organizzazioni non profit nell’immediato futuro. «Re-immaginare la propria associazione significa anche cogliere a piene mani l’opportunità di costruire una realtà della solidarietà che sia inclusiva e variegata nella sua pluralità di voci, capace di essere genuinamente allineata ai bisogni del suo personale e dei beneficiari dei suoi servizi», afferma nell’articolo scritto sull’Harvard Business Review. Per questa ragione, nel suo manifesto in quattro punti, Zimmerman invita il non profit a non calare dall’alto modelli di ripensamento della mission o delle strategie d’impatto sociale, ma di allargarle a un’ampia base di interlocutori. «Chi deve essere coinvolto?», «In che modo il nostro staff può avere voce in questo processo di cambiamento?»; «Il nostro management è davvero sintonizzato sulle esigenze della nostra squadra di lavoro e delle persone che gravitano intorno all’associazione?» «Il board è pronto all’ascolto e alla discussione?» sono tutte domande da cui partire per assicurarsi che ogni persona possa dare il proprio contributo. «Se tutte le persone coinvolte a vario titolo nell’organizzazione avranno voce nel plasmare il successo e l’impatto della realtà stessa, allora il risultato sarà un ecosistema solidale più coeso e resiliente, più attrezzato a reagire di fronte a nuove crisi».
Questo è anche il momento per valutare quali siano le capacità o i punti di forza che il proprio staff deve avere per essere operativo, efficace ed efficiente nel momento in cui si registri un cambiamento di passo. «Le abilità richieste dal dopo pandemia collimano con quelle su cui il nostro staff può contare?». Se così non fosse, «dove sono le lacune?». «Identificare ciò che manca rappresenterà il trampolino di lancio per arricchire il personale di competenze. A quel punto, il beneficio di questa formazione professionale continua ricadrà anche sulle associazioni stesse», è la tesi sostenuta nell’articolo dell’Harvard Business Review. Nella scala di priorità delle competenze, l’abilità tecnologica è destinata a scalare la vetta della classifica, a maggior ragione dopo la riconversione online di attività e servizi.
Secondo una ricerca (“Nonprofit Trends Report”) svolta da salesforce.org a febbraio di quest’anno, quando il contagio non era ancora dilagato a macchia d’olio, la stragrande maggioranza delle organizzazioni intervistate (85% di un campione di 725 leader del non profit) era ben consapevole di quanto la tecnologia fosse una risorsa fondamentale per il successo della propria associazione, ma meno di un quarto (il 23%) aveva sviluppato un piano strategico di interventi che contemplasse idee e modalità per sfruttare la tecnologia a vantaggio della propria realtà. In una manciata di mesi, però, tutto è cambiato. L’effetto domino del contagio ha costretto il Terzo settore ad adattare numerosi dei suoi programmi e delle sue attività online, costringendo anche gli scettici a non sottovalutare più l’importanza del digitale “nel fare il bene”.
La stragrande maggioranza (85%) delle organizzazioni non profit intervistate ha affermato che la tecnologia è la chiave del successo delle proprie organizzazioni
(Fonte: salesforce.org “Non profit trends report – febbraio 2020)
Dalle persone alla comunità. Per guardarsi allo specchio, gli angeli della solidarietà non potranno prescindere dal porre sotto la lente d’ingrandimento il territorio in cui operano e la comunità che li circonda. C’è da considerare, in primo luogo, chi siano le persone che beneficiano delle attività solidali messe in campo («Come si sono trasformati i loro bisogni nell’era post Covid?»). Poi c’è da prendere in esame la “rete” dei propri donatori. In terzo luogo, le attività delle altre organizzazioni di volontariato sul territorio («Chi altro, nella comunità, si occupa di rispondere ai bisogni dello stesso target di beneficiari e in che modo questa attività si sovrappone a quella della nostra organizzazione?»; «Sarebbe possibile unire le forze per creare un maggior impatto sul territorio?», oppure «Trovare una via per diversificare il proprio operato?»).
Rispondere a questo tipo di quesiti è diventato oggi più che mai strategico per il Terzo settore. Al punto che sulla consapevolezza di un cambio di rotta, la convergenza di leader ed esperti del non profit è massima, da un capo all’altro del globo: «La devastante natura della crisi attuale sta costringendo il volontariato a re-immaginarsi e ripensarsi, in un processo tanto travolgente e sofferto quanto ricco di opportunità e nuove prospettive per l’intera rete della solidarietà».
Vdossier
articolo tratto da
“Tempo di bilanci. Reinventarsi per sopravvivere. Tante associazioni a un bivio: più entrate e tagli alle spese”
Vdossier numero 1 2020
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.