Terzo settore: obiettivi sociali e coprogettazione negli appalti pubblici
Normativa europea, linee Guida dell’Anac, mercato e servizi alla persona: gli effetti del principio di concorrenza e le possibili soluzioni giuridiche per non penalizzare il non profit
di Silvano Falocco, Direttore della Fondazione Ecosistemi ed economista ambientale
Nel corso degli ultimi anni si è affermata, da più parti, la necessità di assoggettare, in modo più stringente rispetto al passato, il complesso delle “attività dei servizi sociali” al principio della concorrenza, nella convinzione che il tratto di personalizzazione che caratterizza questi servizi produca gravi fenomeni – peraltro ampiamente riscontrati in tutte le aree di attività economiche non ascrivibili a tale area – di corruzione, collusione, di diseconomicità (prezzi più alti).
Gli enti territoriali hanno quindi, di fatto, prosciugato i rapporti in essere con i soggetti del Terzo Settore erogatori dei servizi, interrompendoli o portandoli a scadenza, evocando delle gare pubbliche che garantissero un’aggiudicazione secondo il principio di concorrenza.
L’estensione del principio di concorrenza ai servizi sociali è stata acriticamente proposta e accettata, senza alcuna perplessità, né sul piano politico-economico né sul piano tecnico-amministrativo. Si tratta invece di indagare, in questa occasione, sulle eventuali controindicazioni circa l’estensione di tale principio all’area dei servizi sociali e sulle possibili soluzioni tecnico-giuridiche che ne permettono un affievolimento degli effetti negativi.
L’estensione del principio di concorrenza nei servizi sociali
Ugo Rescigno, in diverse pubblicazioni, ha più volte sottolineato come il tema dei servizi sociali – dove per servizi sociali si intendono le «attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia» – costituisca un terreno di lotta tra solidarietà e concorrenza, dove si scontrano “gli amici del mercato e quelli che, per opposizione, possiamo chiamare i nemici del mercato”.
Si tratta, di norma, di prestazioni non facilmente «standardizzabili». Questi servizi alla persona, infatti, anche in ragione del fatto che servono a rimuovere o mitigare una condizione di sofferenza, emarginazione socio-economica o minorazione fisica dell’individuo, permettono di dare piena attuazione all’art. 38 della Costituzione, riconducibile al principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 del dettato costituzionale.
Questo elemento ha contribuito a rendere i servizi sociali un terreno fertile, per lo sviluppo di modelli di intervento attuativi del principio di sussidiarietà orizzontale e per la sperimentazione di forme innovative di cooperazione tra pubblico e privato, tese a conciliare solidarietà e concorrenza.
È evidente che la strenua difesa, a tutti i costi e a tutte le condizioni, della concorrenza, risente dell’impostazione ordoliberale della Scuola di Friburgo, che ispira l’attuale richiamo contenuto nell’art. 3 del TFUE all’economia sociale di mercato, secondo cui, pur essendo «la concorrenza un mezzo e non un fine in sé», questa permette di perseguire la creazione di «un ordine economico e sociale che garantisca al medesimo tempo il buon funzionamento dell’attività economica e condizioni di vita decenti e umane».
Il meccanismo concorrenziale viene considerato un correlato necessario della «libertà di consumo» e dunque della «libertà di iniziativa economica», ritenuto un principio fondamentale della «costituzione economica». Solo la competizione tra operatori del mercato può infatti neutralizzare i corpi intermedi, e impedire così la formazione di centri di interessi capaci di imporre deviazioni rispetto all’interesse statale puro. La concorrenza viene insomma celebrata come efficiente «processo di selezione», tale in quanto regolato da «rigide regole del gioco e della lotta». Un processo da imporre contro l’azione dei centri di interessi, che vedono nell’alterazione delle dinamiche del mercato un modo per perseguire le proprie strategie.
Solo a queste condizioni si ha concorrenza perfetta, ovvero una situazione in cui il consumatore, o meglio il cittadino ridotto a consumatore, sarebbe capace di orientare il soddisfacimento dei suoi bisogni. È solo in questo caso che i produttori e i consumatori non possono influenzare i prezzi di mercato dei beni e dei servizi e il comportamento del singolo operatore non gli consente di influenzare e di far variare il prezzo di mercato.
