Strategia anti-fuga. Puntiamo sugli under 25: un patentino sociale per le leve del futuro
Guido De Vecchi (Ledha), propone moderne soluzioni per incentivare le nuove generazioni ad avvicinarsi al volontariato
Milano, maggio 2010 – “Cervelli” in fuga, anche nel volontariato. Lo dice il termometro sociale, quello che misura la febbre dei mercati post-crisi economica e i suoi effetti sulla società. Ma lo testimonia anche un protagonista del non profit che da anni si occupa, nel Milanese, dei problemi delle persone con disabilità. Guido De Vecchi, infatti, è il presidente dell’Associazione Famiglie Persone Disabili di Rozzano (Milano), è membro di “Ledha”, la Lega per i diritti delle persone con disabilità, e consigliere di Ciessevi. E lancia un allarme: «Nel nostro Paese, la crisi economica sta strappando ogni speranza professionale ai giovani, costretti a rifugiarsi all’estero per proseguire gli studi o trovare un impiego. Questo induce le associazioni di volontariato che potevano contare su nuove leve a rinunciare a una risorsa preziosa per la loro attività».
E il calo dei giovani volontari non sembra arginarsi: «Con questo buio economico che ci avvolge – spiega De Vecchi – i giovani non sanno più da che parte andare. E nella maggior parte dei casi scelgono di alzare lo sguardo al di fuori dei confini italiani, per partecipare a corsi universitari o a scambi culturali attraverso i progetti Erasmus. Lasciando casa e le attività che qui praticano, dallo sport ai momenti in cui si dedicano agli altri. Questo provoca un vuoto insostituibile nella nostra rete di associazionismo».
Proprio per centellinare questa fuga, De Vecchi propone nuove soluzioni per “coccolare” le nuove generazioni di volontari e incentivarle ad avvicinarsi al mondo del non profit: «Bisognerebbe – è la sua idea – garantire ai giovani che fanno volontariato dei benefit, una sorta di riconoscimento sociale per l’attività che svolgono». Un bonus, insomma, un incentivo per chi si prende cura degli altri all’interno di un’associazione o di una realtà assistenziale strutturata. E su come realizzare concretamente queste idee, l’esponente di Ledha abbozza già alcuni contenuti: «Sarebbe corretto – fa un esempio – che chi ha l’incarico di amministratore di sostegno volontario sia dotato di un tesserino che gli permetta, per esempio, di evitare le code all’Asl ». De Vecchi non lo reputa «un gesto clientelare, ma un semplice attestato che riconosce il ruolo civico svolto dal volontario».
Anche perchè il volontariato, a suo avviso, è «il più alto impegno “politico” del cittadino». «Spesso vengono pubblicate delle ricerche – chiarisce – in cui il volontario è dipinto come un frustrato, come una persona che si rifugia in questo mondo per carenze personali, affettive o psicologiche che siano. Ritengo che questo atteggiamento sia profondamente offensivo e privo di ogni fondamento».
Chi si dedica ai più bisognosi svolge un ruolo importantissimo, secondo il presidente dell’associazione di Rozzano, «A differenza dei politici che si occupano di amministrare il bene pubblico in termini economici, noi ce ne occupiamo in termini culturali e di relazione con le persone». E se davvero il volontario riveste un ruolo primario nella società, allora «bisogna trovare delle formule per fare in modo che le persone si sentano onorate di fare i volontari». La strada del bonus, secondo De Vecchi, è una di quelle più percorribili, anche se si tratta «di una grossa operazione culturale, che necessita l’appoggio dei vari livelli istituzionali. Altrimenti queste proposte restano delle gocce nel mare».
Ma per portare nuova linfa al volontariato è sempre più vitale che la galassia delle sue associazioni si mettano in rete. «Dobbiamo contrastare l’autocelebrazione – ammette – e lavorare di più per la rete, più che l’eccellenza è bene alzare l’asticella della normalità nei nostri territori». Fare squadra diventa dunque la parola d’ordine. «Sapere di far parte di una comunità più grande aiuta e dà la forza per andare avanti nelle battaglie sociali». In primis, nell’accaparrarsi i finanziamenti: «Le associazioni – è l’invito di De Vecchi – devono unire le proprie forze per raccogliere fondi su cause comuni». Il modello – per l’Italia ancora lontano – è quello della Gran Bretagna, dove esistono le Community Foundation, cioè fondazioni di comunità che raccolgono fondi attraverso progetti realizzati in collaborazione tra soggetti pubblici e privati. De Vecchi denuncia che «a Milano non esiste nulla di tutto questo. Nonostante la mia esperienza ormai trentennale nel Terzo settore, non ho mai visto mettere a punto una campagna che metta in rete tutte le associazioni che hanno a cuore una determinata questione». E se questo avviene è anche “per colpa” della proliferazione smisurata di nuove realtà che si occupano di volontariato: «Paradossalmente era più semplice in passato, quando esistevano poche ma grosse associazioni specializzate ciascuna in un ambito, dalla famiglia ai minori, alle persone con handicap». Di fronte a questa “segmentazione”, De Vecchi sollecita «una riflessione approfondita e comune sul tema della raccolta fondi».