Terzo settore e Coronavirus: tra resilienza e stand by
Molti enti del Terzo settore durante la pandemia hanno reagito all’emergenza riadattandosi. Insieme ai gruppi informali hanno risposto a bisogni e sono stati vicini alle fasce più deboli della popolazione. Alcuni hanno collaborato con aziende ed enti pubblici per sostenere le comunità locali.
L’attivismo legato alla pandemia è stato diverso a seconda dei contesti, dal piccolo territorio metropolitano alla città, ma alcune dimensioni sono state comuni: la raccolta fondi per il soccorso in emergenza, le forniture mediche e le attrezzature per gli ospedali locali; il sostegno e l’aiuto a coloro che si trovavano soli o senza forme di protezione sociale. Numerose iniziative sono scaturite da contesti informali, come vicini di casa o abitanti dello stesso quartiere, mettendo in evidenza una solidarietà diffusa prima non visibile.
Eppure la crisi economica conseguente alla pandemia colpirà gli enti non profit e ancora non siamo in grado di stabilire come. Di sicuro il calo delle entrate ha accelerato un aumento dell’attivismo informale rispetto a quello formale. Alcuni gruppi, che hanno dovuto ridimensionare le loro attività, ora potrebbero avere serie difficoltà a riprendersi, come confermato dalla ricerca di CSVnet Lombardia “Le Organizzazioni di Terzo settore, gli ETS e l’emergenza Coronavirus”, dove risulta che nel territorio metropolitano di Milano l’80% degli enti ha continuato a svolgere le proprie attività ordinarie modificandole in parte (54%) o totalmente (26%), mentre il 20% le ha interrotte totalmente.
Tipologia di ente che ha risposto al questionario in valori percentuali
Ripensarsi per rispondere all’emergenza: l’associazionismo che non si è fermato
Le risposte confermano che le attività più penalizzate dalle misure di distanziamento fisico in questi mesi sono state quelle relative a formazione, educazione e cultura.
In parte questo è dovuto al deficit noto di utilizzo dell’ICT (Information and Communication Technologies) nel Terzo settore, anche se alcuni, al contrario, lo hanno improvvisamente integrato ed è stata l’unica modalità per tenere in vita alcuni servizi con i propri utenti. La mancanza di device e di competenze di utilizzo però, si è visto non essere solo un limite delle organizzazioni: anche i fruitori che appartengono alle fasce più deboli della popolazione hanno faticato a utilizzare la tecnologia proprio perché meno strutturati per il possesso o l’impiego. Questa doppia complessità è all’origine delle difficoltà nel portare avanti queste attività.
Enti che hanno realizzato attività in risposta all’emergenza in valori percentuali
- Si
- No
La ricerca evidenzia che tra i servizi svolti durante la pandemia sono prevalsi la consegna a domicilio di beni di prima necessità, quali cibo e farmaci (per la quale sono state definite apposite prassi per operare in sicurezza a discapito del contatto diretto con i beneficiari), seguiti da ascolto, compagnia e supporto psicologico a distanza, convertiti online con presenza “virtuale” attraverso telefono, computer o whatsapp. Da non dimenticare, infine, tutto il supporto organizzativo alla gestione dell’emergenza, svolto da diversi enti, come la distribuzione di dispositivi di protezione individuale, le raccolte fondi, l’informazione sui servizi del territorio, la sensibilizzazione della cittadinanza su temi legati all’emergenza e la donazione del sangue.
Attivismo nel contesto pandemico
La scossa emotiva generata dall’emergenza sanitaria ha spinto molti cittadini verso azioni di solidarietà e di sostegno reciproco, tra cui molte iniziative spontanee e individuali. Come rete dei Centri di Servizio, durante il lockdown, abbiamo invitato con forza i cittadini a operare nel totale rispetto delle normative sulla sicurezza vigenti, scoraggiando azioni potenzialmente rischiose e incentivando il più possibile la connessione con il sistema organizzato di risposta all’emergenza. Sono state molte infatti le iniziative attivate che hanno contribuito in maniera significativa alla gestione della fase acuta: tra le più note Milano Aiuta attivata dal Comune di Milano che si aggiunge al centinaio presenti nei Comuni metropolitani (vedi articolo Covid 19 e Comuni milanesi, la mappa delle iniziative).
Rispetto ai volontari coinvolti il dato milanese è contaminato dalla presenza, nel capoluogo lombardo, delle sedi nazionali e regionali di molte associazioni che hanno indicato un numero di volontari su base nazionale o regionale. Pulendo questo dato sono stati stimati 3.252 volontari coinvolti nella Città metropolitana di Milano durante la fase dell’emergenza Coronavirus; di questi, 727 sono nuovi volontari, mentre oltre 10 mila sono stati i cittadini disponibili a svolgere attività di volontariato in forma organizzata. È importante precisare che la situazione di estrema pericolosità, in particolare in Lombardia, ha reso fortemente sconsigliabile l’impiego di “neofiti” nell’intervento in emergenza, favorendo, invece, l’operatività di volontari già formati e inseriti in contesti organizzati come la protezione civile o il soccorso.