Le tre cause del fallimento del mercato nei servizi alla persona
In verità invece, nel caso dei servizi alla persona, si incorre almeno in tre cause di fallimento del mercato – la presenza di asimmetrie informative, la natura meritoria del bene, la presenza di esternalità positive – che indurrebbero a non enfatizzare il ruolo positivo della concorrenza.
In primo luogo i soggetti interessati allo scambio (amministrazione pubblica locale e operatore sociale) non dispongono di tutte le informazioni rilevanti sulla natura e le caratteristiche (incompletezza) del servizio oggetto dello scambio; la perfetta informazione è esclusa: i bisogni sono sempre più personalizzati e in costante evoluzione. È evidente che la pubblica amministrazione ha una difficoltà oggettiva a descrivere il servizio da mettere a gara, in quanto è lo stesso operatore sociale a possedere l’informazione. La co-progettazione è una delle strade da perseguire, per ridurre tale asimmetria.
In secondo luogo i beni coinvolti sono “meritori”, rivolti al soddisfacimento di bisogni importanti per la collettività e nei riguardi dei quali si ha il compito di garantire una produzione ottimale, rispetto a quella che si determinerebbe laddove il suo livello fosse rimesso alla sola dinamica del mercato.
In terzo luogo, nel caso della produzione dei servizi sociali, sono molte le esternalità positive che si producono e quindi si induce il mercato a produrre quantità inferiori rispetto a quelle socialmente desiderabili.
Il contesto politico della nuova normativa europea sugli appalti pubblici
L’obiettivo principale perseguito dal legislatore europeo nell’adozione delle nuove Direttive europee in materia di appalti pubblici (23, 24 e 25 del 2014) consiste nel rendere la disciplina dei contratti pubblici più funzionale al perseguimento degli obiettivi definiti dalla Strategia Europa 2020: tutto ciò in base al presupposto per cui gli appalti pubblici svolgono un ruolo fondamentale nell’ambito di tale Strategia e costituiscono uno degli strumenti, basati sul mercato, necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva garantendo l’uso più efficiente dei finanziamenti pubblici.
A questo scopo l’intera disciplina dei contratti pubblici è stata riscritta e rivista per accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento degli obiettivi strategici (economici, sociali e ambientali), nonché assicurando una migliore certezza del diritto, attraverso l’incorporazione di alcuni aspetti della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione in materia.
La scelta normativa di dare rilievo alle esigenze sociali, ambientali e di tutela del lavoro trova un fondamento giuridico già nel Trattato dell’Unione Europea (entrato in vigore il 1º dicembre 2009), laddove all’articolo 3, paragrafo 3, sancisce che “L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.”
Inoltre, nelle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), all’articolo 9, (nell’ambito del Titolo II che prevede Disposizioni di Applicazione Generale) si prevede che “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana” e, all’articolo 11, che “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.
Dunque, tutela dell’ambiente, tutela sociale e tutela del lavoro acquistano un ruolo trasversale in tutte le politiche comunitarie e ciò presuppone una specifica ponderazione di tali interessi, che assumono un carattere primario dell’intero ordinamento.
Il legislatore intende quindi operare un bilanciamento tra la concorrenza e le esigenze socio-ambientali-occupazionali e che più generalmente l’intero sistema normativo in materia di contratti pubblici opera ancor più un continuo bilanciamento di interessi tra loro contrapposti: economicità, parità di trattamento, qualità, concorrenza, tutela delle esigenze socio-ambientali ed occupazionali.
È anche vero però, che in Europa la dialettica tra la Commissione, che ha un’impostazione fortemente neoliberista, il Consiglio e il Parlamento, tende a produrre atti normativi “ambigui”, su cui le forze sociali debbono suggerire forzature interpretative per farli pendere dal lato non del mercato ma del perseguimento degli obiettivi sociali e ambientali, che pur sono presenti sia nella Costituzione Europea che nei documenti di contesto politici.
