Relazione di missione: chiave del legame con il contesto
di Marta Moroni, responsabile comunicazione CSV Milano
Il processo di produzione del documento come leva per costruire fiducia
La Relazione di missione (modello C degli schemi di bilancio pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 18 aprile 2020) è lo strumento scelto dal Governo affinché un ente possa illustrare il legame inscindibile tra il suo investimento economico e strumentale e i risultati delle azioni messe in campo per raggiungere le finalità di interesse generale.
Nell’articolo Relazione di missione: cerniera tra investimento e risultato abbiamo approfondito come questo strumento risponda al fondamentale principio della trasparenza, sia dal punto di vista normativo sia da quello sociale, che deve essere applicato come “lente” nel comporre il contenuto del documento.
Se consideriamo la Relazione di missione come un contenitore di informazioni che rispondono al principio normativo non dobbiamo dimenticare che le medesime sono, nel contempo, anche il risultato di una serie di processi interni all’ente. Quindi le modalità con le quali l’organismo individua i dati e le relazioni necessarie alla costruzione del documento sono determinanti per il risultato finale.
D’altra parte l’ente è un soggetto composito, che si basa su una fitta rete di relazioni, che vive grazie al contributo di un sistema articolato di competenze, di strumenti, di processi di lavoro, che concorrono a un medesimo obiettivo di cambiamento. In quest’ottica il contesto, interno ed esterno, è una componente fondamentale dell’identità dell’ente. È un’antenna che ne fornisce letture e interpretazioni, è un interlocutore che ne condiziona strategie e azioni, è il destinatario del cambiamento ricercato e ne recepisce effetti e impatto.
La Relazione di missione, ma così qualsiasi documento che abbia l’obiettivo di rendicontare, e cioè rendere conto di ciò che siamo, facciamo, modifichiamo, rappresenta quindi non solo un semplice assolvimento normativo, ma il risultato di quella tensione al raggiungimento degli scopi del nostro ente.
La trasparenza – come abbiamo visto nel precedente articolo – è una componente fondamentale per una cultura organizzativa capace di orientare le strategie e i comportamenti operativi verso il raggiungimento della missione, in un quadro di coerenza con i valori e i principi dell’ente e le aspettative delle persone che partecipano ad esso.
La costruzione di un rapporto fiduciario tra le diverse anime che compongono la vita di un ente è il motore della trasparenza e della partecipazione ad esso. Ne determina la qualità del modo di calarsi nel contesto, interno ed esterno all’ente, offrendo la prospettiva di una collaborazione virtuosa tra soggetti che hanno il fine di portare un comune cambiamento nella società.
Gli strumenti di partecipazione alla rendicontazione
Cristiana Rogate, presidente e fondatrice di Refe – Strategie di sviluppo sostenibile -, ci suggerisce alcune azioni che concorrono al coinvolgimento di tutti i livelli di responsabilità degli enti nella costruzione dei documenti rendicontativi.
La prima è quella di avviare delle analisi partecipate: momenti di confronto rivolti all’interno e all’esterno per effettuare un “esame di realtà” condiviso su come l’ente interpreta la sua missione, la traduce in obiettivi strategici e misura il cambiamento prodotto sui destinatari diretti e sul contesto in cui opera. Questa analisi permette di integrare punti di vista altri rispetto a quello dell’ente, o, addirittura, del solo operatore che ha il compito di stilare la rendicontazione. Il coinvolgimento della comunità interna ed esterna contribuisce a costruire fiducia e produce, al tempo stesso, contenuti credibili e verificabili ai fini della Relazione di missione, perché “fare un bilancio” veritiero e utile – in chiave sia consuntiva che programmatica – richiede l’apporto dei diversi soggetti corresponsabili del perseguimento della missione sociale.
Le analisi partecipate possono essere realizzate in molti modi a seconda del contributo che interessa raccogliere: possono essere focalizzate su un aspetto particolare dell’ente, identitario o operativo; realizzate in presenza oppure con domande stile questionario, o ancora con chiacchierate telefoniche o on line; possono essere strettamente guidate oppure più libere; rivolgersi a interlocutori selezionati o meno; a gruppi omogenei oppure eterogenei.
Quello che è determinante è definire bene l’obiettivo e il risultato che interessa ottenere dall’analisi partecipata e preparare il “terreno relazionale” in modo da predisporla nella modalità e con gli strumenti più adatti.
Il secondo strumento – che Rogate segnala – è legato al processo di restituzione dei contenuti: se e quando i contenuti sono restituiti in modo diversificato a seconda degli interlocutori, allora ciascuno di loro troverà quanto di sua pertinenza e sarà interessato a esplorarli. “Senza conoscenza non c’è fiducia”. La conoscenza quindi favorisce una relazione di senso, un mutuo apprendimento e una partecipazione informata di chi ci sta intorno, elementi indispensabili per far nascere una vera e propria interazione, un dialogo che è più costruttivo quanto più basato sulla fiducia e sulla trasparenza reciproci. Il documento della Relazione di missione, quindi, diventa strategico nel momento in cui non solo risponde alle esigenze normative di collettore di informazioni, ma le organizza e le rappresenta in modo che siano fruibili per diverse tipologie di interlocutori, offrendo una base su cui esprimere valutazioni consapevoli in una logica costruttiva e di miglioramento continuo.
Dopo aver approfondito quanto il principio di trasparenza sia determinante per rinforzare la valenza strategica della Relazione di missione e, ora, aver delineato l’importanza di costruirla tramite processi inclusivi e partecipativi, con il prossimo articolo metteremo a disposizione spunti operativi per impostare il lavoro in ciascun ente.