Sicurezza e socialità si armonizzano collaborando
Riguardo ai problemi riscontrati durante i mesi di lockdown, le organizzazioni hanno segnalato al primo posto la solitudine, evidenziando una ricaduta importante di questa pandemia, dal momento che molte opportunità aggregative, che prima costituivano un rifugio dall’isolamento sociale, non saranno accessibili ancora per diverso tempo. Inoltre, questo allarme, conferma come la solitudine amplifichi la condizione di difficoltà dei soggetti più fragili: la povertà relazionale impatta sulla salute mentale, sulla salute fisica, sul benessere della persona e sulla possibilità di uscire da condizioni di povertà economica. Un campanello d’allarme per i mesi a venire. Oltre a ciò, la seconda criticità rilevata è la difficoltà nella gestione dei carichi di cura domestici e le occasioni per uscire dalla fragilità economica (terzo item emerso dalla rilevazione).
Volendo definire con uno slogan l’azione di questi enti che hanno operato durante l’emergenza, potremmo chiamarli “il volontariato che non lascia soli”. Un dato che conferma il ruolo primario del volontariato: quello di stare accanto alle persone, anche se confinate tra le mura di casa. Un’attività realizzata con grosse difficoltà dovute alla carenza di risorse economiche per coprire le spese, dall’incertezza delle norme sull’emergenza e dalla mancanza di dispositivi di sicurezza.
Tempi stretti ed emergenza non hanno frenato però le collaborazioni con altri soggetti: il 21% lo ha fatto con gli enti locali, attenendosi così alle disposizioni regionali, quindi con Comuni, Centri Operativi Comunali e Protezione Civile; il 22% si è coordinato con altri enti non profit, con Caritas, Asl, imprese e scuole. Solo il 15% ha agito da solo. Un dato che sottolinea la capacità del Terzo settore di capitalizzare le proprie relazioni per strutturare poi dei servizi in un contesto di emergenza-urgenza come quello causato dalla pandemia.
Tra continuità e stand by, le difficoltà che non sono mancate
Tra gli enti che non hanno svolto attività per l’emergenza, il 62% si è dovuto fermare completamente interrompendo anche l’ordinario, il 29% ha avuto una parziale battuta d’arresto, mentre solo il 9% ha continuato a svolgere le consuete attività. Uno scenario critico per molte organizzazioni, aggravato dalla situazione incerta rispetto a una possibile seconda ondata pandemica.
Per l’ente si tratta di attività:
Continuazione delle attività ordinarie degli enti
Come abbiamo detto in precedenza tra le cause di interruzione totale o parziale delle attività ordinarie (e di attivazione in risposta all’emergenza), prevale con forza il rispetto dei decreti governativi, seguito dall’indisponibilità di sedi o di volontari. Infatti la conferma è quella di un settore in grande crisi. Solo per un 8% non ci sono state variazioni rispetto al pre-Covid, mentre per la maggioranza l’operatività si è fermata totalmente (42%), parzialmente ridotta (26%) o dimezzata (24%). Ma quello che preoccupa di più è la segnalazione di problemi di sostenibilità economica (vedi anche l’articolo Donazioni a due velocità con la pandemia. L’emergenza cambia la raccolta fondi) causata dal ritardo nella realizzazione di alcuni servizi e attività finanziate da bandi, la contrazione delle donazioni, canalizzate nel comparto sanitario, e la sospensione di accreditamenti e convenzioni con la pubblica amministrazione.
Guardando al futuro
Infine, ma non ultimo, lo studio ha indagato quale tipo di supporto l’Ets ritenesse più urgente richiedere al CSV per superare questa fase di stallo. Se da un lato la richiesta di sostegno per il fundraising si colloca in linea con quanto evidenziato nel paragrafo precedente, dall’altro sorprende trovare al secondo posto la voce “Riflessioni e proposte su come il volontariato si trasformerà nel prossimo futuro”, prima ancora del supporto consulenziale sulla normativa in generale e gli specifici decreti sull’emergenza, bisogno che si colloca al terzo posto. A CSV viene perciò chiesto di svolgere un ruolo anche culturale, di bussola, per orientarsi nel nuovo scenario, evidenziando la consapevolezza degli enti di Terzo settore di dover ripensare l’azione volontaria e il fare associazione in un contesto sociale ed economico fortemente trasformato dalla pandemia e dalle sue conseguenze. Una sfida che il Centro di Servizio di Milano ha raccolto con l’obiettivo di accompagnare il volontariato in questa delicata fase e promuovere il suo sviluppo nell’era post-covid, come testimonia già la nuova sezione dedicata: Solidarietà post coronavirus.