Il raggiungimento degli obiettivi sociali attraverso la Direttiva 24/2014
Ma veniamo ora più specificatamente al raggiungimento degli obiettivi sociali previsti dalla Strategia Europa 2020 attraverso la nuova Direttiva sugli Appalti.
Per raggiungere specificatamente gli obiettivi sociali la Direttiva 24/2014 prevede di intervenire in cinque modi:
- includendo gli obiettivi sociali tra i principi generali della disciplina relativa agli appalti pubblici;
- ribadendo il concetto di “appalti riservati”, a cui riservare una quota di appalti, per evitare che la concorrenza spiazzi quelle imprese che decidono di avere dei costi più alti pur di inserire persone con svantaggio sociale al proprio interno;
- prevedendo che i beni, servizi ed opere vengano “progettate per tutti”;
- con la possibilità di inserire i criteri sociali negli appalti pubblici, che tutelino diritti quali: opportunità di occupazione (es. occupazione giovanile), il lavoro dignitoso (es: orario di lavoro, salario, ecc.), la conformità con il diritto del lavoro (es.: rispetto dei contratti collettivi di lavoro), l’inclusione sociale, l’accessibilità per tutti, il “commercio equo e solidale”, la “responsabilità sociale d’impresa”, la protezione dei diritti umani, l’attenzione alle PMI;
- disciplinando meglio la questione dei servizi sociali nella normativa degli appalti.
I servizi sociali nella disciplina degli appalti: il regime alleggerito
La Direttiva 24/2014 ha eliminato l’esclusione dei servizi sociali dal suo campo di applicazione. Nella Direttiva 18 del 2004 i Servizi Sociali erano esclusi dal campo di applicazione della normativa sugli appalti pubblici così come previsto dalla disciplina dei “regimi particolari” (quelli dell’allegato IIB).
Durante il periodo di preparazione di quella che ora è la Direttiva 2014/24/UE, la Commissione ha svolto diversi studi, per verificare se, e a quali condizioni, i servizi sociali potessero essere inclusi nel campo di applicazione della Direttiva sugli appalti.
Nell’aprile 2006 la Commissione ha avviato un’ampia consultazione con gli Stati membri, i prestatori di servizi e gli utenti, al fine di comprendere meglio la natura dei servizi sociali in tutta l’Unione Europea e valutare l’esperienza degli interessati in materia di applicazione delle norme comunitarie.
Benché le funzioni e l’organizzazione dei servizi sociali varino considerevolmente, la consultazione ne ha evidenziato l’importanza per la realizzazione degli obiettivi fondamentali dell’UE quali la coesione sociale, economica e territoriale, un elevato livello di occupazione, l’integrazione sociale e la crescita economica, nonché la stretta interconnessione con le realtà locali.
Uno studio più recente (Documento di lavoro dei servizi della Commissione del 27 giugno 2011, dal titolo «Relazione di valutazione: l’impatto e l’efficacia della normativa dell’UE in materia di appalti pubblici») ha portato ad una riconsiderazione di quella decisione, che appunto voleva esclusi taluni servizi dalla piena applicazione della disciplina comunitaria sugli appalti.
L’Unione Europea ha quindi stabilito che, se un servizio di interesse generale è considerato economico, questo è assoggettato alle norme in materia di concorrenza e di mercato interno. Ciò può far sorgere la questione se l’applicazione integrale di tali norme sia compatibile con il compimento delle specifiche missioni d’interesse generale affidate al servizio.
Si è quindi stabilito che i servizi di interesse economico generale sono in linea di principio sottoposti alle norme del trattato; tuttavia, ove l’applicazione di tali norme osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione di interesse generale loro affidata, i servizi in questione possono beneficiare di una deroga alle disposizioni del trattato, purché siano soddisfatte determinate condizioni, in particolare per quanto riguarda la proporzionalità della compensazione corrisposta alle imprese cui è affidata la gestione di tali servizi.
In linea generale, le conclusioni di questo studio hanno indotto il legislatore comunitario a estendere l’applicazione della nuova Direttiva a una serie di servizi, prima considerati in parte esclusi, e a rideterminare quelle categorie di servizi che, per diverse ragioni, continuano invece ad avere una dimensione transfrontaliera non significativa, tale per cui è ancora opportuno sottoporle solo a quello che ora viene chiamato regime “alleggerito”. Per questa ragione, all’interno della Direttiva 24/2014, sono state inserite regole ad hoc per l’aggiudicazione di appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all’allegato XIV (Titolo II, capo I).
