Un like non è partecipazione e l’engagement ha poco valore. L’impegno vero è solo sul campo
L’attivismo sui social e il dialogo fra due studiosi che dicono agli enti di Terzo Settore: sì a una comunicazione integrata, ma il coinvolgimento con un click ha un valore modesto
di Gaia Peruzzi, docente di Sociologia dei processi culturali alla Sapienza di Roma 11 responsabile scientifico di Politiche culturali e comunicative del progetto Formazione Quadri del Terzo Settore del Sud Italia
Un like è partecipazione? L’attivismo sui social è davvero una forma di intervento, o si tratta di un gesto effimero, che non può essere considerato alla stregua di un impegno sociale concreto? Per comprendere come le tecnologie di rete stanno trasformando la vita pubblica abbiamo intervistato Alberto Marinelli, presidente del Corso di laurea in Comunicazione pubblica e d’impresa della Sapienza, che da anni si occupa di questi temi.
Quanto e in che modo Internet sta cambiando la nostra vita?
Le tecnologie di rete hanno ridefinito quasi tutti gli aspetti della nostra quotidianità, da come gestiamo le nostre relazioni, a come facciamo acquisti o guardiamo la Tv. Anche grazie allo smartphone, che in Italia è il principale punto di accesso a Internet, le tecnologie di rete sono oggi fortemente pervasive, facili da usare e ormai del tutto inseparabili dalla nostra esperienza del mondo. Le generazioni socializzate precocemente all’uso di dispositivi tecnologici non percepiscono alcuna soluzione di continuità tra on e offline: le conversazioni su WhatsApp, lo scambio di foto e di emoticon, le stories su Instagram entrano continuamente nei flussi comunicativi, si integrano con quanto avviene in presenza, consentono la creazione e la conservazione di memorie condivise.
È dunque sbagliato considerare queste tecnologie come porte di accesso a una realtà “altra”, alienante?
La mediazione tecnologica non opera in alcun modo in funzione sostitutiva o alienante, rispetto alla realtà (questo accade solo in alcune eccezioni patologiche, che rientrano nel campo delle addictions e rappresentano, per fortuna, una percentuale poco significativa delle esperienze). Al contrario, tale mediazione ha fortemente dilatato il concetto di “presenza” e oggi rappresenta una condizione normale, che può apportare valore alla comunicazione, assegnandole una punteggiatura e una sensibilità specifiche.
Stringiamo l’obiettivo sul binomio Internet–partecipazione.
Negli anni immediatamente successivi alla diffusione del web si leggevano le istanze partecipative come una conseguenza del carattere bidirezionale delle tecnologie di rete, del fatto che non fossero verticali, come nei media di massa (cinema, stampa, televisione), bensì orizzontali, accoglienti rispetto a tutte le voci, tendenzialmente aperte al confronto e intrinsecamente democratiche. Abbiamo preso atto, a volte con amarezza, che questa era una lettura ingenua e deformante, che il coinvolgimento reso possibile dalle tecnologie di rete non necessariamente produce esiti dialogici, che le tecnologie sono (eticamente) “neutre” e possono diffondere messaggi e sviluppare proselitismo anche per atti aggressivi e violenti.
Venendo al cuore della questione, un like può essere considerato partecipazione?
Cambiano le modalità di esperienza e abbiamo bisogno di nuovi concetti per descriverle. Engagement è la parola chiave con cui viene oggi declinata la pulsione emotivo-affettiva nei confronti di un tema/una causa/una persona/ un brand. Engagement però è non partecipazione: mettere un like o colorare con l’arcobaleno la propria foto-profilo, comodamente seduti in poltrona, non è assimilabile a prendersi responsabilità, impegni concreti. È un atto, certo, che può essere denso di significato per chi lo compie e che registra una apertura in termini di disponibilità, cui possono seguire decisioni e azioni che rafforzano l’intenzionalità racchiusa nel primo click. Ma questa, appunto, è una possibilità: non consegue necessariamente. E, soprattutto, è revocabile senza sanzioni, discontinua sul piano temporale, fortemente mutevole rispetto agli obiettivi e sensibile alle campagne di comunicazione e marketing.
Possiamo affermare che l’engagement sia la forma di partecipazione tipica delle tecnologie di rete?
Esiste un rapporto privilegiato, nel senso che le piattaforme dei social media ci supportano in ogni passaggio successivo al like: dall’accedere a informazioni, a entrare in contatto con gli altri interessati e con le strutture di riferimento, a coordinarsi sul piano organizzativo, a documentare e condividere quanto deciso. In alcuni casi, tutto questo origina quasi magicamente dal basso (grassroots), in modo auto-organizzato, con le tecnologie di rete che consentono la circolazione delle risorse economiche e di intelligenza in modo situato e distribuito. Il civic engagement allo stato puro si ha proprio in questi casi, quando i cittadini si attivano e si coordinano in caso di emergenze o catastrofi naturali, o quando la presa di posizione rispetto a temi ad elevata sensibilità politica e sociale si trasforma in un’azione collettiva.
A suo parere, i social possono costituire una risorsa per le organizzazioni di Terzo settore, che nella solidarietà e nella partecipazione hanno due valori irrinunciabili? Se sì, in che modo?
Il rumore che le piattaforme social producono su casi effimeri, le cadute di stile o le aggressioni verbali suscitano diffidenza e rischiano di occultarne il potenziale di coinvolgimento. Non si deve 0 arretrare di fronte a queste tendenze, ma invece ritagliare con coerenza e responsabilità lo spazio di confronto e il tono di voce che si ritiene opportuno. Questo richiede saldezza di principi, ma anche la capacità di gestire linguaggi e occasioni comunicative nuove, secondo le specifiche caratteristiche di ogni piattaforma. Serve a poco il mero presidio della pagina Facebook o l’annuncio dell’iniziativa su Twitter. Si deve impostare una strategia comunicativa integrata, ricordando che l’engagement affidato ad un click ha un valore modesto per chi lo pratica e per chi lo riceve. È molto più importante rendere evidente un orizzonte di possibilità, un campo di azione praticabile – sia online che offline – su misura dell’interlocutore e coerente con il contributo che può apportare. Infine, non si deve dimenticare, che il capitale di fiducia e reputazione che contraddistingue il Terzo settore rappresenta l’elemento di maggiore sintonia con le culture partecipative della rete. Rispettare questa sintonia naturale, evitare gli eccessi che la comunicazione di marketing a volte propone, difendere il valore intrinseco della propria proposta di intervento, rendere trasparenti i risultati: una siffatta linea di azione troverebbe sintonia con la grande maggioranza degli abitanti dei social, spesso oscurata dalla frenetica rissosità dei pochi polarizzati e tendenzialmente violenti.