Considerazioni sull’esistenza o meno di un mercato dei servizi sociali
I servizi sociali, in linea generale, dovrebbero afferire ai cosiddetti servizi “non economici” di interesse generale, che non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della direttiva, stante quanto espressamente ora previsto dal Considerando 6 (“È altresì opportuno ricordare che la presente direttiva non dovrebbe incidere sulla normativa degli Stati membri in materia di sicurezza sociale. Essa non dovrebbe neppure trattare la liberalizzazione di servizi di interesse economico generale, riservati a enti pubblici o privati, o la privatizzazione di enti pubblici che forniscono servizi. Occorre parimenti ricordare che gli Stati membri sono liberi di organizzare la prestazione di servizi sociali obbligatori o di altri servizi, quali i servizi postali, in quanto servizi di interesse economico generale o in quanto servizi non economici di interesse generale ovvero in quanto combinazione di tali servizi. È opportuno chiarire che i servizi non economici di interesse generale non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva.”).
Nel passaggio dalla più generale tematica dei servizi di interesse generale e dei sistemi di gestione a quella degli affidamenti dei singoli servizi, ci si è posti, anche in passato, tre domande:
- per quali motivi ed obiettivi si dovrebbero escludere, in tutto o in parte, i servizi in questione dall’applicazione delle regole della concorrenza (comunitaria o meno)?
- L’esclusione deriverebbe dalla materia (la delicatezza dei servizi alla persona, la soddisfazione di diritti fondamentali) o dalla non economicità degli stessi?
- Se i servizi sono finanziati in modo consistente dal pubblico, sino ad arrivare ad una completa copertura del costo delle prestazioni, si potrebbe ancora parlare di servizi non economici?
Al fine di fornire una parziale risposta, si è quindi ragionato sull’esistenza o meno, in concreto, di un potenziale “mercato”; se esiste un consistente finanziamento pubblico dei servizi, vi è la possibilità che vi sia una pluralità di prestatori interessata a concorrere: in tale prospettiva si è iniziato a parlare di un mercato delle prestazioni sociali, di concorrenza (a dire la verità si è sempre utilizzato aggettivare tale concorrenza con “temperata”) e di esternalizzazioni.
Il legislatore europeo, in modo molto pragmatico, ha stabilito che, se vi è concorrenza, occorre ragionare di regole, che permettano di gestire ordinatamente gli affidamenti.
Più elevate soglie comunitarie, regime alleggerito e co-progettazione
Quindi si è passati da una iniziale totale “sottrazione” della materia dall’applicazione delle regole del mercato ad un regime specifico (art.74 e ss. della Direttiva 24/2014) che individua quali norme e principi debbano e possano essere applicate alle procedure relative ai servizi alla persona esternalizzati.
L’ultima parte del Considerando 114 (“Gli Stati membri e le autorità pubbliche sono liberi di fornire tali servizi direttamente o di organizzare servizi sociali attraverso modalità che non comportino la conclusione di contratti pubblici, ad esempio tramite il semplice finanziamento di tali servizi o la concessione di licenze o autorizzazioni a tutti gli operatori economici che soddisfano le condizioni definite in precedenza dall’amministrazione aggiudicatrice, senza che vengano previsti limiti o quote, a condizione che tale sistema assicuri una pubblicità sufficiente e rispetti i principi di trasparenza e di non discriminazione.”) prevede che gli Stati membri siano liberi di fornire i servizi sociali tanto direttamente quanto mediante modalità che non comportino la conclusione di contratti pubblici.
Tali regole hanno comunque come imperativo il rispetto dei principi fondamentali di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori economici.
L’articolo 74 relativo ai “particolari regimi di appalto” apre il capo dedicato ai servizi sociali e agli altri servizi specifici, evidenziando come le norme comunitarie (pur se “alleggerite”) siano obbligatoriamente applicabili solo ai contratti pari o superiori a euro 750 mila, soglia dettata dall’art. 4, lettera d, che, per tali tipologie di servizi, è assai superiore a quella indicata in generale per i servizi, ovvero 207mila euro per servizi forniti da amministrazioni sub-centrali e 134 mila euro per quelli forniti da amministrazioni centrali.
Come afferma, con precisione, il Considerando 114 della Direttiva 24/2014 “i contratti per servizi alla persona al di sopra di tale soglia dovrebbero essere improntati alla trasparenza, a livello di Unione. In ragione dell’importanza del contesto culturale e della sensibilità di tali servizi, gli Stati membri dovrebbero godere di un’ampia discrezionalità così da organizzare la scelta dei fornitori di servizi nel modo che considerano più adeguato. Le norme della presente direttiva tengono conto di tale imperativo, imponendo solo il rispetto dei principi fondamentali di trasparenza e di parità di trattamento e assicurando che le amministrazioni aggiudicatrici abbiano la facoltà di applicare criteri di qualità specifici per la scelta dei fornitori di servizi, come i criteri stabiliti dal quadro europeo volontario della qualità per i servizi sociali, pubblicato dal comitato per la protezione sociale.”
In tal modo si riduce e di molto il campo di azione della normativa comunitaria; al di sotto della soglia di euro 750.000 tali appalti sono considerati come “privi di rilevanza comunitaria”, per le ragioni illustrate nel Considerando 114 della Direttiva 24/2014, che così recita: “certe categorie di servizi, per la loro stessa natura, continuano ad avere una dimensione limitatamente transfrontaliera, segnatamente i cosiddetti servizi alla persona quali taluni servizi sociali, sanitari e scolastici. I servizi di questo tipo sono prestati all’interno di un particolare contesto che varia notevolmente da uno Stato membro all’altro a causa delle diverse tradizioni culturali. Occorre quindi stabilire un regime specifico per gli appalti pubblici aventi per oggetto tali servizi, con una soglia più elevata di quella che si applica ad altri servizi. Servizi alla persona con valori al di sotto di tale soglia non saranno, in genere, di alcun interesse per i prestatori di altri Stati membri, a meno che non vi siano indicazioni concrete in senso contrario, come ad esempio il finanziamento dell’Unione per i progetti transfrontalieri.”
Quindi, per chiarire e sintetizzare:
- per appalti superiori alla soglia comunitaria (oltre i 750.000 euro): si prevede il “regime alleggerito” (è alleggerito rispetto a quello previsto per i beni, servizi e opere ordinari) e la garanzia dei principi di trasparenza e tracciabilità;
- per appalti inferiori alla soglia comunitaria dei 750.000 euro: si ritiene siano privi di rilevanza comunitaria e quindi non soggetti alla disciplina degli appalti pubblici.
La co-progettazione e le Linee Guida dell’Anac
La Direttiva, per quei servizi che, data la dimensione economica superiore alla soglia comunitaria, sono soggetti a regime alleggerito prevede, all’articolo 75, un’interessante forma per pubblicizzare la loro intenzione di procedere all’aggiudicazione di un appalto pubblico per i servizi e per comunicare l’avvenuta aggiudicazione, nonché le modalità di pubblicazione degli avvisi.
Le Linee Guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali dell’ANAC (Delibera ANAC n.32 del 20/01/2016) definiscono la co-progettazione “un accordo procedimentale di collaborazione che ha per oggetto la definizione di progetti innovativi e sperimentali di servizi, interventi e attività complesse da realizzare in termini di partenariato tra amministrazioni e privato sociale e che trova il proprio fondamento nei principi di sussidiarietà, trasparenza, partecipazione e sostegno dell’impegno privato nella funzione sociale.”
Nelle linee guida, oltre a specificare, a partire dalla normativa esistente, gli elementi di cui tener conto per l’affidamento dei servizi, è presente un apposito paragrafo dedicato alla co-progettazione. In particolare si specifica che le disposizioni in materia di servizi sociali prevedono la possibilità di effettuare affidamenti a soggetti del Terzo settore in deroga all’applicazione del codice dei contratti, introducendo il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziale. Trattandosi però di deroghe, trovano applicazione soltanto in quei casi espressamente consentiti dalla legge.
Si tratta di norme parzialmente, ma solo parzialmente, innovative, che definiscono un possibile sistema binario: 1) bando di gara oppure 2) avviso di pre-informazione (“pubblicato in maniera continua”, e senza successiva pubblicazione, a cui vengono invitati gli operatori economici interessati a manifestare il proprio interesse per iscritto) con successiva manifestazione di interesse, che permette di introdurre possibili forme di negoziazione a formazione progressiva, quali ad esempio l’istruttoria pubblica per la co-progettazione, prevista dal DPCM 30 marzo 2001, relativo ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona (art.7), e da alcune leggi regionali sulla cooperazione sociale.
Infine l’articolo 65 del DLgs 50/2016 (Nuovo Codice degli Appalti) che regolamenta il cosiddetto Partenariato per l’Innovazione, attraverso il quale è possibile selezionare enti esterni all’Amministrazione, che abbiano particolari capacità nella ricerca, nello sviluppo e nella messa a punto e attuazione di soluzioni innovative. In sostanza, si introduce il processo di co-progettazione per tutti quei servizi in cui è alto il tasso di innovazione attraverso una preselezione ed una successiva negoziazione partecipata, prima di procedere all’assegnazione diretta delle attività da realizzare.
Le quattro fasi della co-progettazione
La co-progettazione dovrebbe comunque prevedere, secondo le principali esperienze italiane (Bergamo, Brescia, Milano, Albano Laziale) quattro fasi.
La prima fase. Riguarda la selezione del soggetto o dei soggetti con cui sviluppare le attività di co-progettazione, che deve tenere conto: del valore sociale come pre-requisito dell’organizzazione di Terzo settore e come processo delle attività svolte nel settore specifico. L’Ente pubblico rende noto di voler procedere alla co-progettazione mediante un avviso di manifestazione d’interesse, redige un progetto di massima necessario ad orientare i vari concorrenti nella predisposizione delle proposte e favorisce la massima partecipazione dei soggetti privati alle procedure di co-progettazione e indica i criteri e le modalità che saranno utilizzati per l’individuazione del progetto o dei progetti definitivi.
La seconda fase. E’ la manifestazione d’interesse da parte dei soggetti interessati, che potrebbe prevedere l’iscrizione in appositi albi e registri, che intendono partecipare alla gara mediante l’elaborazione di una pre-progettazione che contenga il dettaglio della proposta (obiettivi, azioni, budget) e la successiva selezione e individuazione del soggetto partner dell’Ente.
La terza fase. Si avvia l’attività di co-progettazione tra i responsabili tecnici del soggetto selezionato e i responsabili dell’Amministrazione pubblica, con discussione analitica e critica, alla definizione di variazioni e degli aspetti esecutivi tenendo conto degli obiettivi da conseguire.
In questa fase si definiscono gli strumenti gestionali e operativi che supporteranno nel tempo le relazioni di partnership e permettano di realizzare le attività previste e le risorse di progetto, strumentali, logistiche, organizzative o professionali.
La quarta fase. Riguarda infine la stipula della convenzione relativa a: oggetto, contenuti della progettazione condivisa, durata, indicazioni della governance e impegno di ciascun soggetto, sistema di tracciabilità delle spese, cauzione.
Conclusioni
In conclusione possiamo dire che:
a. non è affatto scontato che l’estensione dei principi della concorrenza al settore dei servizi sociali, data la “natura” di tale settore, sia il modo migliore per garantire il raggiungimento degli obiettivi sociali;
b. l’Unione Europea si è comunque proposta l’obiettivo di raggiungere gli obiettivi sociali, e ambientali, anche attraverso il sistema degli appalti, garantendo ai servizi sociali un “regime alleggerito” di applicazione;
c. per i servizi sociali è comunque prevista la possibilità di ricorrere alla co-progettazione del servizio, utilizzando, al meglio, le indicazioni previste dalla Direttiva, le norme previste dal Nuovo Codice sugli Appalti e le Linee Guida dell’ANAC.
(Tratto da numero 3 di Vdossier anno 2016)